La successione del socio di farmacia: i profili legali
Oltre il 60% delle farmacie in Italia sono esercitate attraverso una società, di persone o di capitali. Il venire meno di un socio nella società che esercita attività farmaceutica (sia essa di persone o di capitali), può tuttavia comportare uno sconvolgimento degli equilibri all’interno della compagine sociale, in particolare quando il socio ha un particolare ruolo all’interno della società. Analizziamo le conseguenze per i soci superstiti e gli eredi in caso di morte di un socio di una società di farmacia e gli strumenti per evitare che l’attività della farmacia subisca una battuta d’arresto, a seguito del venire meno di un socio.
1. La disciplina della morte del socio nelle società di persone
Secondo quanto previsto dalla disciplina del Codice civile, nelle società di persone (S.n.c., S.a.s. società semplici), nelle quali, come è noto, la persona del socio assume un ruolo fondamentale nelle dinamiche di impresa, e nelle quali il socio assume responsabilità illimitata per tutte le obbligazioni sociali, la partecipazione sociale non è liberamente trasmissibile; l’acquisto della qualità di socio, intatti, non può che essere l’espressione di un atto volontario dell’erede stesso, nel rispetto del principio di libertà di iniziativa economica privata sancito dall’art. 41 Cost.
In altri termini, per le società di persone non è possibile diventare imprenditori, neppure per via successoria, senza averlo espressamente voluto. L’unico diritto direttamente trasmissibile è il diritto di ottenere la liquidazione del socio defunto.
Pertanto, se muore un socio di società di persone, si scioglie immediatamente e definitivamente il vincolo tra società e socio deceduto e gli eredi non subentrano automaticamente nella posizione del socio defunto – salvo apposita clausola di continuazione nello statuto, come si dirà in seguito – ma hanno solo diritto ad ottenere dalla società la liquidazione della quota del socio defunto. Gli eredi, in sostanza, non si considerano soci, ma meri creditori della società relativamente alla quota del socio defunto ad essi spettante.
In questo senso, l’art. 2284 c.c. prevede che – salvo diversa disposizione dello statuto – alla morte del socio i soci superstiti hanno una triplice opzione:
- liquidare la quota del de cuius agli eredi, entro 6 mesi dalla morte;
- sciogliere direttamente la società;
- continuare la società con gli eredi del socio defunto, sempre che questi vi acconsentano.
Le stesse regole si applicano qualora la società sia composta da due soli soci. Pertanto, dopo la morte dell’altro socio, il socio superstite, nel termine dei sei mesi successivi alla morte, deve immediatamente procedere a liquidare la quota del socio defunto agli eredi (ovvero una somma di denaro che rappresenti il valore della quota già di spettanza del de cuius, in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno del decesso); dopo di che potrà decidere di:
- sciogliere la società, previa liquidazione della stessa (art. 2272, n. 4 c.c.); oppure
- ricostituire la pluralità dei soci, sia attraverso il subingresso in società di nuovi soci (anche cedendo ad altri parte della propria partecipazione sociale) – permanendo in tal caso per lo stesso il dovere di liquidare la quota del socio defunto agli eredi – sia mediante la continuazione della società con gli stessi eredi del socio defunto, ai sensi dell’art. 2284 c.c. (e sempre che questi vi acconsentano).
Per le S.a.s., invece, vige una disciplina in parte diversa. L’art. 2322, 1° comma, c.c. prevede infatti che, in caso di morte del socio accomandante-che, come è noto, non assume una responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali- la sua quota di partecipazione è trasmissibile per causa di morte. Pertanto, nel caso di morte del socio accomandante gli eredi, purché abbaino accettato l’eredità, acquistano la qualità di soci accomandanti della società di cui faceva parte il de cuius. In caso di morte del socio accomandatario vige invece la medesima disciplina della S.n.c., già descritta.
Vediamo un po’ più nel dettaglio le opzioni disponibili ai soci superstiti nelle S.n.c. titolari di una farmacia, in caso di decesso di un socio, in base alle regole generali del Codice civile; con l’avvertenza che tali norme sono generalmente derogabili dallo statuto di ogni singola società.
1.1 La liquidazione della quota del socio defunto nella S.n.c.
Come si è accennato, in caso di morte di un socio di S.n.c. la liquidazione della quota del socio deceduto costituisce l’ipotesi “normale“, cioè operante per legge in assenza di diversa volontà delle parti coinvolte o previsione dello statuto.
