La conservazione dei medicinali in farmacia
La corretta conservazione di un medicinale è essenziale per assicurarne la stabilità e il mantenimento del profilo di qualità, sicurezza ed efficacia. I farmacisti sono tenuti a rispettare le rigorose condizioni di conservazione dei farmaci riportate in etichetta. Da una gestione inappropriata dei farmaci possono derivare per i farmacisti sanzioni penali, amministrative e deontologiche. La L. n. n. 3/2018 (c.d. Legge Lorenzin) ha parzialmente depenalizzato la fattispecie della detenzione di medicinali scaduti, dando peraltro luogo ad alcune problematiche ed incertezze applicative. Analizziamo il quadro normativo alla luce delle ultime pronunce della giurisprudenza.
1. Gli obblighi dei farmacisti in ordine alla conservazione dei medicinali
Come è noto, la corretta conservazione di un medicinale è essenziale per assicurarne la stabilità chimica fisica, microbiologica e di conseguenza il mantenimento del profilo di qualità, sicurezza ed efficacia. Le condizioni di conservazione del medicinale, infatti, rappresentano uno dei fattori che influiscono sull’aderenza alla terapia.
I farmacisti – analogamente a tutti gli altri operatori, come i produttori, i distributori e i trasportatori – sono tenuti a rispettare le rigorose condizioni di conservazione dei farmaci riportate in etichetta.
Una non corretta conservazione del medicinale può portare all’instabilità dello stesso, accelerandone i processi di degradazione. L’instabilità può riguardare sia il principio attivo, sia il medicinale finito. Se è vero che una corretta formulazione e un corretto confezionamento sono in grado di inibire molti processi di degradazione, è anche vero che i parametri che determinano le condizioni di conservazione e manipolazione sono in grado di accelerare diversi meccanismi di instabilità.
Ai sensi della Farmacopea Ufficiale Italiana, un medicinale è considerato stabile quando, in un determinato periodo di tempo, le sue proprietà essenziali non cambiano o cambiano entro limiti tollerabili, se conservato in un recipiente adatto in condizioni definite di temperatura, di umiltà e di esposizione alla luce.
La temperatura, in particolare, è rilevante sia in ordine alla velocità dei processi di degradazione, sia in ordine al rischio di sbalzi termici. Sul mercato sono presenti medicinali che presentano diversi livelli di rischio relativo alla conservazione; si passa da prodotti che non richiedono particolari condizioni di conservazione o per i quali non sono riportate informazioni in etichetta, a medicinali termolabili, da conservare a una temperatura compresa tra 2° a 8° C. Quest’ultima condizione chiama in causa la cosiddetta catena del freddo, che deve garantire un’adeguata gestione, conservazione e trasporto dei medicinali.
Le condizioni di conservazione di un medicinale vengono definite in sede di AIC, sulla base dei risultati degli studi di stabilità condotti nella fase pre-autorizzativa. Tali studi hanno l’obiettivo di determinare la variazione della qualità di un medicinale dovuta a fattori ambientali in grado di accelerare la degradazione chimico-fisica del principio attivo e del medicinale finito. Per quanto riguarda la stabilità del prodotto finito, il disegno sugli studi è basato sulle informazioni relative al comportamento, alle proprietà del principio attivo e al dosaggio.
Tutti gli operatori, compresi i farmacisti, sono tenuti al rispetto rigoroso delle condizioni di conservazione dei farmaci, riportate in etichetta.
Le informazioni relative alla temperatura e alle modalità di conservazione dei farmaci da riportare in etichetta sono indicate in una linea guida comunitaria (CPMP/QWP 609/96), recepita nel diritto interno italiano con la circolare n. 2 del Ministero della Sanità del 13 gennaio 2000 e con il D. Dirett. 28 giugno 2001.
