Farmacisti e società: quali incompatibilità?
La legge n. 124/2017 ha introdotto importanti novità nel mondo delle farmacie, estendendo la possibilità di diventare titolari di una farmacia, oltre che ai farmacisti persone fisiche e alle società di persone, anche alle società di capitali. A fronte di tali novità, le norme sulle incompatibilità (contenute nella L. n. 362 del 1991) sono invece rimaste sostanzialmente immutate. Ciò ha creato non pochi dubbi e criticità interpretative, solo in parte dissipate a seguito di successivi interventi della giurisprudenza.
1. La titolarità di una farmacia privata dopo la L. n. 124/2017
Come è noto, la legge n. 124/2017 sulla concorrenza ha introdotto importanti novità nel mondo delle farmacie, segnando il definitivo passaggio da una impostazione di tipo tecnico-professionale nella titolarità e gestione delle farmacie ad una impostazione di tipo economico-commerciale.
La L. n. 124/2017, infatti, modificando l’art. 7, comma 1, della L. n. 362/1991, ha esteso la possibilità di diventare titolari di una farmacia, oltre che ai farmacisti persone fisiche e alle società di persone, anche alle società di capitali.
In particolare, possono partecipare a una società di persone o di capitali titolare di farmacia farmacisti e “non farmacisti”. Inoltre, i soci possono essere persone fisiche, società di persone o di capitali, che a loro volta possono essere formate da altre società di persone o di capitali.
A seguito della L. n. 124/2017, possono essere quindi titolari di una farmacia:
- I farmacisti iscritti all’albo;
- le società di persone;
- le società di capitali;
- le società cooperative a responsabilità limitata.
Possono partecipare a una società (sia di persone che di capitali) titolare di farmacia persone fisiche anche non aventi l’abilitazione a farmacista. Inoltre, i soci di tali società possono essere anche società di persone o di capitali, che a loro volta possono essere formate da altre società di persone o di capitali.
Peraltro, la L. n. 124/2017 non ha abrogato l’art. 112, comma 2, del Tuls, che vieta il cumulo di due o più autorizzazioni in un solo soggetto; dunque, né una stessa persona fisica, né una stessa società (di persone o di capitali) possono essere titolari di più farmacie.
In base alla L. n. 124/2017, la direzione di una farmacia, anche se gestita da una società, deve essere tuttavia affidata ad un farmacista.
2.Il quadro normativo delle incompatibilità e le sanzioni per i farmacisti
A fronte di tali novità, le norme sulle incompatibilità contenute nella L. n. 362 del 1991 sono invece rimaste sostanzialmente immutate. Tali incompatibilità, che fino al 2017 si applicavano ai farmacisti – persone fisiche, titolari di farmacia, si applicano ora anche ai soci farmacisti di società titolari di farmacia, nonché alle società titolari di farmacia, con il distinguo che faremo più avanti.
Come si vedrà meglio più avanti, poiché l’ingresso delle società di capitali nella titolarità delle farmacie private ha infatti determinato la possibilità di diventare socio di società che, a sua volta, partecipa alla società titolare di farmacia, alcune delle incompatibilità in esame devono ritenersi applicabili non solo ai soci ma anche ai “soci dei soci“; non essendo ammissibile che dietro lo schermo societario possano nascondersi persone fisiche o persone giuridiche che di fatto aggirino tali incompatibilità.
Gli artt. 7, comma 2, e 8, comma 1, della L. n. 362/91, cosi come modificati dalla L.n.124/2017, prevedono sostanzialmente tre ipotesi di incompatibilità, essenzialmente finalizzate alla prevenzione del verificarsi di possibili conflitti di interesse:
- La prima incompatibilità ( 7, comma 2, L. n. 362/91) riguarda “qualsiasi altra attività svolta nel settore della produzione e informazione scientifica del farmaco, nonché con l’esercizio della professione medica”.
- La seconda ipotesi di incompatibilità ( 8, comma 1, lett. b) della L. n. 362/91) riguarda “la posizione di titolare, gestore provvisorio, direttore o collaboratore di altra farmacia”.
- Infine, sussiste incompatibilità ( 8, comma 1, lett. c) della L. n. 362/91) tra farmacista e “qualsiasi rapporto di lavoro pubblico e privato”.
