I brevetti farmaceutici
Il brevetto è lo strumento attraverso il quale si assicura all’inventore il diritto di utilizzazione esclusiva dell’invenzione per 20 anni dalla data di deposito della domanda, obbligandolo a rendere accessibile al pubblico la descrizione dettagliata della sua invenzione. Per mezzo di tale descrizione, altri inventori possono trarre ispirazione per successive ulteriori invenzioni, contribuendo al progresso scientifico. In ambito farmaceutico vi sono regole specifiche che è necessario osservare, date da aspetti tecnici tipici del settore. Una di queste particolarità è la possibilità di ottenere un prolungamento della protezione brevettuale (Supplementary Protection Certificate) al fine di recuperare il tempo che necessariamente intercorre tra il deposito della domanda di brevetto e l’effettiva commercializzazione del farmaco. Vi sono inoltre determinati requisiti che deve possedere un’invenzione industriale per poter ottenere la tutela brevettuale; tra questi, la novità e attività inventiva riferiti a un’invenzione farmaceutica presentano aspetti peculiari.
1. Il brevetto
Il brevetto è l’istituto giuridico attraverso il quale si assicura ad un soggetto il diritto di utilizzazione esclusiva dell’invenzione per un certo periodo di tempo dalla data di deposito della relativa domanda.
Per diritto di utilizzazione esclusiva si intende il diritto di impedire a terzi di produrre, usare, mettere in commercio, vendere o importare l’oggetto del brevetto in questione, salvo se con il consenso del titolare.
Il brevetto si fonda su una logica di rivelazione e di trasparenza sulla struttura del trovato; l’inventore mette a disposizione della collettività pubblica la propria invenzione, offrendone una descrizione adeguata; a fronte di ciò, la collettività remunera l’inventore per aver accresciuto il patrimonio tecnico-scientifico collettivo, attribuendogli un diritto esclusivo di sfruttamento della stessa.
Al titolare del brevetto è concessa la possibilità di sfruttare l’invenzione e trarre profitto da essa in regime di monopolio finché è valida la copertura brevettuale – permettendo così il ritorno economico degli investimenti effettuati precedentemente – obbligandolo, tuttavia, a rendere accessibile al pubblico la descrizione dettagliata della sua invenzione. Per mezzo di tale descrizione, altri inventori possono trarre ispirazione per successive ulteriori invenzioni, contribuendo al progresso scientifico.
Un’invenzione può riguardare:
- un bene materiale, quali ad esempio, un prodotto, una molecola, una composizione (c.d. brevetto di prodotto);
- un metodo o un procedimento, quali ad esempio, un metodo per rilevare dati da un campione, un metodo per preparare un certo prodotto (c.d. brevetto di procedimento);
- nuovi metodi per utilizzare (o usi) un bene materiale già conosciuto (cd. brevetto di uso).
Il brevetto conferisce al titolare i seguenti diritti esclusivi:
- se oggetto del brevetto è un prodotto, il diritto di vietare ai terzi, salvo consenso del titolare, di produrre, usare, mettere in commercio, vendere o importare a tali fini il prodotto in questione;
- se oggetto del brevetto è un procedimento, il diritto di vietare ai terzi, salvo consenso del titolare, di applicare il procedimento, nonché di usare, mettere in commercio, vendere o importare a tali fini il prodotto direttamente ottenuto con il procedimento in questione.
Le fonti che disciplinano i brevetti sono molte e variegate. In estrema sintesi, per quanto concerne il brevetto in generale, la principale fonte nazionale di diritto brevettuale è il Codice di proprietà industriale (D. lgs. n. 30/2005, di seguito “CPI”).
I brevetti sono governati dal principio di territorialità, per il quale ogni brevetto ha validità e può essere sfruttato solo nello Stato per il quale è stato concesso dall’Ufficio brevetti competente. Un inventore può quindi presentare domanda di brevetto in uno o più Stati, in base al suo interesse a sfruttare l’invenzione solo a livello nazionale oppure all’interno di più Stati. In tale ultimo caso, l’inventore dovrà aprire tante procedure di richiesta del brevetto, presso ogni Ente nazionale competente, quanti sono gli Stati in cui intende sfruttare l’invenzione.
Esistono tuttavia diverse convenzioni internazionali in materia brevettuale. Al livello europeo, l’accordo più rilevante è la Convenzione di Monaco sul brevetto europeo, European Patent Convention (EPC), sottoscritta nel 1973 ed entrata in vigore nel 1977. Questa Convenzione, cui hanno aderito quasi tutti gli Stati europei, inclusa l’Italia, ha istituito il Brevetto Europeo, che si sostanzia in un fascio di brevetti nazionali aventi efficacia in ciascuno degli Stati aderenti alla Convenzione, rilasciato attraverso una procedura unificata presso l’Ufficio Europeo dei Brevetti (European Patent Office, EPO), con sede a Monaco di Baviera.
L’EPO, prima di rilasciare il Brevetto Europeo verifica la presenza dei requisiti di brevettabilità dell’invenzione, previsti dalla stessa Convenzione di Monaco. Una volta che l’EPO ha terminato la sua istruttoria e si è espresso favorevolmente, si avviano le fasi amministrative a cura dei diversi uffici statali, al termine delle quali il brevetto europeo che viene rilasciato si declina nelle diverse porzioni nazionali.
Nonostante le norme sui requisiti e su altri aspetti del brevetto, come durata e diritti conferiti dal brevetto, e la procedura di rilascio siano uniche, il Brevetto Europeo non è quindi un brevetto unico, ma si sostanzia in un fascio di brevetti nazionali, ciascuno dei quali sottoposto alle norme interne di ciascun Stato aderente alla Convenzione.
2. Il principio di territorialità e il principio di esaurimento del brevetto
I diritti esclusivi che discendono dal brevetto rilasciato in ambito nazionale dall’Ufficio Italiano Brevetti sono circoscritti, in base al principio di territorialità, al territorio italiano. Il brevetto nazionale consente quindi di qualificare come contraffazione la produzione in Italia, effettuata da terzi non titolari del brevetto, del prodotto oggetto di brevetto, anche se destinato all’esportazione, e l’importazione per la vendita in Italia del prodotto fabbricato all’estero. Deve invece considerarsi lecito il mero transito, senza quindi alcun passaggio giuridico da un soggetto ad un altro, di prodotti fabbricati all’estero e destinati ad essere riesportati.
