Il trasferimento della sede della farmacia (urbana e rurale)
Il tema del trasferimento della sede farmaceutica sta’ assumendo un rilievo sempre maggiore, parallelamente con le esigenze crescenti dei titolari di farmacia di ricercare nuovi ubicazioni per i locali della farmacia, dettate da diverse situazioni, quali vicende di inurbamento, fenomeni migratori, l’impoverimento di certe aree del territorio, il sorgere i nuovi centri abitati con il conseguente spostamento dei bacini di utenza, e così via. I titolari di farmacia sono sostanzialmente liberi di spostare la sede destinata all’esercizio dell’attività in nuovi locali, in base al principio della libertà d’iniziativa economica, purché i nuovi locali siano ubicati all’interno della pianta organica e sia rispettata la distanza di almeno 200 metri dalla farmacia più vicina. La P.A. può tuttavia negare l’autorizzazione al trasferimento quando ritenga che non vengano soddisfatte “le esigenze degli abitanti della zona”. Criteri in parte diversi vigono per le farmacie rurali. Esaminiamo nel dettaglio i requisiti per trasferire una farmacia, urbana e rurale, alla luce delle più recenti pronunce della giurisprudenza.
1. I principi generali per il trasferimento di una farmacia
Com’è noto, alla luce della normativa vigente – e in particolare dell’art. 1 della L. n. 475/1968, come novellato dall’art. 1 della L. n. 362/1991, dell’art. 13 del DPR n. 1275/1971 e, da ultimo, la L. n. 27/2012 – i soggetti titolari di farmacia – in quanto titolari di un’azienda – sono sostanzialmente liberi di spostare la sede destinata all’esercizio dell’attività in nuovi locali, in conformità al dettato costituzionale sulla libertà d’iniziativa economica dell’imprenditore.
Tale libertà non è tuttavia illimitata. Devono essere infatti rispettate due specifiche prescrizioni affinché possono essere trasferiti i locali di una farmacia:
- i nuovi locali devono essere ubicati all’interno della zona assegnata dalla pianta organica;
- deve essere rispettata la distanza di almeno 200 metri dalle farmacie più vicine.
A tali prescrizioni si aggiunge poi una ulteriore condizione generale, che implica una valutazione discrezionale da parte della P.A.; l’autorità competente può infatti negare l’autorizzazione al trasferimento quando ritenga che non vengano soddisfatte “le esigenze degli abitanti della zona“.
2. La “pianta organica”
La normativa sull’allocazione delle farmacie è il frutto di una stratificazione legislativa, che ha il suo punto di snodo nell’art. 2 della L. n. 475 del 1968 – il quale individuò nella “pianta organica” lo strumento per la definizione ed allocazione delle sedi farmaceutiche da parte dell’Ente Comunale – e il suo punto di approdo nell’art. 11 del DL. n. 1/2012 (c.d. Decreto Cresci Italia), convertito dalla L. n. 27/2012.
Quest’ultimo provvedimento ha attribuito ai Comuni la pianificazione territoriale del servizio farmaceutico, prevedendo che il Comune, sentiti l’ASL e l’Ordine provinciale dei farmacisti, identifica le zone di collocazione delle nuove farmacie per assicurare un’equa distribuzione sul territorio, tenendo anche conto dell’esigenza di garantire l’accessibilità del servizio farmaceutico ai residenti in aree scarsamente abitate.
La menzionata norma ha formalmente eliminato la necessità della pianta organica delle farmacie, così come prevista dall’originale versione della L. n° 475/1968. In realtà, al Comune resta attribuito l’obbligo di porre in essere un’attività pianificatoria, finalizzata a stabilire le zone di pertinenza delle singole farmacie, assicurare un’equa distribuzione delle farmacie sul territorio e garantire la tutela dell’interesse pubblico alla capillarità del servizio farmaceutico.
Di conseguenza, come sottolineato più volte anche dalla giurisprudenza, la soppressione formale della c.d. pianta organica non ha eliminato l’obbligo della programmazione territoriale delle farmacie, restando affidata alla competenza del Comune la formazione di uno strumento di pianificazione che sostanzialmente, per finalità, contenuti, criteri ispiratori ed effetti, corrisponde in tutto e per tutto alla vecchia pianta organica.