Gli eredi del socio, pertanto, non entrano direttamente a far parte della società, ma conseguono solo il diritto di credito alla liquidazione della quota del defunto.
La liquidazione della quota deve avvenire, a carico dei soci superstiti (diversamente dalle ipotesi di esclusione del socio o di recesso, nelle quali invece la liquidazione della quota è a carico della società), entro sei mesi dalla morte del socio, sulla base dell’effettivo patrimonio della società (e non del valore nominale della partecipazione al capitale), dovendosi, quindi, tenere conto del valore di avviamento, nonché degli utili e delle perdite relativi alle operazioni in corso.
Così, ad esempio, ipotizzando che la società Alfa S.n.c., titolare di farmacia, abbia due soci, Tizio e Caio, un capitale di Euro 10.000 ed un patrimonio netto di Euro 1.000.000, alla morte del socio Tizio i suoi eredi avranno diritto ad una liquidazione pari ad Euro 500.000 (e non a Euro 5.000).
Tale situazione può essere pertanto fonte di notevoli problematiche, qualora la società abbia un patrimonio notevole (ad esempio perché proprietaria di beni immobili), ma allo stesso tempo abbia scarsa liquidità nelle casse sociali.
1.2 La prosecuzione della S.n.c. con gli eredi
In alternativa alla liquidazione della quota, l’art. 2284 c.c. consente che la società prosegua con gli eredi del socio defunto. In tal caso, però, è indispensabile una espressa volontà al riguardo, manifestata tanto dai soci superstiti quanto dagli eredi del defunto, i quali decidono appunto di subentrare nella società, perdendo, evidentemente, il diritto alla liquidazione.
Se viene fatta questa scelta, i soci superstiti e i successori devono recarsi da un notaio e formalizzare un negozio di continuazione, con il quale utilizzano il credito che avrebbero in caso di liquidazione per entrare a far parte della società. È, poi, possibile che i successori acquistino una quota in comproprietà oppure tante piccole quote in proprietà esclusiva.
I nuovi soci, in quanto eredi del socio defunto, non saranno tenuti a eseguire alcun conferimento di società, valendo a questi effetti il conferimento già eseguito dal socio defunto.
In caso di più eredi e in assenza di volontà espressa la quota sociale del defunto si divide tra eredi, per cui ciascuno subentra in proporzione delle sue ragioni ereditarie. Eventuali eredi dissenzienti e non graditi ai soci superstiti devono essere in ogni caso liquidati pro quota.
Qualora manchi l’indicazione testamentaria delle frazioni della quota di partecipazione del de cuius, gli eredi beneficiari risultano contitolari della stessa, in comunione ereditaria pro indiviso, che potrà essere sciolta mediante atto di divisione.
1.3 Lo scioglimento della società
Infine, i soci superstiti possono decidere di sciogliere del tutto la società. In tal caso, agli eredi spetta in ogni caso il diritto alla liquidazione della quota del defunto, ma essi devono attendere il compimento delle operazioni di liquidazione (quindi anche oltre il termine di 6 mesi) per potersi vedere liquidato in loro favore quanto ad essi spettante.
Questa è la scelta che i soci tenderanno normalmente a privilegiare nel caso in cui ritengano che la partecipazione del socio deceduto era da considerarsi rilevante al fine del perseguimento dell’oggetto sociale (in questo caso dell’esercizio della farmacia), ovvero risulti che la società non abbia le somme sufficienti per provvedere alla liquidazione della quota nei confronti degli eredi del socio defunto, senza dover incidere in modo determinante sui mezzi necessari al fine della realizzazione del programma sociale. Tale possibilità è in ogni caso l’unica disponibile qualora il decesso del socio si verifichi quando la società era già in fase di liquidazione.
Di fronte alla decisione dei soci superstiti di sciogliere la società, gli eredi del socio vengono quindi a trovarsi in una posizione di totale soggezione, non potendo in alcun modo interferire con tale decisione e dovendone invece subire le relative conseguenze. Per loro cessa immediatamente il diritto a vedersi liquidata la quota del proprio dante causa nell’arco dei sei mesi dalla sua morte, ed al fine di conseguire il valore di detta quota essi devono necessariamente attendere la conclusione delle operazioni relative alla liquidazione della società.