L’esclusiva attribuita dal brevetto al suo titolare trova un limite nel principio di esaurimento nazionale, disciplinato dall’art. 5 CPI, secondo cui il diritto del titolare si esaurisce con il primo atto legittimo di messa in commercio del prodotto brevettato ad opera del titolare stesso. Il titolare del brevetto può quindi legittimamente decidere se immettere nel mercato dello Stato il prodotto brevettato, oppure autorizzare un terzo a mettere in commercio il prodotto, ma, una volta che tale immissione è legittimamente avvenuta, non ha più alcun potere di controllare o limitare l’ulteriore circolazione del prodotto.
L’art. 5 comma secondo CPI, tuttavia, consente al titolare del brevetto di opporsi all’ulteriore commercializzazione dei prodotti nel caso sussistano motivi legittimi e, in particolare, quando lo stato di questi è modificato o alterato dopo la loro immissione in commercio.
La ratio del principio di esaurimento nazionale è duplice: da un lato, evitare che i mercati nazionali vengano frazionati; dall’altro, proteggere le imprese nazionali dalla forte spinta competitiva, proveniente dall’estero, delle importazioni parallele. Grazie al principio dell’esaurimento, chi acquista il prodotto brevettato, dopo la prima immissione di questo sul mercato ad opera del titolare del brevetto, può quindi rivenderlo, creando un mercato secondario nel quale il bene può essere proposto anche ad un prezzo inferiore.
L’esaurimento nazionale di un prodotto, comunque, ha effetto solo nel territorio dello Stato in cui si è avuto il primo atto di immissione in commercio da parte del titolare del brevetto, e non comporta l’esaurimento dei diritti del titolare in un altro Stato in cui abbia eventualmente ottenuto il brevetto.
In base al principio di territorialità, il titolare di tali brevetti potrebbe impedire ad un operatore commerciale di acquistare il prodotto brevettato in uno degli Stati dello Spazio economico europeo (SEE), (Paesi dell’Unione Europea, Islanda, Norvegia e Liechtenstein), per poi rivenderlo in un altro Stato del SEE, in quanto anche tale attività di importazione del prodotto costituirebbe contraffazione. Un’impresa potrebbe quindi cercare di mantenere i vari mercati nazionali in cui opera distinti, imponendo prezzi differenziati a seconda del mercato di riferimento, ed andando così a dividere quello che dovrebbe essere un Mercato Comune.
Per tali ragioni, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha stabilito che la facoltà esclusiva del titolare del brevetto si estende anche al commercio del prodotto a cui l’invenzione si riferisce, ma si esaurisce una volta che il prodotto sia stato messo in commercio dal titolare del brevetto o con il suo consenso nel territorio dello Stato o nel territorio di uno Stato membro della Comunità europea o del SEE.
Se, pertanto, il titolare di un brevetto italiano immette il prodotto protetto nel mercato italiano, egli non potrà più impedire che un terzo acquisti tale prodotto in Italia per rivenderlo in un altro Stato del SEE nel quale il titolare del brevetto abbia conseguito un brevetto parallelo sull’invenzione.
3. I brevetti farmaceutici
il brevetto è nato in ambito prevalentemente meccanico, al fine di garantire un riconoscimento agli inventori per i loro prodotti e sollecitare così il progresso. Nel tempo, la tutela brevettuale si è gradualmente estesa, fino a ricomprendere tutte le invenzioni umane in ambito tecnico, ivi compreso l’ambito farmaceutico.
L’art. 8, comma 3, del D. Lgs n. 219/2006, dispone che, per ottenere l’AIC di un farmaco, è necessario che nella relativa domanda siano riportati una serie di informazioni e documenti, tra cui i risultati delle prove farmaceutiche (chimico-fisiche, biologiche o microbiologiche), delle prove precliniche (tossicologiche e farmacologiche) e delle sperimentazioni cliniche. La presentazione di tali prove richiede, da parte delle aziende farmaceutiche, sostanziali investimenti in termini di tempo e di risorse umane, strutturali ed economiche, tali per cui un’azienda, una volta ottenuta l’AIC, può decidere – al ricorrere di determinati presupposti – di tutelare il proprio prodotto attraverso la copertura brevettuale.
La tutela brevettuale si presenta, in questo senso, quale soluzione ideale a fronte degli elevati costi di produzione di un farmaco rappresentando una prospettiva di recupero dei costi di ricerca e sviluppo e finanche di guadagno monopolistico. Essere titolari dell’AIC di un medicinale non significa, infatti, godere anche di un diritto di privativa sul medesimo nei confronti dei terzi; solo il brevetto sul medicinale, che può essere concesso temporalmente solo dopo l’ottenimento dell’AIC, è in grado di garantire al titolare la possibilità esclusiva non solo di vendere il prodotto, ma anche di vietare a chiunque altro di farlo senza aver ottenuto la sua autorizzazione (ad esempio, attraverso l’ottenimento di una licenza).
Anche i brevetti in campo chimico-farmaceutico possono riguardare nuovi prodotti (brevetto di prodotto), oppure nuovi metodi per preparare prodotti anche già conosciuti (brevetto di procedimento), oppure ancora metodi nuovi e ulteriori per utilizzare tali prodotti (brevetto di uso).
4. I requisiti di brevettabilità dei medicinali
Affinché un’invenzione sia brevettabile, è necessario che soddisfi determinati requisiti – validi per tutte le invenzioni, ivi comprese quelle in ambito farmaceutico – ovvero:
- industrialità;
- novità;
- originalità;
- liceità;
- descrizione dell’invenzione in modo sufficientemente chiaro, tale da consentirne l’attuazione ad una persona esperta del ramo.
4.1. L’industrialità
Ai sensi dell’art. 49 CPI, un’invenzione è considerata atta ad avere un’applicazione industriale se il suo oggetto può essere fabbricato o utilizzato in qualsiasi genere di industria.
Per essere brevettabile, l’invenzione deve proporre uno scopo tecnicamente raggiungibile, e deve funzionare secondo il suo scopo, riuscendo a conseguire il risultato per un numero potenzialmente indeterminato di volte con risultati costanti.
L’accesso alla tutela brevettuale è quindi circoscritto alle sole ideazioni che si realizzano con modalità orientate al mercato industriale, non essendo brevettabili trovati irrealizzabili o privi di un effettivo e tangibile contenuto materiale. In altri termini, l’invenzione, pur essendo un bene immateriale, per soddisfare il requisito dell’industrialità, deve necessariamente produrre un risultato materiale.
L’industrialità non implica il riferimento esclusivo ad uno specifico settore, ma è sufficiente l’idoneità dell’invenzione ad essere sfruttata in qualsiasi genere di industria.
L’industrialità non deve essere confusa con l’utilità, essendo irrilevanti il valore economico, l’effettiva convenienza, la possibilità di produzione in serie o su larga scala o l’utilità, appunto, dell’invenzione.