Ai sensi di tali norme, è escluso l’uso dell’espressione “temperatura ambiente” sulle etichette dei medicinali, mentre sono previste specifiche dizioni, quali, ad esempio:
- non conservare al di sopra di 30 °C;
- non conservare al di sopra di 25 °C;
- conservare tra 2 °C e 8 °C;
- non congelare né mettere in frigorifero;
- sottozero – conservare nel freezer.
In base all’art. 73 del D.lgs. 219/2006, l’imballaggio esterno, il confezionamento primario dei medicinali deve recare le precauzioni di conservazione, se previste. Tuttavia, è possibile che in etichetta non venga riportata la temperatura di conservazione. In tal caso, nel riassunto delle caratteristiche del prodotto e nel foglietto illustrativo è riportata la dizione “il medicinale non richiede alcuna condizione particolare di conservazione” o “il medicinale non richiede alcuna temperatura speciale di conservazione”. Inoltre, in etichetta può essere riportata l’espressione “non congelare né mettere in frigorifero”.
In etichetta non viene riportata alcuna indicazione sulla temperatura di conservazione quando gli studi di stabilità accelerata hanno dimostrato che il prodotto è stabile per sei mesi a 40 °C + / – 2 °C e a 75% + / – 5% umidità relativa, parametri inclusi nelle escursioni osservate nelle varie zone climatiche dei Paesi dell’Unione europea.
Pertanto, occasionali e temporanee permanenze di prodotti che non riportano indicazioni specifiche in etichetta, a temperatura attorno ai quaranta gradi sono con un regime di conservazione che non compromette la sicurezza o l’efficacia dei farmaci. Tale limite massimo, poiché si configura come una situazione estrema nelle temperature di conservazione, deve essere comunque evitato, privilegiando temperature più basse.
Ferma restando la discrezionalità affidata al responsabile del sistema di qualità, per una ottimizzazione gestionale è preferibile che i farmaci siano conservati ad una temperatura inferiore ai 25 °C, che possa coinvolgere i farmaci con limite a +25, a +30 e quelli senza indicazione.
I farmaci che debbono essere conservati tra i + 2 e i 8 °C, e ancor di più quelli da conservare sottozero, necessitano di attrezzature specifiche ed idonee.
2. Il reato di cui all’art. 443 Codice penale
Qualora un farmacista non segua scrupolosamente quanto riportato sull’etichetta del medicinale in merito alla conservazione del prodotto, lo stesso si espone a varie conseguenze sanzionatorie, sotto il profilo penale, amministrativo e deontologico.
Partendo da quest’ultimo profilo, l’art. 37 comma 5 del Codice deontologico dei farmacisti prevede che è sanzionabile qualsiasi violazione di norme di leggi o regolamenti che disciplinano l’esercizio della professione di farmacista e il servizio farmaceutico. Dunque, la detenzione di farmaci non conservati conformemente alle normative applicabili può comportare l’avvio di un procedimento disciplinare, indipendentemente dall’applicazione di sanzioni amministrative o penali.
Sotto il profilo penale, viene in rilievo la norma di cui all’art. 443 del Codice penale, secondo cui “chiunque detiene per il commercio, pone in commercio o somministra medicinali guasti o imperfetti è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa non inferiore a Euro 103,00″. La norma prevede quindi una sanzione di notevole gravità, che peraltro, ai sensi dell’art. 452 c.p., la pena viene ridotta da un terzo fino ad un sesto qualora il fatto di reato sia stato commesso solamente con colpa.
Come precisato dalla giurisprudenza, ai fini della sussistenza del reato in esame, le nozioni di “commercio e somministrazione” devono ritenersi equivalenti, dal momento che entrambi i comportamenti sono funzionali all’uso effettivo del farmaco e, quindi, idonei a porre in pericolo il bene giuridico tutelato dalla norma.