Tale decisione deve essere presa all’unanimità – a meno che non vi sia una clausola dello statuto che preveda espressamente per tale ipotesi la possibilità di una decisione a maggioranza – entro il termine di 6 mesi dalla morte del socio, dato che entro tale termine deve essere versata la quota di liquidazione. Essendo tale termine stabilito nell’interesse degli eredi, essi possono comunque prolungarlo concedendo una proroga, salvo il caso in cui la società sia rimasta con un solo socio.
1.4 Le possibili deroghe statutarie nella S.n.c.
Il sistema ora delineato opera, ai sensi dell’art. 2284 c.c., solo salva diversa previsione dello statuto, il quale può quindi prevedere diverse regole organizzative.
In particolare, i soci di S.n.c. possono prevedere nello statuto che la società continui con i successori del socio defunto, attraverso le c.d. clausole di continuazione. Ne esistono di tre tipi: facoltativa, obbligatoria e automatica.
Con la clausola di continuazione facoltativa, i soci di S.n.c. superstiti sono obbligati a prestare il loro consenso alla continuazione della società con i successori (rinunziando alle altre alternative previste dall’art. 2284 c.c.), mentre gli eredi e i legatari possono decidere se continuare o non continuare la società. Tale clausola è ritenuta ammissibile, in quanto non vincola gli eredi, i quali conservano la facoltà di aderire o meno al contratto sociale e chiedere quindi la liquidazione della quota.
Con la clausola di continuazione obbligatoria, invece, l’obbligo di continuare la società è posto sia sui soci che sugli eredi e legatari. L’ammissibilità di tale clausola è discussa; la giurisprudenza prevalente la reputa comunque lecita, qualificandola come promessa del fatto del terzo (art. 1281 c.c.); se l’erede, quale terzo, del quale il socio defunto aveva promesso l’adesione alla società, non vi aderisce, sarà tenuto al risarcimento del danno, quale erede del promittente.
Infine, con la clausola di continuazione automatica i soci stabiliscono preventivamente che il rapporto sociale prosegue automaticamente con gli eredi, senza che sia necessaria un’esplicita adesione al contratto sociale. Anche questa clausola è ritenuta valida dalla giurisprudenza prevalente, in quanto l’erede può sempre rifiutare l’ingresso in società rifiutando l‘eredità, nella quale sono comprese le quote sociali che costituiscono un bene patrimoniale del socio defunto.
I soci possono altresì prevedere nello statuto che l’obbligo di liquidazione sia posto a carico dei soci superstiti; in tal caso, ai successori del socio defunto spetta sempre il diritto alla liquidazione, ma invece di ricevere la liquidazione della società, essi ricevono il denaro dai soci ancora in vita.
Tale effetto di ottiene attraverso l’inserimento nello statuto di una clausola di consolidazione, che prevede il progressivo consolidamento delle quote dei soci deceduti in capo ai soci superstiti. Vi sono due tipi di consolidazione: pura e impura.
La clausola di consolidazione pura prevede che la quota del socio defunto si accresca (cioè venga divisa proporzionalmente) a favore degli altri soci superstiti, senza l’obbligo di liquidare gli eredi del socio defunto. Questa tipologia di clausola è ritenuta nulla, in quanto contrastante con il divieto dei patti successori di cui all’art. 458 c.c.
La clausola di consolidazione impura, invece, prevede l’accrescimento di quota a favore degli altri soci superstiti con l’obbligo da parte di questi di liquidare gli eredi del socio defunto, tenendo conto del valore effettivo della stessa o secondo determinati criteri. Questa clausola è per lo più ritenuta lecita.
Tale clausola implica peraltro che cedenti e cessionari devono essere determinati; conseguentemente, la clausola deve far riferimento ai soci presenti al momento della stipulazione della clausola di consolidazione e non può riferirsi a quelli futuri. Ciò significa che, qualora se un socio venda la propria quota ad altro soggetto, se non viene modificata la clausola di consolidazione, il nuovo socio non sarà obbligato a liquidare i successori del socio defunto, in quanto ad esso si accrescerà la quota del socio defunto. Allo stesso modo, se il nuovo socio muore prima degli altri soci, la sua quota non si consoliderà ai soci superstiti se non si aggiorna con il suo nome la clausola.