La vera novità introdotta dal D.L. n° 1/2012 è rappresentata, piuttosto, dall’organo competente ad attuare lo strumento pianificatorio; infatti, dopo che tale potere era stato attribuito alla Regione dall’art. 1, comma 2, lett. l) del D.P.R. n. 4/1972, la riforma del 2012 ha delegato il Comune – e più precisamente alla Giunta comunale – previo ascolto dell’Ordine dei Farmacisti e dell’ASL, a pianificare la distribuzione sul territorio della sede farmaceutica.
Il potere riconosciuto espressamente al Comune dell’art. 2, comma 1, della L. n. 475/1968. nella versione sostituita dall’art. 11, comma 1, lett. c), del D.L. n. 1/2012, convertito con modificazioni della L. n. 27/2012, deve essere esercitato dall’autorità amministrativa, applicando il criterio demografico previsto dall’art. 1 della L. n. 475/1968, ovvero garantendo una farmacia ogni 3.300 abitanti , che sia situata ad una distanza dalle altre non inferiore a 200 metri. misurata per la via pedonale più breve tra soglia e soglia delle farmacie, e comunque in modo da soddisfare le esigenze degli abitanti della zona.
Un’eccezione al criterio demografico è rappresentata dall’art. 104 del R.d. n° 1265/1934 (T.U. delle leggi sanitarie), come modificato dall’art. 2 della L. n° 362/1991. Tale norma prevede che le Regioni possono derogare all’art. 1, L. n° 475/1968, stabilendo che le nuove farmacie siano posizionate ad almeno 3.000 metri di distanza dalle altre, anche quando non siano situate nello stesso Comune. Lo scopo principale della previsione è di tutelare le esigenze economiche delle farmacie che, situate in contesti territoriali particolari, servono un numero ridotto di abitanti. Tale possibilità è tuttavia soggetta a tre limitazioni:
- anzitutto, la norma si applica solo ai Comuni con una popolazione massima di 12.500 abitanti;
- devono sussistere esigenze topografiche e di viabilità (rappresentate, ad esempio, dalla necessità di localizzare una sede farmaceutica in una frazione montana di un paese il cui nucleo principale è situato a valle);
- è necessario che le Regioni acquisiscano il parere obbligatorio ma non vincolante dell’ASL e dell’Ordine dei Farmacisti.
Il criterio topografico previsto dall’art. 104 del R.D. 1265/1934, dunque, ponendosi in rapporto di eccezione rispetto al criterio demografico, che costituisce la regola, richiede una rigorosa valutazione amministrativa rispetto all’esistenza dei presupposti rigorosamente e specificamente richiesti dal dettato normativo; presupposti che, come affermato dalla giurisprudenza prevalente, consistono nell’esigenza di assicurare l’assistenza farmaceutica nelle località in cui è insediato un aggregato permanente di popolazione il quale, per le difficoltà connesse alla viabilità e alle distanze, non sia in grado di accedere comodamente ad altre farmacie esistenti sul territorio comunale. Tale valutazione appartiene al merito amministrativo e come tale è censurabile solo per manifesta irragionevolezza ed illogicità.
Il criterio topografico, dunque, diversamente dal criterio demografico, fondato sull’oggettivo parametro numerico, è basato su una valutazione discrezionale dell’amministrazione circa le situazioni topografiche e di viabilità e, pertanto, è volto a garantire la copertura del servizio di assistenza farmaceutica in centri abitati il cui accesso alle sedi farmaceutiche presenti sia disagevole; conseguentemente, la sua applicazione è sindacabile solo per gravi ed evidenti errori di valutazione dei presupposti ed irragionevolezza delle scelte effettuate dall’amministrazione competente a tutela dell’interesse pubblico.
3. La revisione della pianta organica
La riforma del 2012, allo scopo di assicurare un più capillare servizio alla popolazione attraverso una più ampia presenza del servizio farmaceutico sul territorio, nonché di favorire l’accesso alla titolarità delle farmacie da parte di un numero più ampio di aspiranti, ha previsto l’obbligo delle giunte comunali di revisionare ogni due anni (negli anni pari) la pianta organica, al fine di adattarla alle variazioni della popolazione comunale. Il provvedimento comunale è emanato dopo un’istruttoria effettuata dall’Ente ed è sottoposto al parere obbligatorio ma non vincolante dell’ASL e dell’Ordine dei Farmacisti.