Si tratta di un reato c.d. di pericolo, per la cui configurazione è sufficiente che il bene protetto (ovvero la salute pubblica) sia appunto messo in pericolo da una determinata condotta, ovvero se il farmaco risulti, per i motivi più vari – deterioramento del prodotto per cause naturali, difettoso dosaggio dei componenti, seppure genuini nella loro essenza, preparazione non secondo le regole e i precetti della tecnica farmaceutica, etc. – privo di efficacia terapeutica, ovvero ne presenti una minore di quella propria, a prescindere dalla verifica circa i danni effettivi che ne possono essere derivati.
Ai fini della configurabilità del reato in questione occorre il c.d. dolo generico, consistente nella “consapevole detenzione per il commercio di medicinali scaduti o imperfetti”. Tale situazione ricorre, ad esempio, qualora si riscontri la presenza di un elevato numero dei medicinali imperfetti, nonché qualora gli stessi siano conservati in modo trascurato o disorganizzato, o comunque non conforme ai doveri professionali del farmacista.
E’ considerato guasto o imperfetto il medicinale non preparato secondo le prescrizioni scientifiche e nel quale non si siano verificate tutte le condizioni per evitare, nei limiti del possibile, ogni pericolo nel suo uso, ovvero per renderlo idoneo al suo scopo. In particolare, i medicinali con termine di validità scaduto (farmaci scaduti) si considerano guasti, sempre che l’avvenuta decorrenza della data di scadenza abbia comportato una riduzione (o l’assoluta privazione) dell’efficacia terapeutica dello stesso.
Secondo la prevalente giurisprudenza, infatti (cfr. Cass. n. 30377/2019), il semplice sopraggiungere della data di scadenza non rende di per sé il farmaco guasto o imperfetto, potendo il principio attivo dello stesso non essere ancora inefficace, specie se a breve distanza dalla scadenza, tenuto conto della massima comune di esperienza per cui un medicinale conserva la propria efficacia terapeutica, anche dopo qualche tempo dalla data di scadenza indicata. In altri termini, la semplice scadenza non è di per sé indice di imperfezione del farmaco.
La giurisprudenza ha altresì precisato che la nozione di medicinale, ai fini del reato in esame, è quella ampia di cui all’art.1, comma 1, lett. a) del D.lgs. n. 219/2006, modificato dal D.lgs. n. 274/2007, il quale intende per medicinale “ogni sostanza o associazione di sostanze presentata come avente proprietà curative o profilattiche delle malattie umane, nonché ogni altra sostanza o associazione di sostanze che possa essere utilizzata sull’uomo o somministrata all’uomo, allo scopo di ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche, esercitando un’azione farmacologica, immunologica o metabolica, ovvero di stabilire una diagnosi medica”. Tale nozione non è quindi circoscritta ai soli preparati che svolgono una funzione terapeutica validata, ma anche ai prodotti omeopatici, che sono sottoposti, in base alla normativa vigente, a procedure di registrazione, etichettatura, rispetto di standard di sicurezza e, di regola, alla farmaco-vigilanza.
3. L’art. 123 Tuls e la Legge Lorenzin
La gestione dei farmaci imperfetti o scaduti trova una sua peculiare e differente regolamentazione in sede amministrativa, nell’art. 123 del Testo Unico delle Leggi Sanitarie (Tuls). Tale norma, prima della riforma operata dalla L. n. 3/2018, stabiliva, nel suo testo originario, che il titolare della farmacia dovesse attivarsi affinché i medicinali, dei quali la farmacia era provvista, non fossero né guasti né imperfetti, prevedendo che, in caso di trasgressione a tale obbligo, si applicassero le pene stabilite dall’art. 443 del Codice penale.
L’inosservanza dell’obbligo del titolare della farmacia di curare che i medicinali detenuti non fossero “guasti o imperfetti” – obbligo che, come si è visto, comprende anche quello di non detenere farmaci scaduti – integrava quindi, sempre e comunque, il delitto di cui all’art. 443 C.p.
Per evitare di incorrere nel reato di cui alla menzionata norma, occorreva che i farmaci fossero conservati in modo da escludere con chiarezza che fossero detenuti per il commercio, ovvero oggettivamente finalizzati al commercio (ad esempio, quando venisse destinato un comparto della farmacia solo ai medicinali scaduti, i quali si potessero quindi ritenere destinati alla distruzione o smaltimento).