2. La disciplina della morte del socio nelle S.r.l.
Le società di capitali, e in particolare le S.r.l., hanno, come è noto, una soggettività giuridica, in quanto hanno un patrimonio distinto da quello dei soci, hanno un proprio nome e una propria sede e, pertanto, sono dei soggetti di diritto distinti dalle persone dei soci che le compongono.
Diversamente, quindi, dalle società di persone, nella S.r.l. le partecipazioni sociali sono liberamente trasmissibili, sia per atto tra vivi che mortis causa (art. 2469, comma 1, c.c.). Pertanto, in assenza di contrarie previsioni dello statuto, gli eredi di un socio di S.r.l. succedono al socio defunto, acquisendone la partecipazione, e divenendo così soci fin dal momento del decesso. Il trasferimento sulla quota è efficace nei confronti della società e dei terzi al momento del deposito presso il competente Registro Imprese.
Anche in questo caso, qualora vi siano più eredi, e manchi l’indicazione testamentaria delle frazioni della quota di partecipazione del de cuius, le quote di S.r.l. cadono in comunione ereditaria del socio deceduto e quindi non vengono automaticamente divise e acquistate pro-quota dai coeredi. A tal fine è necessario procedere, dopo l’apertura della successione, alla divisione ereditaria, ovvero alla stipula da parte dei coeredi del contratto di scioglimento della comunione ereditaria, il quale preveda l’attribuzione in titolarità esclusiva a favore di ciascun coerede di singole porzioni formate da specifici beni ereditari (ivi incluse le partecipazioni sociali).
Prima della divisione, i diritti sociali dei coeredi sulle quote cadute in successione non possono esser esercitati singolarmente, ma devono essere esercitati da un rappresentante comune (art. 2468 c.c.), che deve esser nominato a maggioranza, calcolata secondo il valore della quota pro-indiviso a ciascuno spettante (o, in difetto, dall’autorità giudiziaria). Il rappresentante comune è l’unico soggetto legittimato all’esercizio dei diritti sociali, in sostituzione dei partecipanti alla comunione ereditaria (spesso in conflitto tra loro). Pertanto, il diritto di voto, l’impugnativa di una delibera assembleare, la partecipazione all’assemblea possono essere esercitati solo dal rappresentante comune e non dai singoli eredi comproprietari.
Secondo la prevalente giurisprudenza, il rappresentante comune è un mandatario degli eredi pro-indiviso, e deve pertanto agìre in conformità agli interessi degli stessi e delle istruzioni da questi ricevute (in particolare per ciò che attiene all’esercizio del diritto di voto in assemblea); pertanto, in caso di mancato diligente espletamento dell’incarico da parte del rappresentante comune lo stesso è responsabile a titolo contrattuale, secondo le norme sul mandato. Ciò naturalmente presuppone che gli eredi in comunione di volta in volta decidano, a maggioranza semplice delle quote ereditarie, le istruzioni da impartire al rappresentante comune.
2.1 Le deroghe statutarie alla libera circolazione mortis causa delle partecipazioni sociali nelle S.r.l.
La morte di un socio di una S.r.l. è un evento che dunque, in genere, non comporta conseguenze di particolare rilevanza per la vita della società, dato che, come si è visto, vige la regola generale della libera trasferibilità delle partecipazioni sociali. I soci superstiti al socio defunto potrebbero tuttavia avere interesse ad evitare che nella compagine sociale subentrino gli eredi del de cuius, prevedendo, nello statuto, delle limitazioni alla libera trasferibilità delle quote, in caso di morte del socio, agli eredi o ai legatari del defunto.
Le clausole statutarie limitative del trasferimento mortis causa delle partecipazioni sociali nelle S.r.l. appartengono essenzialmente a quattro tipologie:
- clausole di intrasferibilità;
- clausole di gradimento;
- clausole di prelazione;
- clausole di opzione o riscatto.
Le clausole d’intrasferibilità mortis causa delle partecipazioni prevedono che gli eredi o legatari non possano entrare a far parte della compagine sociale di cui faceva parte il loro defunto dante causa. In tal caso, l’erede ha soltanto diritto alla liquidazione della quota.
Le clausole di gradimento mortis causa subordinano il trasferimento a eredi o legatari di partecipazioni societarie al gradimento:
- degli organi sociali (C.d.A., comitato esecutivo o, più raramente, l’assemblea);
- di uno o più soci;
- di terzi non soci.