4.2. La novità
Ai sensi dell’art. 46 CPI, un’invenzione è considerata nuova se non è compresa nello stato della tecnica. Lo stato della tecnica è costituito da tutto ciò che è stato reso accessibile al pubblico nel territorio dello Stato o all’estero prima della data di deposito della domanda di brevetto, mediante una descrizione scritta od orale, una utilizzazione o un qualsiasi altro mezzo.
Non ricorre il requisito della novità qualora l’inventore, volontariamente o involontariamente, comunichi l’invenzione a terzi prima di depositare la domanda di brevetto, rendendo così renda accessibile al pubblico l’invenzione (c.d. predivulgazione) È pertanto necessario che, fino alla domanda di brevetto, l’inventore mantenga la più assoluta segretezza sull’invenzione.
Si ritiene tuttavia che non si abbia perdita di novità quando l’invenzione venga comunicata a terzi sotto vincolo di segreto, ad es. nel caso in cui l’inventore abbia necessità di sperimentare l’invenzione. Qualora il soggetto tenuto al segreto viola tale obbligo, si perderà il requisito della novità, a meno che, come stabilito dall’art. 47 CPI, la domanda di brevetto non venga depositata entro sei mesi dalla predivulgazione, e quest’ultima risulti direttamente o indirettamente da un abuso evidente ai danni del richiedente o del suo dante causa. Esclusa tale possibilità, l’inventore potrà soltanto agire contro chi abbia violato il vincolo di segretezza per il risarcimento del danno subìto.
Ai sensi dell’art. 46, comma 3 CPI, è considerato come compreso nello stato della tecnica il contenuto di domande di brevetto italiano o di domande di brevetto europeo designanti l’Italia, così come sono state depositate, che abbiano una data di deposito anteriore alla domanda di brevetto e che siano state pubblicate o rese accessibili al pubblico anche in questa data o più tardi (c.d. anteriorità).
Costituiscono anteriorità le domande di brevetto precedenti, le descrizioni dell’invenzione fatte in pubblicazioni scientifiche o tecniche e la vendita, l’offerta in vendita, la pubblicità e l’esposizione del prodotto che incorpora l’invenzione, se consentono ai terzi di comprendere in cosa consiste l’invenzione stessa. Se invece l’anteriorità è costituita da un uso anteriore da parte di un terzo, questa produce distruzione della novità solo se si tratta di un uso che rende accessibile al pubblico l’invenzione; se invece l’uso si svolge in segreto non impedisce la brevettazione altrui, ma l’utilizzatore conserverà un diritto di preuso.
In ambito farmaceutico, spesso le sostanze o i materiali biologici sono già presenti in natura, e questo potrebbe portare a ritenerli già compresi nello stato della tecnica, impedendone quindi la brevettabilità per mancanza del requisito della novità. Tuttavia, l’invenzione avente ad oggetto una sostanza identica ad una preesistente in natura può essere considerata nuova qualora questa sia prodotta in modo tale da risultare in una forma purificata rispetto a quella preesistente in natura.
In questo senso, l’ultimo comma dell’art. 46 CPI dispone che un’invenzione può consistere nella nuova utilizzazione di una sostanza nota, senza che la notorietà della sostanza pregiudichi la validità del brevetto. La scoperta di nuove proprietà di una sostanza nota che ne consentono l’utilizzo al fine di soddisfare un bisogno dell’uomo che, fino a quel momento, la sostanza non sembrava poter soddisfare, è dunque sufficiente per avere un’invenzione validamente brevettabile.
Questa soluzione è stata confermata dall’art. 54 della Convenzione sul Brevetto Europeo, che consente la valida brevettazione di una nuova utilizzazione terapeutica di una sostanza già compresa nello stato della tecnica, intendendosi per “nuova utilizzazione terapeutica” il trattamento di una nuova patologia, di una nuova tipologia di pazienti, attraverso una nuova via di somministrazione o con un nuovo regime di dosaggio.
Resta tuttavia oggetto di discussione il requisito della novità in riferimento ai “risultati o effetti inerenti”. Può infatti accadere che una sostanza o una composizione note, che vengono utilizzate per un loro determinato effetto, possano essere utilizzate anche per un effetto ulteriore e diverso che, tuttavia, rimane inizialmente sconosciuto e viene svelato solo successivamente. In tali ipotesi, L’Ufficio Brevetti Europeo ha deciso che un effetto che si produca in modo “inerente” in un’utilizzazione già nota di una sostanza o di un prodotto, non può essere considerato solo per tale inerenza privo di novità.
4.3. L’originalità o attività inventiva
Ai sensi dell’art. 48 CPI, un’invenzione implica un’attività inventiva se, per una persona esperta del ramo, essa non risulta in modo evidente dallo stato della tecnica.
Il requisito dell’originalità o attività inventiva ha la finalità di impedire la brevettazione di un trovato per il solo fatto che esso sia nuovo, cioè non compreso nello stato della tecnica, riservando la protezione brevettuale alle sole invenzioni che, oltre ad essere nuove, si differenzino qualitativamente dallo stato della tecnica, richiedendo per il loro conseguimento anche il compimento di un’attività qualificabile come inventiva.
La non ovvietà segna quindi una linea di confine tra l’invenzione che, facendo parte del normale evolversi di ciascun settore, è alla portata dei tanti soggetti che in quel settore operano, e quella che, essendo frutto di un’idea che supera le normali prospettive evolutive del settore, si distacca da esso, non essendo deducibile per semplici e agevoli passaggi mentali, senza tuttavia richiedere un notevole progresso tecnico. L’originalità viene quindi intesa come non evidenza per la persona esperta del settore.
La persona esperta del ramo è una figura ideale, la quale ha conoscenze complete dello stato della tecnica nel settore cui attiene l’invenzione ed ha le capacità che mediamente gli operatori di quel settore possiedono.
Lo stato della tecnica, cui si riferisce l’art. 48 CPI, è inteso come un patrimonio mobile, in continuo e progressivo accrescimento grazie alle continue innovazioni che vengono quotidianamente realizzate dagli operatori di ciascun settore. Gli elementi che permettono di valutare l’originalità di un’invenzione sono gli indizi di evidenza o non evidenza, dati oggettivi, tratti dalla realtà, dalle caratteristiche tecniche dell’invenzione e dalla storia del settore cui l’invenzione fa riferimento.
Gli indizi di non evidenza sono, innanzitutto, il progresso tecnico che l’invenzione consegue, la c.d. mano felice – che si ha quando l’inventore trova la soluzione migliore senza dover percorrere tutte le diverse alternative – e la c.d. prova storica, in cui rientrano il superamento di particolari difficoltà, l’esistenza di ostacoli tecnici, la preesistenza di un pregiudizio tecnico per il quale si pensava che la via percorsa dall’invenzione non fosse quella corretta, la soddisfazione di un bisogno da tempo avvertito ma rimasto a lungo insoddisfatto e l’esistenza di tentativi rimasti infruttuosi e risolti dall’invenzione.