Tale dimostrazione non era affatto agevole; in particolare, la giurisprudenza aveva ritenuto che la detenzione dei farmaci per il commercio potesse sussistere anche in mancanza della vendita o dell’esposizione in vendita, essendo sufficiente la loro conservazione in qualsiasi luogo, tale da generare il convincimento che si potesse trattare in realtà di detenzione per il commercio (cfr. Cass. n. 7311/2017).
La L. n. 3/2018 (c.d. Legge Lorenzin), di riforma degli Ordini delle professioni sanitarie, ha tra l’altro modificato la norma in questione, stabilendo che la detenzione di medicinali scaduti, guasti o imperfetti è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da €. 1.500,00 ad €. 3.000,00, “se risulta che, per la modesta quantità di farmaci, le modalità di conservazione e l’ammontare complessivo delle riserve, si può concretamente escludere la loro destinazione al commercio”.
Dunque, per effetto della nuova norma, in caso di detenzione di farmaci guasti, scaduti o imperfetti è prevista solo una sanzione amministrativa pecuniaria, qualora si possa concretamente escludere che i farmaci (scaduti) siano destinati al commercio, tenuto conto di tre elementi (che devono tutti sussistere):
- la modesta quantità dei farmaci;
- le modalità di conservazione
- l’ammontare complessivo delle riserve.
La detenzione di farmaci scaduti in farmacia è stata quindi sostanzialmente depenalizzata – ed assoggettata alla sola sanzione amministrativa – se ricorrono tutti i presupposti di cui sopra, ovvero qualora si accerti:
- la presenza in farmacia di un numero contenuto di medicinali scaduti, in rapporto all’ammontare complessivo delle riserve;
- che detti farmaci sono conservati in un luogo remoto e/o poco accessibile della farmacia, rendendone improbabile la destinazione al commercio, e
- che le quantità delle giacenze complessive esistenti in farmacia al momento dell’ispezione sono tali da far ritenere – con riguardo al numero e alla varietà dei medicinali scaduti, guasti o imperfetti– lieve la trasgressione da parte del farmacista dell’obbligo in questione.
In caso diverso – cioè qualora non si possa concretamente escludere che i farmaci scaduti siano destinati al commercio, alla luce delle circostanze di fatto sopra elencate – scatta il reato di cui all’art. 443 C.p., che continua a sanzionare il commercio o la somministrazione di medicinali guasti.
Peraltro, il primo ed il terzo parametro sopra elencati sono in realtà uno solo, in quanto – come ritenuto anche dal Ministero della Salute, con circolare del giugno 2018 – il modesto numero dei farmaci scaduti può essere valutato solo ponendolo in relazione all’ammontare complessivo delle riserve; in altri termini, se ad esempio di una data specialità viene rinvenuta una confezione scaduta, è probabile che sia destinata al commercio se non ve ne siano altre, meno probabile se invece ve ne siano altre dieci non scadute.
La nuova formulazione della norma di cui all’art. 123 Tuls è stata oggetto di interpretazione del Tribunale di Roma, che, con sentenza del 22 marzo 2018, ha ritenuto esente da responsabilità penale la condotta di un farmacista che, per mera negligenza, aveva lasciato alcune confezioni di farmaci scaduti all’interno di un armadio contenente altri farmaci, poi commercializzati. Secondo il Tribunale romano, infatti, le confezioni dei farmaci scaduti presentavano scarso valore commerciale ed erano in quantità minima rispetto ai farmaci non scaduti, per cui risultava del tutto evidente che una simile condotta potesse rientrare a pieno titolo nel rinnovato illecito amministrativo di cui all’art.123 Tuls.