Come chiarito dal Consiglio di stato nel parere del 3 gennaio 2018, tali incompatibilità si applicano anche alle società di farmacisti vincitori di concorso straordinario; tali disposizioni, infatti, non distinguono infatti tra farmacie acquisite a seguito di concorso ordinario e farmacie acquisite con concorso straordinario.
La incompatibilità di cui sopra rilevano non solo al momento in cui viene richiesto dagli interessati all’Autorità sanitaria il riconoscimento amministrativo dell’avvenuto trasferimento di una farmacia – che è appunto condizionato al non ricorrere di tali situazioni – cui consegue il rilascio della concessine sanitaria necessaria per l’esercizio della farmacia (art. 12, comma 3, L. n. 475/1968), ma anche ogni qualvolta venga chiesto alla stessa Autorità sanitaria di prendere atto – e dunque di conoscere – dell’atto costitutivo della società e di ogni sua modifica attinente al mutamento della compagine sociale, che deve essere comunicata dagli interessati entro un termine perentorio (art. 8, comma 2, L. n. 362/1991, come modificato dalla L. n. 124/2017).
A tal fine, l’Autorità sanitaria può verificare le autocertificazioni di cui all’art. 47 del D.P.R. n. 445/2000, sottoscritte dai soci che richiedano il riconoscimento amministrativo del trasferimento negoziale di una farmacia ai fini del rilascio della concessione sanitaria per il suo esercizio ovvero richiedano la presa d’atto della modifica dell’atto costitutivo della società conseguente anche al mutamento della compagine sociale.
Ai sensi dell’art. 8, comma 3), della L. n. 362/91, la violazione delle disposizioni sopra elencate comporta la sospensione del farmacista dall’albo professionale, per un periodo non inferiore a un anno. Se viene sospeso il direttore responsabile, la direzione della farmacia deve essere affidata a un altro dei soci. Se poi sono sospesi tutti i soci, allora viene interrotta la gestione della farmacia, per il periodo corrispondente alla sospensione dei soci. In questi casi, l’autorità sanitaria competente nomina, ove necessario, un commissario per il periodo di interruzione della gestione ordinaria.
3. L’incompatibilità con attività nel settore della produzione e informazione scientifica del farmaco e con la professione medica
La prima incompatibilità (art. 7, comma 2, L. n. 362/91) riguarda “qualsiasi altra attività svolta nel settore della produzione e informazione scientifica del farmaco, nonché con l’esercizio della professione medica”.
Tale incompatibilità- che si applica a tutti i soci, farmacisti e non, di tutte le società titolari di farmacia-mira ad evitare la partecipazione all’esercizio e/o gestione di una farmacia da parte di figure imprenditoriali o professionali portatrici di interessi privati potenzialmente in grado di confliggere con l’interesse pubblico ad una ottimale dispensazione dei medicinali.
La norma prevede in primo luogo che è incompatibile con il socio di società farmaceutica l’attività svolta nel settore della produzione e dell’informazione scientifica del farmaco. Tale incompatibilità non è dunque limitata all’industria di produzione dei medicinali, ma anche alla relativa informativa, rimanendo esclusa la distribuzione intermedia.
Invero, se fosse possibile partecipare alla società di farmacia e, al contempo, svolgere attività nel settore della produzione e dell’informazione scientifica dei farmaci, potrebbe infatti insorgere in capo al socio l’interesse ad incrementare la vendita dei farmaci prodotti dall’azienda presso la quale svolge tali attività, indirizzando gli acquisti della farmacia (in cui è socio) verso i farmaci prodotti dall’azienda presso la quale il socio svolge attività di produzione o informazione scientifica. Al contempo, anche gli acquisti degli utenti verrebbero indirizzati verso i farmaci prodotti da tale azienda farmaceutica, consigliando loro l’acquisto di un farmaco diverso da quello indicato nella ricetta medica o verso il quale si erano liberamente indirizzati i loro acquisti.