L’Ufficio Europeo dei Brevetti nel tempo ha sviluppato ed applica il metodo di esame dell’attività inventiva chiamato “Problem and Solution Approach”, o “could-would Approach”. Questo metodo si struttura in tre passaggi fondamentali:
- si individua lo stato dell’arte più prossimo all’invenzione da valutare, e cioè quello che costituirebbe il punto di partenza migliore per il tecnico medio al fine di risolvere il problema;
- si determina il problema tecnico che l’invenzione ha risolto;
- si verifica se il tecnico medio avrebbe solo potuto realizzare l’invenzione (could) o se l’avrebbe senz’altro realizzata (would).
In ambito farmaceutico, per brevettare un’invenzione farmaceutica è necessario dimostrare che l’effetto dichiarato per il trattamento di una determinata patologia sia stato realmente conseguito; ciò è possibile di norma fornendo risultati sperimentali. Successivamente, si valuta se quella soluzione a quel problema poteva risultare ovvia all’esperto.
L’esame dell’attività inventiva consiste innanzitutto nel verificare se lo stato della tecnica aveva fornito un suggerimento per risolvere il problema in un certo modo, rendendo tale soluzione ovvia all’esperto. Se si dimostra che l’esperto non aveva una valida motivazione per risolvere il problema tecnico come proposto dalla domanda di brevetto, allora si può dire che l’invenzione è dotata di attività inventiva.
Inoltre, è importante stabilire se l’esperto avrebbe seguito tale insegnamento con una ragionevole aspettativa di successo. Tanto più inesplorato è un ambito di ricerca tanto più difficile diventa prevedere la sua conclusione e, di conseguenza, minore sarà l’aspettativa di successo.
Se l’esperto realizza un’invenzione nuova, ma lo fa semplicemente seguendo gli insegnamenti della tecnica, con la disponibilità di tutti i mezzi e le conoscenze necessari per realizzarla, la probabilità di fallire può essere scarsa; in tal caso, l’invenzione non si considera inventiva né brevettabile.
4.4 La liceità
Ai sensi dell’art. 50 CPI, non sono brevettabili le invenzioni la cui attuazione è contraria all’ordine pubblico o al buon costume. L’attuazione di un’invenzione non può essere considerata contraria all’ordine pubblico o al buon costume per il solo fatto di essere vietata da una disposizione di legge o amministrativa.
Il rilascio del brevetto, d’altronde, non implica anche l’autorizzazione all’uso dell’invenzione, poiché tale uso può essere vietato o comunque regolato dalla legge, come accade, ad esempio, con le invenzioni aventi ad oggetto farmaci. Il rilascio del brevetto è quindi escluso solo per le invenzioni per le quali non è ipotizzabile neppure un uso lecito, e quindi destinate univocamente a fini nocivi o contrari alla morale; mentre, se è possibile almeno un uso lecito, l’invenzione è brevettabile.
4.5. La sufficiente descrizione
Il requisito della sufficiente descrizione, a differenza dei requisiti esaminati in precedenza, non attiene alla struttura dell’invenzione, ma alla redazione del brevetto inteso come documento. Ai sensi dell’art. 51 CPI, alla domanda di concessione di brevetto per invenzione industriale debbono unirsi la descrizione, le rivendicazioni e i disegni necessari alla sua intelligenza; inoltre, l’invenzione deve essere descritta in modo sufficientemente chiaro e completo perché ogni persona esperta del ramo possa attuarla.
L’art. 21 del DM n. 33/2010 dispone in proposito che la descrizione deve:
- specificare il campo della tecnica a cui l’invenzione fa riferimento;
- indicare lo stato della tecnica preesistente, per quanto a conoscenza dell’inventore, che sia utile alla comprensione dell’invenzione e all’effettuazione della ricerca, fornendo eventualmente i riferimenti a documenti specifici;
- esporre l’invenzione in modo tale che il problema tecnico e la soluzione proposta possano essere compresi;
- descrivere brevemente gli eventuali disegni;
- descrivere in dettaglio almeno un modo di attuazione dell’invenzione, fornendo esempi appropriati e facendo riferimento ai disegni, laddove questi siano presenti;
- indicare esplicitamente, se ciò non risulti già ovvio dalla descrizione o dalla natura dell’invenzione, il modo in cui l’invenzione può essere utilizzata in ambito industriale.
La descrizione deve mettere in condizione di poter attuare l’invenzione una persona esperta del ramo basandosi solamente sulla descrizione stessa, e deve avere ad oggetto un’unica invenzione. Inoltre, dalla domanda di brevetto e dalle rivendicazioni deve emergere anche la destinazione d’uso dell’invenzione, al fine di impedire che la tutela brevettuale possa estendersi ad utilizzazioni non descritte né rivendicate dall’inventore. Con ciò si intende non penalizzare ingiustamente la subsequent innovation, consentendo che i terzi sviluppino ed attuino nuovi usi del prodotto brevettato che non erano stati previsti dal titolare del brevetto.
5. Gli usi leciti delle invenzioni farmaceutiche coperte da brevetto
L’art. 68 CPI prevede alcune ipotesi di uso lecito delle invenzioni altrui, ipotesi nelle quali si assiste, quindi, ad una limitazione del diritto esclusivo del titolare del brevetto, per evitare di pregiudicare eccessivamente la concorrenza.
Si tratta delle seguenti ipotesi:
- atti compiuti in ambito privato e a fini non commerciali;
- atti compiuti a titolo sperimentale;
- sperimentazioni per l’ottenimento di un’autorizzazione all’immissione in commercio di un farmaco;
- l’eccezione galenica.
5.1. Gli atti privati
La prima ipotesi di uso lecito di un’invenzione brevettata è disciplinata dal primo comma, lett. a), dell’art. 68 CPI, e riguarda gli atti compiuti in ambito privato e a fini non commerciali.
La limitazione è finalizzata ad evitare che la tutela delle invenzioni industriali si trasformi in un’intollerabile invasione della sfera strettamente privata e domestica dei cittadini, la cui inviolabilità costituisce un diritto costituzionalmente garantito (art. 2 Cost.).
Non costituisce quindi violazione dell’esclusiva industriale l’utilizzo domestico, personale o di studio -quest’ultimo da intendersi a livello individuale, e dunque distinto dalle attività di ricerca, contemplate dalla seconda parte della lett. a), miranti all’evoluzione delle conoscenze scientifiche nel settore – di un brevetto che non sia condotto con finalità commerciali, cioè con scopo di profitto, indipendentemente dal fatto che il soggetto agisca in buona o mala fede (ossia avente cognizione o meno dell’effettiva esistenza di un brevetto altrui).