Nella prassi societaria sono utilizzati due modelli di clausole di gradimento:
- le clausole di mero gradimento, che subordinano il trasferimento mortis causadelle quote al consenso discrezionale del titolare;
- le clausole di gradimento non mero, che subordinano il trasferimento mortis causadelle quote a determinate condizioni o requisiti, a carattere oggettivo o soggettivo, che devono sussistere in capo all’erede o legatario del socio premorto.
Con le clausole di prelazione mortis causa, i successori del socio premorto hanno l’obbligo di indirizzare ai soci l’offerta in prelazione (c.d. “denuntiatio”), il cui inadempimento (entro un determinato termine successivo all’apertura della successione del socio premorto) oppure adempimento (con successivo esercizio del diritto di prelazione, entro il termine fissato dallo statuto) preclude l’ingresso nella compagine sociale. Il prezzo di acquisto delle partecipazioni sociali del socio premorto deve essere determinato sulla base del loro valore di liquidazione.
Infine, le clausole di opzione o di riscatto mortis causa costituiscono una variante delle clausole di prelazione mortis causa: esse non evitano la trasmissione in via ereditaria delle quote in favore degli eredi o legatari del socio premorto, ma li vincolano a subire l’eventuale esercizio dell’opzione o riscatto degli altri soci. Anche in questo caso, affinché la clausola di opzione o riscatto mortis causa sia efficace è necessario che i successori del socio premorto conseguano un corrispettivo di opzione o riscatto almeno pari al valore di liquidazione.
3. La disciplina speciale per le quote di società titolari di farmacia
La disciplina generale dettata dal Codice civile, ora descritta, è in parte derogata dalla specifica norma prevista dall’art. 7 della L. n. 362/1991, per le società titolari di farmacia.
È bene subito specificare che quest’ultima norma specifica trova applicazione soltanto quando sia richiamata direttamente dallo statuto, oppure quando lo statuto non preveda alcuna disciplina a proposito delle vicenda successoria del socio (nel qual caso prevale sulle norme del codice civile in quanto lex specialis); non si applica, invece, quando lo statuto rinvia espressamente alle norme del codice civile in materia.
Il comma 9 dell’art. 7 della L. n. 362/1991, nel testo modificato dal DL n. 1/2012, stabilisce che, a seguito del decesso di un socio di società titolare di farmacia (di persone o di capitali), l’erede (o il legatario) del socio premorto subentra iure successionis (cioè automaticamente) nella quota del de cuius. Ai sensi di tale norma, pertanto, gli eredi del socio di società titolare di farmacia possono scegliere di:
- continuare la società;
- chiedere ai soci superstiti la liquidazione della quota;
- cedere la propria partecipazione, ai soci o a terzi.
Se gli eredi sono più di uno, la partecipazione nella quota del de cuius entra in comunione tra di essi, come in precedenza evidenziato.
Dalla data del decesso del socio si crea, per legge, una società di fatto per la gestione provvisoria della farmacia, tra tutti gli aventi causa (eredi), sempre che questi ultimi inviino formale richiesta alla ASL competente di autorizzazione alla gestione provvisoria e la ASL emetta tale autorizzazione..
Una volta autorizzata alla gestione provvisoria, tale società di fatto può successivamente assumere anche la titolarità e quindi il diritto di esercizio della farmacia, sempre che, entro 6 mesi dalla data di presentazione della dichiarazione di successione (e dunque entro 18 mesi dalla morte del de cuius):
- gli eredi esprimano formalmente la loro volontà di (continuare la società e) partecipare alla società titolare di farmacia;
- non sussista (e quindi sia sanata, ove esistente) alcuna delle incompatibilità tra i soci, previste dagli artt. 7 e 8 della L. n. 362/1991.
Durante il periodo di gestione provvisoria, la quota di partecipazione del socio premorto si trova in stato di quiescenza, e viene gestita provvisoriamente dagli eredi. Tale periodo di gestione provvisoria è funzionale, da un lato, ad evitare l’interruzione del servizio farmaceutico, dall’altra a permettere agli eredi di regolarizzare e formare la nuova società, verificando ed eventualmente superandole cause di incompatibilità.