In secondo luogo, la norma prevede l’incompatibilità del socio di farmacia con l’«esercizio della professione medica». La ratio del divieto risiede nell’esigenza di garantire al massimo l’indipendenza e l’autonomia dell’attività di dispensazione dei farmaci, soprattutto rispetto all’attività di prescrizione degli stessi evitando così possibili conflitti di interessi. Se fosse possibile per un medico partecipare ad una società titolare di farmacia, insorgerebbe in capo al medico/socio l’interesse all’incremento del profitto di tale società, la cui soddisfazione potrebbe condurre all’esercizio di pratiche contrarie alla tutela della salute (consistenti, ad esempio, nella prescrizione di farmaci in assenza di reali esigenze terapeutiche o, addirittura, dannosi per la tutela della salute, o nella prescrizione di alcuni farmaci piuttosto che di altri, al solo fine di apportare un beneficio economico alla società di farmacia).
Il conflitto di interessi è facilmente ravvisabile qualora sia una persona fisica a svolgere la funzione di farmacista e medico. In proposito, si è chiarito (Consiglio di Stato, parere del 3.1.2018) che l’incompatibilità tra la partecipazione alle società titolari di farmacia e l’esercizio della professione medica riguarda qualunque medico, sia che eserciti la professione, sia che non eserciti e sia solo iscritto all’Albo professionale.
Ma l’incompatibilità del socio di farmacia può insorgere non solo con l’esercizio della professione medica – che implica appunto la presenza di una persona fisica – bensì anche con società che esercitano attività medica, ovvero che erogano prestazioni sanitarie, come, ad es., case di cura, poliambulatori e strutture residenziali. Questi enti, infatti, espletano attività sanitarie attraverso l’opera di medici che per soddisfare gli interessi dell’ente possono essere indotti alla prescrizione di farmaci inutili, dannosi o comunque preferiti ad altri in assenza di criteri imparziali che ne condizionino la scelta. Possono quindi verificarsi situazioni di incompatibilità (per conflitto di interessi nell’esercizio della professione medica) anche nell’ipotesi in cui la società titolare di farmacia sia partecipata da un socio con personalità giuridica.
Su questo tema si è pronunciato, dapprima il Tar Marche, con sentenza dell’8 febbraio 2021, e successivamente il Consiglio di Stato, con sentenza del 27 dicembre 2021. La vicenda riguardava una S.r.l. (Alfa), che esercitava attività di casa di cura privata, accreditata presso il SSN, che disponeva dell’unità funzionale di Medicina e Chirurgia nelle quali svolgono la loro attività dei medici prescrittori e che offriva servizi diagnostici e ambulatoriali, la quale era a sua volta socio unico di un’altra S.r.l., titolare di farmacia (Beta). Alfa aveva tra i componenti lo stesso medico; sia Alfa che Beta avevano la stessa sede legale; lo stesso soggetto era presidente del consiglio di amministrazione di Alfa e amministratore unico di Beta.
Secondo il TAR Marche, dovevano essere estese ad Alfa, in qualità di socia di Beta, le “incompatibilità previste per i farmaci persone fisiche”, trattandosi di una società che impiega medici per l’erogazione di servizi di diagnosi e cura ai propri assistiti, e quindi dà luogo ad una commistione fra gestione di una farmacia e gestione diretta o indiretta di attività medica, che a sua volta può dar vita ad un potenziale conflitto di interessi.
Secondo il TAR, il conflitto di interessi derivava dal fatto che il socio unico Alfa-casa di cura- non si era limitato ad acquistare quote di Beta- società titolare di farmacia- ma possedeva anche un ruolo nella gestione di quest’ultima, trovandosi in posizione di controllo della società titolare uno stesso soggetto persona fisica, Presidente del consiglio di Amministrazione di Alfa e amministratore unico di Beta.
Il Consiglio di Stato si era invece espresso in modo parzialmente diverso dal Giudice marchigiano, non ritenendo pacifica l’incompatibilità rilevata dal TAR Marche e rinviando all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato per l’interpretazione di alcune delle norme vigenti sulle incompatibilità previste dagli articoli 7 ed 8 della L. n. 362/1991 così come modificata dalla L. n. 124/2017.