Nell’adozione dell’atto di pianificazione delle farmacie, il Comune deve esplicitare i presupposti a sostegno della determinazione assunta, che deve basarsi su criteri legittimi, congrui e ragionevoli, tenuto conto dell’eventuale cambiamento del parametro demografico nel territorio, del sistema viario e di mobilità urbana, delle necessità di fruizione del servizio che si avvertono nelle diverse zone del territorio e delle correlate situazioni ambientali, topografiche e di distanza tra le diverse farmacie.
Tuttavia, come ritenuto dalla giurisprudenza prevalente, l’atto di revisione della pianta organica delle farmacie, in quanto atto programmatorio a contenuto generale, non necessita in via generale di una analitica motivazione calibrata sulle singole situazioni locali; per la sua legittimità è infatti sufficiente l’esternazione dei criteri ispiratori adottati dall’autorità emanante.
La revisione biennale della pianta organica delle farmacie da parte dei Comuni è un adempimento obbligatorio. In caso di inerzia del Comune, è previsto un potere sostitutivo da parte della Regione, tramite la conferenza dei servizi. È inoltre possibile impugnare il silenzio inadempimento del Comune davanti al Tar, con eventuale nomina di un commissario ad acta in caso di persistente inerzia del Comune.
4. La distanza minima legale tra farmacie
L’art. 1 L. n. 468/1975 dispone che “chi intende trasferire una farmacia in un altro locale nell’ambito della sede per la quale fu concessa l’autorizzazione deve farne domanda all’autorità sanitaria competente per territorio. Tale locale, indicato nell’ambito della stessa sede ricompresa nel territorio comunale, deve essere situato ad una distanza dagli altri esercizi non inferiore a 200 metri. La distanza è misurata per la via pedonale più breve tra soglia e soglia delle farmacie”. Nello stesso senso, l’art. 13, D.P.R. n. 1275/1971 prevede che “il locale indicato per il trasferimento della farmacia deve essere situato ad una distanza dagli altri esercizi non inferiore a 200 metri (..) e comunque in modo da soddisfare le esigenze degli abitanti della zona”.
Per quanto attiene al requisito della distanza minima legale di 200 metri dalle farmacie limitrofe, di cui all’art. 1, L. n. 475/1968 – che a prima vista parrebbe non presentare elementi problematici, trattandosi appunto di un criterio di misura matematico – si registra tuttora un notevole contenzioso; è quindi opportuno delineare i criteri che negli anni sono stati elaborati dalla giurisprudenza, recente e non, in proposito.
In proposito occorre anzitutto evidenziare che la norma relativa alle distanze minime fra farmacie, pur essendo funzionale alla tutela di interessi pubblici connessi al buon espletamento del servizio, è pur sempre confliggente con il principio di libera concorrenza sancito dalla normativa interna e comunitaria. Per tale motivo, la norma in questione deve essere interpretata in maniera restrittiva; con la conseguenza che, come precisato dalla giurisprudenza, nei casi dubbi va data prevalenza all’interpretazione che salvaguarda il libero esercizio dell’attività economica.
Facendo applicazione di tale principio generale, il Tar Lombardia, Milano, nella recente sentenza n. 948 del 31 marzo 2021, ha affermato che deve essere considerato nel computo della misurazione in questione, ai fini della verifica del rispetto del requisito della distanza minima tra farmacie, un corridoio coperto che collega l’ingresso della farmacia con la sede stradale. Ciò in quanto, ad avviso del giudicante, tale corridoio, pur potendo essere utilizzato per raggiungere l’ingresso della farmacia, “è nella disponibilità giuridica di un soggetto diverso dal titolare di quest’ultima” ed è “strutturalmente e funzionalmente separato dai locali della Farmacia posto che, per entrare in questi ultimi, occorre superare una ulteriore porta di ingresso e che la sua funzione è esclusivamente di collegamento, non svolgendosi in esso alcuna attività di vendita di farmaci, né altra attività legata al servizio farmaceutico”.
Per tale motivo, il TAR ha ritenuto che la soglia della farmacia trasferita debba coincidere con la porta d’ingresso ai locali di vendita situata all’estremità del percorso coperto che li collega con la strada, e non con l’ingresso del corridoio prospicente la sede stradale.