Gli eredi possono quindi, entro il termine di cui sopra, regolarizzare la società di fatto tra gli stessi insorta, dando luogo ad una società (di persone o di capitali, dato che, come è noto, la L. n. 124/2017 ha esteso la possibilità di diventare titolari di una farmacia, oltre che ai farmacisti persone fisiche e alle società di persone, anche appunto alle società di capitali, non richiedendo più per la partecipazione ad una società titolare di farmacia alcun requisito professionale – fermo restando che la direzione della farmacia deve essere comunque affidata ad un farmacista idoneo).
Qualora entro il termine dei 6 mesi non siano state soddisfatte le condizioni di cui sopra (continuazione della società con gli eredi e rimozione di eventuali cause di incompatibilità), verrà emesso un provvedimento di decadenza dall’autorizzazione all’esercizio della farmacia e quest’ultima verrà messa a concorso, se nel frattempo l’esercizio della farmacia (ovvero l’azienda) non sia stato ceduto a terzi.
4. La necessità di previsioni statutarie ad hoc per disciplinare la premorienza del socio di società titolare di farmacia
Emerge da quanto sopra sinteticamente delineato, l’opportunità (per non dire necessità) che lo statuto della società titolare della società, lungi dal rimandare semplicemente alle norme applicabili in materia, disciplini nel dettaglio, oltre ai tanti rilevanti momenti della vita sociale (durata del rapporto, forma di amministrazione, prestazioni lavorative dei soci e relativi compensi, etc.) anche la sorte delle partecipazioni sociali in caso di premorienza del socio.
Invero, l’applicazione delle norme del Codice civile in precedenza richiamate (così come della L. n. 362/1991) rischia di non consentire di perseguire le tre fondamentali esigenze di qualsiasi processo di successione di un soggetto titolare di farmacia, ovvero:
- garantire la continuità dell’azienda farmaceutica, attraverso una nuova leadership che assicuri una buona gestione imprenditoriale e produca risultati positivi;
- garantire soluzioni eque dal punto di vista patrimoniale tra gli eredi, tenuto conto del valore dell’azienda-farmacia e degli altri beni patrimoniali;
- ridurre il più possibile i rischi di litigi tra i familiari della nuova generazione.
In particolare, come si è visto, qualora il de cuius non abbia nel testamento indicato le frazioni della quota di partecipazione da destinare agli eredi, tar questi si forma una comunione ereditaria, che dovrà essere divisa tra gli eredi stessi, attribuendo a ciascuno dei beni presenti nel patrimonio della persona scomparsa (e pertanto, in questo caso, principalmente la farmacia, che nella maggior parte dei casi costituisce il cespite più importante); tale situazione può essere complessa e fonte di litigiosità tra gli eredi.
Inoltre, come si è accennato, la liquidazione della quota del socio deceduto agli eredi può costituire per i soci superstiti un serio problema, nel caso in cui il patrimonio della società abbia un valore relativamente elevato.
La continuità dell’esercizio dell’azienda-farmacia è, viceversa, molto più facilmente garantita organizzando il passaggio generazionale per tempo, quando i soci sono ancora in vita e nel pieno della loro attività, in modo da poter trasferire, tramite una pianificazione adeguata, le competenze e la capacità di comando e costruire una governance adeguata, senza provocare traumi; ciò è possibile, appunto, anche predisponendo in modo oculato lo statuto della società titolare di farmacia.
La redazione attenta e dettagliata dello statuto societario – il che purtroppo spesso non accade – non può ovviamente preservare la società da qualsiasi tipo di conflitto tra i soci, ma è l’unica garanzia per evitare che la società possa andare incontro a danni, soprattutto quando il passare del tempo, la diversità delle scelte di vita o i mutamenti degli assetti familiari incidano fortemente sull’affectio societatis.
Avv. Valerio Pandolfini
Avvocato specializzato in diritto farmaceutico
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Le informazioni contenute nel presente articolo hanno carattere generale e non sono da considerarsi un esame esaustivo né intendono esprimere un parere o fornire una consulenza di natura legale. Le considerazioni e opinioni di seguito riportate non prescindono dalla necessità di ottenere pareri specifici con riguardo alle singole fattispecie descritte. Di conseguenza, il presente articolo non costituisce un(né può essere altrimenti interpretato quale) parere legale, né può in alcun modo considerarsi come sostitutivo di una consulenza legale specifica.