In primo logo, per il Consiglio di Stato era il “fattivo coinvolgimento” nella gestione della farmacia a costituire il criterio orientativo nel discriminare il conflitto di interessi, e ciò anche nell’ipotesi dei soci di società di capitali titolari di farmacie. Restava pertanto da chiarire in cosa si sostanzi la “gestione della farmacia” e se questa possa ravvisarsi in un caso, come quello di specie, in cui la società titolare di farmacia è detenuta in modo totalitario da altra società di capitali. Sotto quest’ultimo profilo, il Consiglio di Stato aveva ritenuto che occorra chiarire se la presunzione di direzione e coordinamento sulla società titolare di farmacia, imputabile alla società controllante ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 2359 e 2947 sexies c.c., fosse sufficiente a far di quest’ultima un soggetto effettivamente o fattivamente coinvolto nella gestione della farmacia.
Per ciò che concerne, invece, il significato del termine “esercizio della professione medica“, da parte della casa di cura che partecipa la società di farmacia, il Consiglio di Stato aveva evidenziato che la casa di cura non è una società di medici, che i medici presenti nella compagine societaria hanno ruoli del tutto avulsi dalla loro attività medica, e che la casa di cura in quanto tale non ha alcun potere di prescrizione di cure e medicinali, anche se vi sono numerosi medici prescrittori. Doveva quindi considerarsi, ad avviso del Consiglio di Stato, una forzatura interpretativa il tentativo di enfatizzare l’abilitazione professionale del singolo componete del Consiglio di amministrazione e di superare il dato concernente la composizione plurisoggettiva dell’organo e la specificità e intangibilità delle sue autonome funzioni, che non interferiscono con quelle del professionista chiamato a farne parte.
Sulla vicenda si è espressa, da ultimo, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con sentenza n. 5 del 14 aprile 2022, la quale ha chiarito che la nozione di “esercizio della professione medica”, di cui all’art. 7, comma 2, della L. n. 362/1991, deve essere interpretata nell’ottica di prevenire qualunque potenziale conflitto di interessi derivante dalla commistione tra questa attività e quella di dispensazione dei farmaci, a tutela della salute; in questo senso, deve ritenersi applicabile la situazione di incompatibilità in questione anche ad una casa di cura, società di capitali e quindi persona giuridica, che abbia una partecipazione in una società, sempre di capitali, titolare di farmacia. Secondo l’Adunanza Plenaria, una società concorre nella gestione della farmacia, per il tramite della società titolare cui partecipa come socio, qualora, per le caratteristiche quantitative e qualitative di detta partecipazione sociale, siano riscontrabili i presupposti di un controllo societario ai sensi dell’art. 2359 c.c., sul quale poter fondare la presunzione di direzione e coordinamento ai sensi dell’art. 2497 c.c.
Secondo i Giudici, la clinica privata risponde a titolo contrattuale per il comportamento dei medici della cui collaborazione si avvale per l’adempimento della propria obbligazione, ancorché possano non essere suoi dipendenti, comunque sussistendo un collegamento tra la prestazione da costoro effettuata e l’organizzazione aziendale della casa di cura; pertanto, anche una persona giuridica, in particolare una clinica privata, esercita, nei confronti dei propri assistiti, la “professione medica”, ai fini dell’art. 7, comma 2, della L. n. 362/1991. Ne consegue che una casa di cura non può avere alcuna partecipazione in una società titolare dell’esercizio della farmacia, ovvero non può esserne socio in nessun modo, indipendentemente dalla natura e dall’incidenza della partecipazione stessa.
Nel caso di specie, la farmacia era una società unipersonale, controllata al 100% da un’altra società sempre di capitale che a sua volta gestiva una casa di cura privata; non è pertanto necessario, secondo la Consulta, stabilire a quali condizioni la società controllante possa dirsi coinvolta, per il tramite della controllata, nella gestione della farmacia, avendo la casa di cura il controllo totalitario della società titolare della farmacia, e potendo dunque determinare o comunque condizionare, in qualità di socio unico, tutte le principali scelte della farmacia. Un controllo così forte non richiede quindi di richiamare la categoria dei gruppi di società e l’attività di direzione e coordinamento, facendo passare in secondo piano anche ulteriori elementi, comunque rilevanti, quali l’identità soggettiva tra il legale rappresentante dell’una e dell’alta società, e la presenza, tra i soci della casa di cura e anche all’interno del suo consiglio di amministrazione, di medici almeno teoricamente in grado di esercitare la professione.