Non rientrano invece nell’esenzione in oggetto tutti gli usi imprenditoriali, anche d’impresa non commerciale, e gli usi professionali, nonché tutte quelle attività che, pur difettando del requisito della professionalità (e non essendo pertanto definibili imprenditoriali ai sensi dell’art. 2082 c.c.), siano comunque da considerarsi economiche.
5.2. Gli usi in via sperimentale
La seconda ipotesi, disciplinata dalla lett. a-bis), primo comma, dell’art. 68 CPI, concerne gli atti compiuti a titolo sperimentale relativi all’oggetto dell’invenzione brevettata (c.d. “experimental use exemption”).
Tale limitazione mira ad assicurare che l’esercizio dei diritti esclusivi derivanti dal brevetto non ostacoli la libertà di ricerca scientifica, in modo da incentivare lo sviluppo, il progresso tecnologico e la ricerca. L’interesse generale al progresso tecnico impone quindi che l’invenzione, una volta messa a disposizione della collettività, possa essere sperimentata permettendone il suo superamento mediante un’invenzione ulteriore.
È indifferente chi sia il soggetto che svolge tale sperimentazione, potendo essere compiuta da singoli ricercatori, centri di ricerca autonomi o inseriti in ambiti imprenditoriali, Università etc. Oggetto dell’esenzione sono anche, e soprattutto, le sperimentazioni che vengono condotte nel contesto dell’attività di impresa, perseguendo l’obiettivo di trarne profitto, e non soltanto quelle compiute nell’ambito delle ricerca pura, condotta da istituzioni scientifiche prive di finalità di lucro. L’esenzione sperimentale si applica infatti a prescindere dall’ambito in cui essa viene realizzata (che si tratti di un ente pubblico ovvero di un’impresa privata), senza alcun limite riguardo alle specifiche modalità organizzative o produttive in cui si svolge l’attività di ricerca (che può quindi essere svolta direttamente o essere affidata a terzi).
Affinché possano godere dell’esclusione, le attività sperimentali devono essere idonee a conseguire un progresso tecnico, sulla base di una valutazione condotta ex ante e non ex post (ossia sui risultati effettivamente conseguiti) e con riferimento alle caratteristiche oggettive del tipo di sperimentazioni condotte e non agli scopi soggettivamente perseguiti dallo sperimentatore.
5.3. Le sperimentazioni per l’ottenimento di un’autorizzazione all’immissione in commercio di un farmaco
La lett. b) del primo comma dell’art. 68 CPI stabilisce che la facoltà esclusiva attribuita dal diritto di brevetto non si estende agli studi e delle sperimentazioni di un farmaco coperto da brevetto altrui, finalizzate all’ottenimento, anche in Paesi esteri, di un’autorizzazione all’immissione in commercio di un farmaco ed ai conseguenti adempimenti pratici, ivi compresi la preparazione e l’utilizzazione delle materie prime farmacologicamente attive a ciò strettamente necessarie (c.d. clinical trials).
A differenza dell’esenzione prevista alla lett. a), che concerne tutte le sperimentazioni volte ad ottenere nuove conoscenze (e che, solo eventualmente o indirettamente realizzano uno scopo commerciale), l’esenzione prevista alla lett. b) riguarda le attività meramente applicative, aventi quale obiettivo l’ottenimento di un’autorizzazione all’immissione in commercio di un farmaco (e che, quindi, un interesse di natura economica lo realizzano direttamente).
Il comma 1 bis prevede poi che le aziende che intendono produrre specialità farmaceutiche al di fuori della copertura brevettuale possono avviare la procedura di registrazione del prodotto contenente il principio attivo in anticipo di un anno rispetto alla scadenza della copertura complementare o, in mancanza, della copertura brevettuale del principio attivo, tenuto conto anche di ogni eventuale proroga.
Sono quindi lecite non soltanto le prove di sperimentazione in senso stretto, aventi lo scopo di sviluppare il prodotto, ma anche quelle che sono dirette a ottenere la autorizzazione alla messa in commercio del prodotto sviluppato.
Si tratta della cd. “Bolar clause”, la quale trae origine dalla controversia fra Roche Products e la Bolar Pharmaceutical Co. del 1984. La Corte Federale aveva condannato Bolar, produttore di farmaci generici (cioè farmaci non più coperti da brevetto), per alcune sperimentazioni cliniche che il produttore aveva eseguito al fine di dimostrare la bioequivalenza di un farmaco brevettato da Roche al fine di ottenere l’autorizzazione all’immissione in commercio del farmaco generico dopo la scadenza del brevetto. Al fine di neutralizzare la sentenza della Corte Federale, ed affermare quindi la legittimità del comportamento di Bolar, il Congresso americano emanò il Drug price and patent term restoration Act, noto anche con il nome di Hatch-Waxman Act, che introdusse la research exemption, cioè una protezione da azioni legali per violazione di brevetti alle imprese produttrici di farmaci generici durante il periodo in cui tali imprese stiano preparando una richiesta di autorizzazione all’immissione in commercio per il farmaco generico. In questo periodo, perciò, le imprese sono legittimate ad eseguire studi di bioequivalenza sul farmaco brevettato. Lo stesso principio è stato poi sancito, in ambito europeo, dalla Direttiva 2004/27/CE .
La ratio di questo principio consiste nel fatto che, dopo la scadenza del termine di efficacia del brevetto, l’invenzione cade in pubblico dominio, legittimando qualsiasi terzo ad entrare nel mercato di tale prodotto immediatamente dopo la scadenza del brevetto. È quindi ragionevole concedere a tali terzi la possibilità di compiere atti preparatori, prima della scadenza del brevetto, necessari all’ottenimento dell’autorizzazione all’immissione in commercio.
Tale esenzione si fonda dunque sulla duplice esigenza di impedire che le procedure per il rilascio di una AIC restringano il diritto dei terzi ad entrare nel mercato del prodotto brevettato immediatamente dopo la scadenza del titolo, e di evitare che l’esclusiva del titolare del farmaco innovatore si estenda sostanzialmente anche dopo la scadenza della privativa.
La “Bolar clause” trova la sua principale applicazione in relazione alle attività necessarie all’autorizzazione dei farmaci generici, ovvero di quei prodotti contenenti lo stesso principio attivo di medicinali (c.d. “originator”), per i quali è scaduta l’esclusiva brevettuale.