Sempre in via generale, ad avviso della giurisprudenza consolidata, il dato relativo alle distanze fra sedi farmaceutiche può essere legittimamente ricavato da parte dell’Amministrazione dalle perizie che la parte interessata allo spostamento deve necessariamente produrre con la domanda di autorizzazione. Non sussiste infatti alcun obbligo di legge per l’Amministrazione di effettuare proprie misurazioni della distanza intercorrente tra gli esercizi farmaceutici, essendo nella facoltà dell’Ente competente acquisire agli atti del procedimento la documentazione proveniente dalla farmacia istante attestante il rispetto del limite di 200 metri. E’, viceversa, la parte che vanta l’interesse opposto – ovvero le farmacie limitrofe – a dover dimostrare l’eventuale erroneità delle risultanze di tali perizie e, conseguentemente, la mancata osservanza nel caso concreto del limite legale.
La distanza dei 200 metri tra gli esercizi deve essere misurata calcolando la via pedonale più breve tra la soglia delle farmacie, che, secondo la giurisprudenza costante, va individuata tenendo conto delle regole contenute nel codice della strada e di quelle di comune prudenza. A tale riguardo, la giurisprudenza ha più volte chiarito che, ai fini della misurazione della distanza tra le farmacie, il criterio del percorso pedonale più breve previsto dalla norma in esame si riferisce al percorso effettivamente percorribile a piedi da una persona normalmente deambulante in condizioni di sicurezza e senza esporsi a rischi.
A tal proposito, il Consiglio di Stato, con sentenza n. 4832 del 6 agosto 2018, ha affermato che il rispetto del criterio dei 200 metri di distanza – che deve essere verificato con riguardo al percorso più breve ordinariamente percorribile da un pedone, in condizioni di sicurezza – non deve sempre contemplare lo scrupoloso rispetto delle strisce pedonali, il cui è utilizzo è tuttavia ragionevolmente preferibile quando sia necessario sottrarre il pedone a situazioni di pericolo; come nell’ipotesi – ricorrente appunto nel caso deciso dai giudici amministrativi – in cui il pedone sia costretto ad attraversare “una strada a doppia carreggiata, a flusso veicolare intenso e con visibilità ridotta a causa di vetture parcheggiate ‘a spina di pesce’, perché allora anche le ‘zebre’ possono/debbono essere considerate ai fini del computo”.
Alla stregua del medesimo criterio, il TAR Campania, Napoli, con la recente sentenza n. 4853 del 13 luglio 2021 ha stabilito che, quale che sia la classificazione del tratto di strada in questione, non può computarsi in tale percorso il tratto di strada non percorribile in sicurezza dai pedoni a causa del transito di auto ad alta velocità e dell’assenza di semafori e/o attraversamenti pedonali, dovendosi prendere in considerazione solo il percorso pedonale più sicuro per i pedoni.
5. Il soddisfacimento delle esigenze degli abitanti della zona
Il menzionato art. 13, D.P.R. n. 1275/1971, dopo aver ribadito il criterio della distanza minima di 200 mt. tra farmacia, prevede che, in ogni caso, “il locale indicato per il trasferimento della farmacia deve essere situato (..) in modo da soddisfare le esigenze degli abitanti della zona”.
Con riferimento al criterio delle “esigenze degli abitanti della zona” vale, dal punto di vista generale, una presunzione di pari idoneità di tutte le localizzazioni all’interno della sede, anche di quelle più periferiche, sull’assunto che il titolare della farmacia, in linea di principio, è in grado di scegliere al meglio per il servizio della popolazione, salvo casi specifici ed eccezionali che potranno giustificare il diniego ma che dovranno essere motivate in concreto.
Infatti, secondo la giurisprudenza consolidata, quando si discute dell’autorizzazione al trasferimento dei locali di una farmacia urbana, la discrezionalità attribuita alla P.A. è ridotta e deve limitarsi alla verifica della sussistenza delle condizioni previste dalla normativa vigente, con particolare riferimento all’idoneità sanitaria dei locali e al limite delle distanze.
Il D.P.R. n. 1275/1971, contenente il regolamento di attuazione delle norme concernenti il servizio farmaceutico di cui alla L. n. 475/1968, costituisce infatti una fonte secondaria, sottoposta nella gerarchia delle fonti a quella primaria; pertanto, la norma di cui all’art. 13 di tale decreto deve essere interpretata in conformità a quanto disposto dall’art. 1, comma 4 della L. n. 475/1968, il quale non impone alcun obbligo di motivazione in caso di autorizzazione al trasferimento della sede farmaceutica, limitandosi a prevedere l’accertamento del rispetto della distanza minima di 200 metri tra gli esercizi commerciali.