Diversamente, in assenza di una società unipersonale e quindi di una partecipazione totalitaria, dovrebbe assumere rilevanza una partecipazione che comunque permetta di concorrere nella gestione della farmacia, nel senso di influenzarne le scelte aziendali; non rileverebbe quindi qualunque partecipazione sociale ma quella che possa dare al socio il controllo della società, ai sensi dell’art. 2359 c.c. secondo una valutazione del singolo caso rimessa al prudente apprezzamento dell’amministrazione, cui deve essere comunicato, ai sensi dell’art. 8, comma 2, della L. n. 362/1991, lo statuto della società titolare della farmacia e ogni successiva variazione, ivi incluse quelle relative alla compagine sociale.
Viene così meno l’artificio, adottato abbastanza spesso per superare l’incompatibilità in questione, consistente nel costituire società intermedie, appositamente per la gestione di una farmacia, e partecipata da medici o case di cura; l’incompatibilità in esame, infatti, si estende a tutti i soci, persone fisiche (farmacisti e non farmacisti) e società (di persone e di capitali), di tutte le società titolari di farmacia, quale che sia il ruolo che vi assuma il soggetto che versi in una di tali condizioni e qualunque sia la misura della sua partecipazione (quindi anche ai soci che partecipano con il solo conferimento di capitali). Ciò anche se la presenza di più società collegate e partecipate (le c.d. scatole cinesi) può rendere, di fatto, arduo l’accertamento dell’esistenza di tale causa di incompatibilità, rendendo così possibili forme di elusione.
Diverso è invece il caso in cui alla società titolare della farmacia partecipi una società che abbia per oggetto statutario l’esercizio soltanto di prestazioni infermieristiche, di fisioterapia etc. e quindi non attività riservate alla professione medica.
4. L’incompatibilità con la posizione di titolare, gestore provvisorio, direttore o collaboratore di altra farmacia.
La seconda ipotesi di incompatibilità riguarda “la posizione di titolare, gestore provvisorio, direttore o collaboratore di altra farmacia” (art. 8, comma 1, lett. b) della L. n. 362/91).
Il farmacista titolare di farmacia, come pure il socio farmacista di società titolare di farmacia, non può quindi rivestire anche il ruolo di:
- titolare di altra farmacia;
- gestore provvisorio di altra farmacia;
- direttore di altra farmacia;
- collaboratore di altra farmacia (cioè, dipendente o collaboratore autonomo).
In proposito, il Consiglio di Stato, nel parere del 3 gennaio 2018, ha chiarito che l’incompatibilità da parte del titolare, gestore provvisorio, direttore o collaboratore di altra farmacia deve essere estesa a qualsiasi forma di partecipazione a società titolari di farmacia, senza alcuna limitazione o esclusione (e dunque, indipendentemente dal ruolo, decisionale o di mero investitore, rivestito dal socio nella società). Il CdS si è quindi discostato da un criterio interpretativo letterale della norma, facendo leva sulla finalità di prevenzione di conflitto di interessi della stessa per giustificare tale scelta.
Tale orientamento è stato successivamente ribadito dal Consiglio di Stato, con sentenza n. 6137 del 22 giugno 2023, il quale ha affermato che non si applica all’incompatibilità in questione (ovvero a quella di cui all’art. 8, comma 1, lett. b) della L. n. 362/91) l’orientamento della Corte costituzionale (su cui infra, par. 5) in merito all’altra incompatibilità prevista dall’art. 8, comma 1, lett. c) della L. n. 362/91 (ovvero quella con qualsiasi altro lavoro pubblico privato). Pertanto, è incompatibile anche il socio dimero capitale (o il socio accomandante di Sas) qualora sia dipendente, collaboratore, direttore, gestore provvisorio o titolare di altra farmacia.
Ciò in quanto l’incompatibilità in questione è funzionale a prevenire situazioni di conflitto di interessi, che ad avviso del CdS non vengono meno, in ragione del ruolo non gestorio del socio. La norma di cui all’art. 8, comma 1, lett. b) della L. n. 362/91, infatti, mira ad evitare che i soggetti titolari, gestori provvisori, direttori o collaboratori di una farmacia, contraggano vincoli che impediscano loro un adeguato svolgimento delle prestazioni lavorative in favore della farmacia presso la quale operano; rischio questo che non può essere escluso per il solo fatto che il farmacista sia un socio privo di poteri di amministrazione della società titolare di altra farmacia.