5.4. L’eccezione galenica
La quarta ipotesi di uso lecito dell’invenzione altrui è disciplinata dalla lett. c), primo comma, dell’art. 68 CPI, e riguarda la preparazione estemporanea, e per unità, di medicinali nelle farmacie su ricetta medica, e i medicinali così preparati, purché non si utilizzino principi attivi realizzati industrialmente. Si tratta della c.d. preparazione galenica dei farmaci ad opera del farmacista.
Su questo argomento, si veda l’approfondimento pubblicato in altro articolo.
5.5. Il carve out
Una ulteriore ipotesi di limitazione al diritto di privativa brevettuale è costituita dal cosiddetto “carve-out”. Al fine di consentire che un medicinale generico possa essere immesso in commercio solo per le indicazioni e le forme di dosaggio del medicinale di riferimento non più coperte da brevetto, la direttiva 2001/83 Ce ammette infatti una deroga al principio dell’omogeneità tra il medicinale di riferimento e il medicinale generico, consentendo ai fabbricanti di medicinali generici di sopprimere dal riassunto delle caratteristiche del prodotto le indicazioni o le forme di dosaggio del medicinale di riferimento, ancora coperte da brevetto.
E’ possibile quindi che le indicazioni o i dosaggi del medicinale di riferimento, ancora coperti da brevetto, non figurino nel foglietto illustrativo del medicinale generico, anche se quest’ultimo – del tutto identico al medicinale di riferimento – da un punto di vista puramente medico può essere utilizzato e quindi prescritto per le indicazioni o nei dosaggi in questione.
Non vi è una disposizione esplicita riguardante l’effetto di un carve-out effettuato nel riassunto delle caratteristiche di un medicinale generico sulla portata dell’autorizzazione all’immissione in commercio di detto medicinale generico. In particolare, non è chiaro se, in caso di effettuazione di un carve-out successivamente al rilascio dell’autorizzazione all’immissione in commercio del medicinale generico in questione, l’autorizzazione stessa continui ad applicarsi alle indicazioni o alle forme di dosaggio soppresse per effetto del carve-out dal riassunto delle caratteristiche del prodotto, ovvero se, al contrario, la successiva notifica di un carve-out implichi la necessità di limitare l’autorizzazione alle residue indicazioni e forme di dosaggio non interessate dal carve-out.
In proposito, la Corte di Giustizia UE, con sentenza del 14 febbraio 2019 (causa C-423/17) ha affermato che l’articolo 11, secondo comma, della direttiva 2001/83/CE deve essere interpretato nel senso che, in una procedura di autorizzazione all’immissione in commercio, la comunicazione all’autorità nazionale competente, da parte del richiedente o del titolare di un’autorizzazione all’immissione in commercio di un medicinale generico, del foglietto illustrativo o di un riassunto delle caratteristiche del prodotto di tale medicinale che non include alcun riferimento a indicazioni o a forme di dosaggio che erano ancora coperte dal diritto di brevetto al momento dell’immissione in commercio di tale medicinale costituisce una domanda di limitazione dell’ambito dell’autorizzazione all’immissione in commercio del medicinale generico di cui trattasi.
6. Le licenze obbligatorie di brevetto
L’art. 69 CPI stabilisce che il titolare del brevetto ha non solo il diritto, ma anche l’onere di attuare l’invenzione oggetto del medesimo brevetto. Tale onere ha la finalità di evitare che il titolare abusi del monopolio conferito dal brevetto non mettendo a disposizione della collettività i risultati della propria ricerca.
Al titolare del brevetto è dunque concesso un termine di tre anni dalla data di rilascio del brevetto, oppure quattro anni dalla data di deposito della domanda, qualora tale secondo termine scada successivamente al triennio dal rilascio, per attuare l’invenzione. L’onere di attuazione permane durante tutta la vita del brevetto, anche nel caso in cui questa sia stata sospesa o interrotta per tre anni.
Il mancato rispetto dell’onere di attuazione del brevetto consente ai terzi interessati di sfruttare l’invenzione non attuata, previo ottenimento di una licenza volontaria o, qualora il titolare rifiuti di concederla volontariamente, di una licenza obbligatoria per lo sfruttamento dell’invenzione, a titolo oneroso e non esclusivo.
Il brevetto può essere attuato:
- direttamente dal titolare o da eventuali licenziatari (mentre non rileva l’attuazione realizzata da un contraffattore);
- attraverso la produzione all’interno del territorio dello Stato italiano o l’introduzione o la vendita in Italia di oggetti prodotti nel territorio di Paesi membri dell’Unione Europea o dell’Organizzazione Mondiale del Commercio.
Ai sensi dell’art. 70 CPI, se il mancato soddisfacimento dei bisogni del Paese perdura per tre anni consecutivi dalla data di rilascio del brevetto, o per quattro anni dalla data di deposito della domanda, qualunque terzo è legittimato a richiedere la concessione di una licenza obbligatoria, provando di essersi preventivamente rivolto al titolare del brevetto senza aver potuto ottenere da questo una licenza contrattuale ad eque condizioni.
Il mancato sfruttamento dell’invenzione non dà luogo ad una licenza obbligatoria qualora la mancata attuazione della nuova tecnologia risulti oggettivamente indipendente dalla volontà del titolare del brevetto; non sono tuttavia considerate cause indipendenti dalla volontà del titolare la mancanza di risorse finanziarie, la mancanza di domanda sul mercato interno, il fallimento, l’inerzia del licenziatario, l’assenza di autorizzazioni amministrative necessarie ed il rifiuto di concedere licenza da parte del titolare del brevetto. In definitiva, dunque, le sole cause esimenti sono costituite dai tempi tecnici necessari per l’attuazione industriale dell’invenzione, dalla mancanza di domanda sul mercato mondiale o dall’esistenza di contraffazioni tali da rendere non economica l’attuazione dell’invenzione da parte del titolare .
L’ art. 70-bis CPI, introdotto dal D.L. n. 77/2021, convertito dalla L. n. 108/2021, disciplina la licenza obbligatoria in caso di emergenza nazionale sanitaria, stabilendo che, in presenza di una dichiarazione di stato d’emergenza nazionale motivato da ragioni sanitarie, per fare fronte a comprovate difficoltà nell’approvvigionamento di specifici medicinali o di dispositivi medici ritenuti essenziali, possono essere concesse, nel rispetto degli obblighi internazionali ed europei, licenze obbligatorie, non esclusive, non alienabili e dirette prevalentemente all’approvvigionamento del mercato interno, di brevetti rilevanti ai fini produttivi.
Il procedimento di concessione della licenza obbligatoria può essere attivato senza attendere il decorso del termine di tre anni dal rilascio del brevetto, o di quattro anni dal deposito della domanda, termini che trovano invece applicazione nei casi ordinari di licenza obbligatoria per mancata o insufficiente attuazione.