Come ribadito dalla recente sentenza del Tar Lazio-Roma n. 5374 del 7 maggio 2021, solo in casi particolari, quando effettivamente lo spostamento dell’esercizio farmaceutico all’interno della zona potrebbe arrecare pregiudizio all’utenza, sorge l’obbligo per l’Amministrazione di approfondire l’istruttoria, al fine di accertare se – effettivamente – lo spostamento dell’esercizio possa rendere disagevole ai residenti l’accesso al servizio.
Qualora, a seguito di tale approfondimento istruttorio emerga, in concreto, che lo spostamento renda oggettivamente difficoltoso per gli abitanti della zona raggiungere la nuova sede farmaceutica, l’Amministrazione può negare l’autorizzazione al trasferimento, fornendo adeguata motivazione sulle ragioni della propria scelta. Pertanto, solo in caso di diniego di autorizzazione per ragioni di pubblico interesse si rende necessaria la motivazione dell’atto.
In applicazione di tali principi, ad esempio, l’autorizzazione al trasferimento di una farmacia potrebbe essere negata qualora un determinato ambito del territorio comunale, considerate le particolari e concrete condizioni urbanistiche, rimanesse privo del servizio farmaceutico, o qualora per una parte significativa della popolazione fosse peggiorato l’accesso al servizio. Sarebbe, viceversa, illegittimo un tale diniego qualora lo stesso fosse basato solo su rilievi astratti circa l’asserita eccessiva concentrazione delle farmacie nella medesima via o la breve distanza tra le stesse, senza prendere in considerazione la minima distanza tra i vecchi e i nuovi locali della farmacia richiedente, che in sostanza non incide sul lato funzionale dell’offerta del servizio.
Ad esempio, recentemente il TAR Toscana – Firenze, nella sentenza n.75 del 19 gennaio 2021, ha affermato la legittimità della delibera di autorizzazione al trasferimento dei locali di una farmacia dal centro storico ad una frazione in quanto dall’istruttoria condotta dal Comune, verificato il rispetto del parametro della distanza tra gli esercizi farmaceutici, non risultava emergere alcun disservizio cagionato dallo spostamento, ma anzi era risultato che la nuova collocazione era più funzionale alle esigenze degli abitanti.
I giudici amministrativi hanno infatti ritenuto che fosse stata adeguatamente valutata la rispondenza del trasferimento all’interesse pubblico, senza la necessità di ulteriori approfondimenti istruttori, anche in considerazione di una serie di elementi, quali: a) l’impegno della farmacia ad effettuare la consegna a domicilio dei farmaci con e senza obbligo di prescrizione medica da parte di personale qualificato; b) la limitata possibilità di parcheggio nella originaria collocazione in zona a traffico limitato e talora area pedonale; c) la collocazione della nuova sede lungo la via principale di accesso al centro e alla maggior parte delle frazioni; d) la vicinanza dei nuovi locali ad altri esercizi commerciali ed aree di sosta.
Nello stesso senso, il TAR Campania-Napoli, nella recente sentenza n. 425 del 19 gennaio 2021, ha annullato il diniego al trasferimento dei locali che era stato richiesto da una farmacia, includendo tra le ragioni che avrebbero dovuto essere tenute presente nella valutazione delle “esigenze degli abitanti della zona” anche l’esplicito obiettivo di miglioramento e ampliamento dei servizi che la farmacia avrebbe voluto offrire in locali più ampi.
Secondo il TAR, infatti, è meritevole di considerazione – e quindi aveva errato la P.A. a trascurarlo – l’obiettivo di trasferire l’esercizio farmaceutico da un locale angusto, con barriere architettoniche all’ingresso, a un locale più grande e facilmente accessibile, nel quale la farmacia può offrire servizi professionali e sanitari che prima risultavano obiettivamente difficoltosi se non impossibili.