In sostanza, l’assunzione da parte del socio di una farmacia di una posizione (titolare, gestore provvisorio, direttore o collaboratore) presso un’altra farmacia – di cui non sia socio, come chiariremo meglio tra poco – potrebbe condurre lo stesso ad una gestione impari di queste farmacie, ovvero a ovvero a privilegiare una farmacia a discapito dell’altra, producendo delle differenze sulla qualità dell’assistenza farmaceutica offerta agli utenti. Ad esempio, il socio di una farmacia che sia anche direttore tecnico di un’altra farmacia (di cui non sia socio) potrebbe imporre tempi di attesa per l’acquisito di taluni medicinali nella farmacia che dirige come direttore e, al contempo, rendere prontamente disponibili gli stessi medicinali nella farmacia a cui si partecipa come socio, accrescendone così gli utili; oppure, il socio di una farmacia che sia anche collaboratore di altra farmacia (di cui non sia socio), potrebbe orientare gli utenti all’acquisto dei farmaci presso la farmacia di cui è socio, segnalando presso quest’ultima la disponibilità dei farmaci presso la farmacia di cui è socio, segnalando presso quest’ultima la disponibilità dei farmaci richiesti dall’utente, agevolato magari dalla vicinanza territoriale tra le farmacie.
Per quanto attiene invece alle società titolari di farmacia – le quali ricadono anch’esse, astrattamente, nel perimetro applicativo della norma in oggetto – il Ministero, con nota del 7 marzo 2018, ha affermato che l’incompatibilità in esame (come tutte le altre ipotesi di incompatibilità) si applica, oltre che a tutti i soci, farmacisti e non, persone fisiche, anche alle società (titolari di farmacia). Pertanto, in base a questo orientamento, una società titolare di farmacia non potrebbe partecipare ad un’altra società anch’essa titolare di farmacia, in quanto, ad avviso del Ministero, deve ritenersi incompatibile con la qualità di socio, secondo il Ministero, non solo la posizione di titolare, gestore provvisorio, direttore o collaboratore di altra farmacia, bensì ogni forma di partecipazione del socio ad un’altra farmacia che ne determini l’assunzione di un ruolo decisionale; il che appunto significa che tale incompatibilità si applica anche ai soci aventi personalità giuridica.
Occorre tuttavia considerare che, ai sensi del comma 158 della L. n. 124/2017, è legittima la partecipazione di controllo, diretto o indiretto, da parte di una società titolare di farmacia, in un’altra società (di persone o di capitali) anch’essa titolare di farmacia, nel limite del 20% degli esercizi esistenti in una regione (laddove per “controllo” di intende, ai sensi dell’art. , 2359 c.c., il possesso della maggioranza dei voti nell’assemblea ordinaria, il possesso di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria o la presenza di vincoli contrattuali che consentono di esercitare un’influenza dominante). Pertanto, deve ritenersi pienamente legittima la partecipazione di una società (di persone o di capitali) titolare di farmacie ad un’altra società (di persone o di capitali) anch’essa titolare di farmacie.
Parte della dottrina ritiene, peraltro, che la “plurititolarità” di farmacia sia consentita non soltanto alle società, ma anche alle persone fisiche; ciò argomentando dal tenore letterale del comma 158 della L. n. 124/2017 – che menziona, in generale, anche le persone fisiche titolari di farmacia – e dalla disparità di trattamento che altrimenti si verrebbe a creare tra titolari individuali e titolari collettivi di farmacia. Secondo questa tesi, pertanto, l’incompatibilità di cui all’art. 8, lett. b) della L. n. 362/91, riguardante la “posizione di titolare” dovrebbe ritenersi abrogato tacitamente.
In ogni caso, deve ritenersi che l’incompatibilità riguardante le posizioni (rivestite dal farmacista persona fisica) di direttore e collaboratore di altra farmacia, si riferisca solo all’ipotesi di farmacisti che operano in farmacie diverse da quelle di cui sono titolari società da loro partecipate.