E’ dunque possibile per il Governo obbligare temporaneamente i possessori di un brevetto, o di altri diritti esclusivi relativi a medicinali, vaccini e dispositivi medici, a concederne l’uso allo Stato o ad altri soggetti da quest’ultimo indicati. Tali licenze, la cui validità è vincolata al perdurare dello stato emergenziale o fino ad un massimo di dodici mesi dalla cessazione dello stesso, sono concesse con decreto del Ministro della Salute, di concerto con il Ministro dello Sviluppo Economico, previo parere, rispettivamente, dell’Agenzia Italiana del Farmaco in merito all’essenzialità e all’effettiva disponibilità dei farmaci, e dell’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali per i dispositivi, tenuto conto dell’emergenza in corso e sentito il titolare dei diritti di proprietà intellettuale.
Tale decreto stabilisce la remunerazione a favore del titolare del brevetto, tenendo conto del valore economico dell’autorizzazione, ovvero del valore economico dell’invenzione oggetto di brevetto. In caso di , opposizione alla determinazione autoritativa del compenso da parte del titolare del brevetto, la determinazione è affidata ad un collegio di arbitratori, che procede con equo apprezzamento, ed eventualmente all’autorità giudiziaria.
7. La durata dei brevetti farmaceutici
Il brevetto o, meglio, il diritto di esclusiva sull’invenzione, ha una durata temporale limitata. L’art. 60 CPI, infatti, dispone che il brevetto dura venti anni a decorrere dalla data di deposito della domanda e non può essere rinnovato, né può esserne prolungata la durata. La ratio di tale limite temporale all’esclusiva utilizzazione da parte dell’inventore è quella di offrire l’invenzione, allo scadere del termine, alla libera utilizzazione da parte della collettività.
Il termine ventennale di durata decorre dalla data di presentazione della domanda di brevetto. Tuttavia, spesso tale data non coincide con il momento a partire dal quale l’inventore può effettivamente utilizzare l’invenzione e immettere nel mercato il prodotto. In certi settori, infatti, e in particolare nel settore farmaceutico, il momento della commercializzazione del prodotto è in genere ritardato da norme che impongono complesse verifiche prima della messa in commercio definitiva.
In ambito farmaceutico, per poter effettuare la vendita di un prodotto in un territorio, è necessario ottenere un’autorizzazione amministrativa rilasciata dall’autorità competente. In Italia, l’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) rilascia l’AIC (Autorizzazione all’Immissione in Commercio). La ricerca di nuovi medicinali comporta grandi investimenti in termini di tempo e di denaro, che possono essere recuperati attraverso la vendita del prodotto ottenuto. Tuttavia, l’attesa per il rilascio dell’AIC provoca una considerevole riduzione del tempo di sfruttamento dell’invenzione, poiché i dati sperimentali, che devono essere forniti alle autorità, richiedono diversi anni di sperimentazioni cliniche.
Il periodo che intercorre tra il deposito di una domanda di brevetto per un nuovo medicinale e la concessione della menzionata autorizzazione è solitamente molto più lungo del tempo normalmente necessario in altri settori per passare dal brevetto alla commercializzazione del prodotto e, quindi, allo sfruttamento economico in esclusiva dell’opera dell’ingegno; questa circostanza di fatto riduce la protezione effettiva conferita dal brevetto a una durata insufficiente ad ammortizzare gli investimenti effettuati nella ricerca.
A tal fine, la normativa sia nazionale che comunitaria prevede l’estensione della protezione di un brevetto per invenzione avente ad oggetto un medicinale per un periodo successivo alla sua naturale scadenza, con l’intento di consentire al titolare del brevetto di una invenzione farmaceutica, che ha l’ovvio interesse a depositare quanto più tempestivamente possibile la domanda di protezione dell’invenzione, di “recuperare” i tempi che, dal deposito della domanda di brevetto alla commercializzazione effettiva del prodotto, sono necessari per le sperimentazioni e l’ottenimento dell’autorizzazione alla immissione in commercio (AIC) da parte dell’autorità competente e che provocano una considerevole riduzione del tempo a disposizione del titolare per lo sfruttamento dell’invenzione in regime di esclusiva.
7.1. Il Certificato Complementare di Protezione (CCP)
In Italia, la L. n. 349/1991 ha introdotto il Certificato Complementare di Protezione (CCP), per ovviare alle tempistiche che intercorrono tra la data di presentazione della domanda di brevetto e la data di rilascio dell’AIC, che in alcuni casi possono essere tali da ridurre la possibilità di sfruttamento esclusivo dell’invenzione.
Secondo il tenore originario della norma, con il CCP l’inventore, o il suo avente causa, poteva recuperare, dal momento dell’esaurimento della tutela ventennale assicurata dal brevetto, il tempo impiegato nella sperimentazione, sino ad un massimo di diciotto anni. Se quindi, a seguito della domanda di brevetto, si fossero impiegati altri dieci anni nella sperimentazione, tale arco temporale sarebbe stato recuperato al termine dei venti anni, aumentando di fatto la tutela ad un totale di trenta anni. Di conseguenza, sommando la durata del CCP ai 20 anni derivanti dal brevetto, la copertura totale garantita poteva estendersi fino ad un massimo di 38 anni dalla data di deposito della domanda di brevetto stesso.
La normativa nazionale, pur senza un’espressa abrogazione, è stata di fatto superata dal il Regolamento n. 1768/1992 Ce (v. par. 7.2).
Il legislatore nazionale è quindi nuovamente intervenuto in materia con il D.L. n. 63/2002, convertito con dalla L. n. 87/2002, che, all’art. 3, comma 8, ha previsto la riduzione della durata dei CCP, al fine di allineare la durata prevista dalla normativa nazionale con quella europea. In questo senso, è stato stabilito che la durata dei CCP nazionali dovesse essere ridotta, a partire dal 2002, di un anno e di due anni per ciascuno degli anni solari successivi, fino al raggiungimento dell’armonizzazione della durata prevista dalle due normative.
L’intento del Legislatore non è stato tuttavia raggiunto, in quanto diversi CCP nazionali avevano già superato la durata massima di cinque anni prevista e, soprattutto, il sistema di riduzione è risultato fortemente attenuato, in quanto lo si è modificato di sei mesi in sei mesi ogni anno, a partire dal 1° gennaio 2004.
Infine, l’art. 61 CPI, modificato dal D.lgs. n. 131/2010, ha stabilito che i CCP per prodotti medicinali sono concessi dall’Ufficio italiano brevetti e marchi sulla base dei regolamenti (CE) n. 469/2009, (CE) n. 1901/2006 e (CE) n. 1610/96 e producono gli effetti previsti da tali regolamenti. Pertanto, in virtù di tale richiamo, la durata dei CCP non può essere superiore a 5 anni e deve essere parametrata al tempo intercorso tra il rilascio del brevetto e della prima AIC nel territorio della Comunità, ridotto di 5 anni.