4. Incertezze applicative e perplessità in merito alla riforma dell’art. 123 Tuls
La nuova formulazione dell’art. 123 Tuls ha destato alcune critiche e perplessità sotto il profilo applicativo. Come si è visto, affinché la sanzione amministrativa di cui alla norma in esame non trovi applicazione, occorre che si debba concretamente escludere” che i farmaci scaduti detenuti in farmacia possano essere destinati al commercio. Tuttavia, i parametri previsti dalla norma appaiono abbastanza vaghi e indeterminabili, prestandosi così a diverse interpretazioni discrezionali da parte degli organi di vigilanza e dall’autorità giudiziaria.
Come previsto dalle varie linee guida e vademecum per il farmacista (anche ospedaliero, i farmaci scaduti (così come quelli “guasti o imperfetti”) devono essere puntualmente e rigorosamente rimossi dagli scaffali (sia nello spazio destinato agli OTC e alla dispensazione al banco che nei locali interni della farmacia), entro l’ultimo giorno del mese di scadenza indicato nella confezione, e devono essere riposti in appositi contenitori chiusi e separati da quelli in cui si trovano i farmaci in corso di validità.
Tale precauzione certamente scongiura la configurazione del reato di cui all’art. 443 C.p.; ma può essere sempre considerata sufficiente anche per scongiurare l’applicazione di una sanzione amministrativa ai sensi dell’art. 123 Tuls?
Una ulteriore accortezza può essere costituita dalla dicitura, sul contenitore dei medicinali scaduti, “prodotti non vendibili, scaduti, destinati alla distruzione”, o simili. Ma l’impiego di tale dicitura, che può senz’latro schermare il farmacista da responsabilità penale, vale a schermarlo anche dalla responsabilità amministrativa?
Infatti, in virtù della formulazione della norma di cui all’art. 123 Tuls, il fatto che i medicinali scaduti, revocati o non vendibili per qualsiasi altra causa vengano accantonati in un luogo prestabilito della farmacia, con la chiara indicazione che si tratta di prodotti non destinati alla vendita, espone paradossalmente il titolare della farmacia a sanzione amministrativa, la quale scatta qualora sia “concretamente” possibile escludere la destinazione dei farmaci al commercio, e cioè quando sulla base di precise circostanze di fatto – come appunto in presenza di un contenitore recante la dicitura “scaduti” o analoga – si possa senz’altro escludere tale destinazione.
Occorre del resto considerare che, in virtù delle convenzioni attualmente in essere con le società che curano lo smaltimento dei farmaci scaduti, questi ultimi possono restare per notevole tempo nelle farmacie; ciò, di fatto, può contribuire ad aumentare il numero di farmaci scaduti in rapporto all’ammontare delle riserve, aumentando così, di pari passo, il rischio che in caso di ispezione da parte dell’autorità di vigilanza possa essere comunque irrogata una sanzione amministrativa.
Le farmacie sembrano quindi esposte, in base alla norma di cui all’art. 123 Tuls, ad una duplice alternativa:
- se i medicinali scaduti presenti in farmacia sono conservati con modalità tali da non escludere la loro destinazione alla dispensazione al pubblico, si applicano le sanzioni penali di cui agli artt. 443 e 452 C.p.;
- se invece i medicinali scaduti, per la loro quantità assoluta o relativa e/o per le modalità di conservazione, sono detenuti in modo da escludere la loro destinazione al commercio, si applica la sanzione amministrativa.
La situazione appare poi ancora più critica nel caso degli stupefacenti. Per questi ultimi, infatti, una Circolare del Ministero della Salute del 2011 prevede che i farmacisti sono tenuti a segnalare le sostanze stupefacenti scadute alla Asl, la quale ne constata effettivamente la presenza in farmacia e, solo dopo il sopralluogo, ne dispone la distruzione. Il farmacista è dunque tenuto a conservare in farmacia gli stupefacenti scaduti fino all’intervento della Asl, esponendosi così sistematicamente a sanzione amministrativa.
Avv. Valerio Pandolfini
Avvocato specializzato in diritto farmaceutico
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