In questo senso, il Ministero della Salute, nella nota n. 42748 del 3 dicembre 2008, ha affermato che “laddove il farmacista, che sia socio di più società titolari dell’esercizio di farmacie private, ricopra la carica di direttore all’interno di una sola delle farmacie la cui titolarità è affidata ad una delle società di cui il predetto farmacista è socio, o di collaboratore in più farmacie della/e società, questi non incorra nella incompatibilità di cui all’articolo 8, lettera b) della legge n. 362 del 1991, in quanto [..] tale norma va interpretata come previsione di una incompatibilità tra la partecipazione ad una o più società titolari di farmacia privata e la posizione di titolare ovvero di gestore provvisorio, di direttore o di collaboratore di “altra farmacia” a titolarità individuale, quindi, di farmacia diversa da quella o da quelle di cui risulta titolare la società o le società di cui è socio il farmacista”. Nella nota menzionata, peraltro, il Ministero si riferiva con il termine “altra farmacia” ai soli esercizi a titolarità individuale, in quanto all’epoca in cui è stata redatta la nota, prima cioè della L. n. 124/2017, il direttore di una farmacia sociale poteva essere soltanto un socio.
In altri termini, il farmacista socio di più società titolari di farmacia può assumere il ruolo di direttore o collaboratore nelle società titolari di farmacia dallo stesso partecipate, mentre non può assumere – in quanto incorrerebbe appunto nell’incompatibilità in esame – l’uno o l’altro dei due ruoli in una farmacia diversa da esse e diversa dalle farmacie di cui sia titolare l’unica società eventualmente da lui partecipata.
5. L’incompatibilità con qualsiasi rapporto di lavoro pubblico e privato
Infine, sussiste l’incompatibilità tra titolarità della farmacia e “qualsiasi rapporto di lavoro pubblico e privato” (art. 8, comma 1, lett. c) della L. n. 362/91). Anche tale incompatibilità interessa solo i soci farmacisti di società titolari di farmacia.
Ad avviso del Consiglio di Stato (parere del 3.1.2018), nel perimetro di incompatibilità tra la partecipazione ad una società di farmacia e qualsiasi rapporto di lavoro pubblico e privato, rientravano, oltre ai rapporti di lavoro subordinato, anche quelle prestazioni che, sebbene autonome, vengono effettuate con una regolarità tale da risultare assorbenti; la ratio della norma sarebbe infatti quella di preservare le energie lavorative del farmacista, ai fini dell’efficiente gestione della farmacia.
L’interpretazione fornita dal Consiglio di Stato era stata criticata da più parti, in quanto ritenuta eccessivamente rigorosa. In particolare, il Notariato (studio n. 75/2018) aveva sottolineato che, interpretando la norma in oggetto nel senso dell’incompatibilità dei soci con qualsiasi tipo di rapporto di lavoro pubblico o privato conseguirebbe che soci diversi dai farmacisti idonei potrebbero essere solo coloro che siano disoccupati o studenti, oppure imprenditori e professionisti; ciò significherebbe sostanzialmente rendere inapplicabile l’estensione della titolarità delle farmacie alle società di capitali, che, specie se di medie o grandi dimensioni, non potrebbero intestarsi una o più farmacie poiché la maggioranza dei loro soci sarebbero legati da un rapporto di lavoro con la società stessa o con un qualsiasi soggetto terzo.
Sul punto è intervenuta la Corte costituzionale, con l’importante sentenza n. 11 del 5 febbraio 2020. Secondo la Corte, la causa di incompatibilità prevista dall’art. 8, comma 1, lett. c) della L. n. 362/91 non è riferibile ai soci di società di capitali titolari di farmacie che non siano ad alcun titolo coinvolti nella gestione della farmacia.
La Consulta, infatti, ha osservato che l’incompatibilità con qualsiasi rapporto di lavoro pubblico e privato, se era coerente con il modello organizzativo precedente alla L. n. 124/2017 – che, allo scopo di assicurare che la farmacia fosse gestita e diretta da un farmacista, ne consentiva l’esercizio esclusivamente a società di persone composte da soci farmacisti abilitati, a garanzia dell’assoluta prevalenza dell’elemento professionale su quello imprenditoriale e commerciale – non lo è più nel contesto del nuovo quadro normativo di riferimento, il quale ammette che la titolarità nell’esercizio delle farmacie private sia acquisita, oltre che da persone fisiche, società di persone e società cooperative a responsabilità limitata, anche da società di capitali, consentendo così che la partecipazione alla compagine sociale non sia più limitata ai soli farmacisti iscritti all’albo e in possesso dei requisiti di idoneità.