Il TAR ha in particolare osservato che l’argomentazione dell’amministrazione – che aveva negato l’autorizzazione al trasferimento sulla base dell’interesse ad una corretta distribuzione sul territorio dell’assistenza farmaceutica, ritenuto prevalente rispetto alla prospettiva di effettuare di prestazioni di una moderna farmacia di servizi, qualificata come un mero interesse privatistico-imprenditoriale – è erronea in quanto “frutto di una visione limitata del servizio farmaceutico e dell’interesse della popolazione, atteso che il miglioramento del servizio non può essere valutato come una mera espansione imprenditoriale di tipo privatistico, partecipando della natura e degli effetti del servizio pubblico”
In definitiva, ad avviso dei giudici amministrativi, l’ambizione di realizzare una “farmacia dei servizi” – ovvero un più moderno e più ampio assetto dell’azienda farmacia, tale da consentire l’erogazione dei nuovi servizi professionali e sanitari – non deve essere valutata in modo deteriore rispetto ai criteri di localizzazione territoriale, inserendosi in pieno nella logica del servizio pubblico e dovendo quindi essere adeguatamente tenuto in considerazione nella valutazione delle “esigenze degli abitanti della zona”.
6. Il trasferimento delle farmacie rurali
Criteri in parte diversi vigono per le farmacie rurali . Ai sensi dell’art. 1 della L. n. 221/1968, vengono identificate come farmacie rurali quelle ubicate in comuni, frazioni o centri abitati con popolazione non superiore a 5.000 abitanti, non intendendosi come tali quelle che si trovano nei quartieri periferici delle città, congiunti a questa senza discontinuità di abitanti. Tale classificazione si basa quindi su un criterio meramente oggettivo, di tipo topografico-demografico.
Poiché le farmacie rurali sono destinate a soddisfare particolari esigenze dall’assistenza farmaceutica- fondandosi esclusivamente sul requisito dell’isolamento topografico del nucleo insediativo rurale e della discontinuità dello stesso rispetto all’agglomerato urbano principale – la loro istituzione prescinde dall’ordinario criterio della popolazione. Di conseguenza, in caso di istituzione di una nuova sede farmaceutica rurale, secondo il criterio topografico di cui all’art. 104 del R.D. n. 1265/1934, l’apprezzamento delle particolari esigenze dell’assistenza farmaceutica in rapporto alle situazioni ambientali, topografiche e di viabilità, costituisce esplicazione di una potestà discrezionale tecnico – amministrativa non sindacabile in sede di legittimità, se non per evidente erroneità o per macroscopici vizi logici.
In questo senso, recentemente il TAR Abruzzo, considerando preminente l’interesse pubblico ad assicurare la massima diffusione del servizio farmaceutico in zone territoriale svantaggiate, ha riconosciuto, la necessità di superare il limite di 3.000 metri stabilito dall’art. 104 del R.D. n. 1265/1934, dal momento che l’erogazione del servizio farmaceutico nell’ambito di una frazione di un comune di popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, a causa di particolari situazioni ambientali, topografiche e di viabilità, impone l’istituzione della sede farmaceutica derogando alle regole ordinarie ( TAR Abruzzo, L’Aquila, sentenza n. 370 del 13 ottobre 2022).
Del resto, già in una precedente pronuncia del giudice amministrativo era stata riconosciuta la peculiarità delle farmacie rurali, istituite sulla base del criterio topografico, le quali si differenziano da quelle istituite con il mero criterio della distanza, in ossequio ad esigenze connesse con la particolare conformazione l’esigenza dell’istituzione di una farmacia in relazione ad altri aspetti relativi ai collegamenti che rendono comunque disagevole raggiungere la più vicina farmacia (TAR Lazio – Roma, sentenza n. 3226 del 25 marzo 2014).
In altri termini, le farmacie rurali sono riconosciute come fondamentale presidio dell’assistenza farmaceutica per le zone disagiate, e ciò consente alle amministrazioni di prevederne l’istituzione anche in deroga alla normativa che impone un limite di distanza tra esercizi farmaceutici, benché sia pur sempre necessaria una puntuale e specifica valutazione delle esigenze farmaceutiche della popolazione. Del resto, la finalità dell’istituzione delle farmacie rurali, e della previsione delle provvidenze ad esse concesse, è quella di compensare i disagi e le scomodità connessi all’impianto ed al mantenimento di un esercizio farmaceutico in località poco popolate e perciò, presumibilmente, isolate dai flussi di comunicazione e disagiate quanto alla fruizione dei servizi facenti capo a strutture urbane vere e proprie.
Avv. Valerio Pandolfini
Avvocato specializzato in diritto farmaceutico
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