In altri termini, secondo la Corte, poiché la L. n. 124/2017 consente la titolarità di farmacie (private) in capo anche a società di capitali, di cui possono far parte anche soci non farmacisti, in alcun modo coinvolti nella gestione della farmacia o della società, a tali soggetti, unicamente titolari di quote del capitale sociale, non è più riferibile l’incompatibilità «con qualsiasi rapporto di lavoro pubblico privato», prevista dalla menzionata norma. La causa di incompatibilità in questione non è quindi riferibile ai soci di società di capitali (titolari di farmacie) che si limitino ad acquisirne quote, senza essere ad alcun titolo coinvolti nella gestione o direzione della farmacia.
Ne consegue che a una società titolare di farmacia possono legittimamente partecipare – in qualità di soci, farmacisti e non – anche dipendenti pubblici o privati, come pure lavoratori autonomi che svolgano l’attività con carattere di prevalenza rispetto a qualsiasi altra prestazione lavorativa, a condizione che siano soci di mero capitale, e non siano coinvolti in alcun modo nella gestione della farmacia o della società.
Tale principio può essere esteso anche ai soci accomandanti – farmacisti e non – purché gli stessi non vengano in alcun modo coinvolti nella gestione della farmacia o della società. In questo senso, il TAR Toscana con sentenza n.233 del 20 febbraio 2020, ha accolto il ricorso di un mediatore immobiliare, cessionario di una quota di S.a.s. titolare di farmacia, che era stato ritenuto dal Comune di Firenze incompatibile ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. c) L. n. 362/91. I Giudici hanno infatti affermato l’insussistenza di alcuna incompatibilità, non essendo tale soggetto un farmacista iscritto all’albo e non essendo in alcun modo coinvolto nella gestione della S.a.s., all’interno della quale rivestiva la qualifica di accomandante.
In base a tale principio, pertanto, in caso di subentro degli eredi di farmacista o di vendita di farmacia, nessun rilievo ostativo alla permanenza nella società riveste l’eventuale titolarità di un rapporto di lavoro, pubblico o privato, da parte dell’erede del socio defunto o dell’acquirente della farmacia, che non partecipi alla gestione della stessa. Ai sensi dell’art. 7, commi 9 e 10, della L. n. 362/1991, infatti, l’obbligo di cessione, entro sei mesi, della quota acquisita dall’erede del socio o dall’acquirente della società è previsto per il solo caso in cui l’avente causa incorra nelle incompatibilità correlate a qualsiasi altra attività svolta nel settore della produzione e informazione scientifica del farmaco, nonché all’esercizio della professione medica.
L’incompatibilità opera invece per i soci accomandatari ed i soci di una Snc, i quali per definizione svolgono attività di gestione dell’esercizio sociale, come pure per amministratori, consiglieri di CdA, dirigenti apicali della e direttori responsabile della farmacia.
Il medesimo principio, tuttavia, non vale per le società costituite per la gestione di farmacie vinte in sede di concorso straordinario. Come infatti ribadito dalle decisioni del Consiglio di Stato n. 4634 del 20 luglio 2020 e del TAR Toscana n. 233 del 20 febbraio 2020, alla società costituita tra i vincitori di una farmacia in forma associata di applicano, per i primi 3 anni dal rilascio della titolarità pro quota, tutte le condizioni di incompatibilità previste dall’art. 7 comma 2 e dall’art. 8 comma 1 della L. n. 362/1991, compresa quella “con qualsiasi rapporto di lavoro pubblico e privato”. Decorso il triennio, ai titolari pro quota non si applicherà più tale incompatibilità, nei limiti precisati dalla sentenza della Corte costituzionale (purché cioè non vi sia alcun coinvolgimento nella gestione della società).
Avv. Valerio Pandolfini
Avvocato specializzato in diritto farmaceutico
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