Per quanto riguarda i CCP concessi ai sensi della L. n. 349/1991, l’art. 81 CPI stabilisce che ad essi si applica regime giuridico, con gli stessi diritti esclusivi ed obblighi, del brevetto, limitatamente alla parte o alle parti di esso oggetto dell’autorizzazione all’immissione in commercio. Gli effetti del CCP decorrono dal momento in cui il brevetto perviene al termine della sua durata legale e si estendono per una durata pari al periodo intercorso tra la data del deposito della domanda di brevetto e la data del decreto con cui viene concessa la prima autorizzazione all’immissione in commercio. La durata del CCP non può in ogni caso essere superiore a diciotto anni a decorrere dalla data in cui il brevetto perviene a termine della sua durata legale. Al fine di adeguare progressivamente la durata della copertura complementare e brevettuale a quella prevista dalla normativa comunitaria, le disposizioni di cui alla L. n. 349/1991, trovano attuazione attraverso una riduzione della protezione complementare pari a sei mesi per ogni anno solare, a decorrere dal 1° gennaio 2004, fino al completo allineamento alla normativa europea.
7.2. Il Certificato Supplementare di Protezione (SPC)
In ambito comunitario, il Regolamento CE n. 1768/1992, successivamente sostituito dal Regolamento CE n. 4691/2009, ha introdotto il Certificato Supplementare di Protezione (Supplementary Protection Certificate – SPC), con l’obiettivo di armonizzare le normative dei vari Stati membri in questa materia.
L’SPC prevede che il titolare del brevetto, entro sei mesi dal rilascio dell’autorizzazione all’immissione in commercio (AIC) del farmaco, possa ottenere tale Certificato, che prolunga la durata del brevetto, a decorrere dal termine legale del brevetto di base, per una durata pari al periodo intercorso tra la data di deposito della domanda e la data di ottenimento dell’AIC, ridotto di cinque anni, e comunque per una durata complessiva non superiore a cinque anni.
Lo scopo dell’SPC è quello di assicurare tutela all’innovazione; si vuole infatti garantire che la durata della protezione sia adeguata e consenta di recuperare gli investimenti sostenuti, incoraggiando così la ricerca in ambito farmaceutico.
La norma comunitaria si coordina, in un’ottica di bilanciamento tra gli interessi in gioco, con le norme contenute nella Dir. n. 2001/83/CE (modificata dalla Dir. n. 2004/27/CE) che, essendo volte a favorire la commercializzazione dei farmaci generici e, quindi, ad evitare che le attività dirette all’ottenimento dell’AIC da parte delle imprese produttrici di questi medicinali siano ostacolate dall’esistenza di un brevetto ovvero di un certificato complementare altrui, prevedono la possibilità che i farmaci bioequivalenti possano essere immessi sul mercato non appena risulti scaduta la protezione.
L’ambito di protezione conferito dal SCP è delimitato dal brevetto designato dal titolare ai fini della procedura di rilascio del certificato stesso e dall’autorizzazione all’immissione in commercio, la quale riduce ulteriormente la tutela rendendola applicabile esclusivamente al principio attivo – o alla composizione di principi attivi – del medicinale oggetto dell’AIC concessa.
In presenza di un brevetto di base avente ad oggetto un composto (ovvero di un brevetto che copra un uso di un composto), il SCP conferisce al soggetto a cui è stato concesso i medesimi diritti attribuiti dalla privativa per tutti gli usi del prodotto in quanto medicinale (ovvero per l’uso rivendicato, se il brevetto non rivendica il composto in quanto tale), ma limitatamente al principio attivo (o alla combinazione di principi attivi) oggetto dell’autorizzazione all’immissione in commercio, mentre qualora il brevetto copra un processo, i diritti attribuiti dal certificato saranno limitati al procedimento usato per ottenere il prodotto autorizzato e si estenderanno a tale prodotto nei limiti della legge applicabile al brevetto di base.
Il termine entro cui deve essere presentata la domanda per il rilascio del certificato è diverso a seconda dell’ordine temporale in cui sono stati concessi il brevetto e l’autorizzazione all’immissione in commercio: infatti, nel caso cui l’AIC sia stata rilasciata dopo la concessione del titolo brevettuale la domanda deve essere depositata entro sei mesi a decorrere dalla data in cui per il prodotto, in quanto medicinale, è stata rilasciata l’autorizzazione di immissione in commercio, qualora invece l’autorizzazione di immissione in commercio avvenga prima del rilascio del brevetto di base, la domanda deve essere depositata sei mesi dalla data di rilascio del brevetto.
La Corte di Giustizia ha chiarito che la norma in oggetto deve essere interpretata nel senso che un prodotto composto da più principi attivi che hanno un effetto combinato è protetto da un brevetto di base in vigore quando la combinazione dei principi attivi che lo compongono, anche se non viene esplicitamente menzionata nelle rivendicazioni del brevetto di base, è necessariamente e specificamente ricompresa in tali rivendicazioni. A tal fine occorre che essa sia specificamente identificabile, alla luce di tutti gli elementi divulgati dal medesimo brevetto, da parte di un esperto del ramo, sulla base delle sue conoscenze generali nel settore considerato alla data di deposito o di priorità del brevetto di base e dello stato dell’arte a tale medesima data.
La Corte ha altresì chiarito che non è consentito il rilascio di CCP multipli in relazione a tutte le immissioni in commercio successive del principio attivo protetto dal brevetto base in combinazione con un numero illimitato di altri principi attivi, che non costituiscano l’oggetto dell’invenzione tutelata, in quanto contrario al bilanciamento da effettuarsi tra gli interessi dell’industria farmaceutica e quelli della sanità pubblica per quanto concerne la promozione della ricerca nell’Unione mediante CCP. Pertanto, qualora un brevetto di base includa una rivendicazione di un prodotto contenente un principio attivo che costituisce l’unico oggetto dell’invenzione, per il quale è già stato rilasciato un certificato protettivo complementare al titolare di tale brevetto, a tale titolare non può essere rilasciato non secondo certificato protettivo complementare relativo alla composizione di tale principio attivo con un’altra sostanza. Diversamente, nel caso in cui venga rilasciato un CCP per una combinazione di principi attivi protetti dal brevetto di base e, successivamente venga richiesto un CCP per uno solo di quei principi attivi, il certificato può essere rilasciato se anche tale principio attivo sia singolarmente tutelato dal brevetto.
Il Regolamento (UE) 2019/933 ha modificato il Regolamento (CE) n. 469/2009 prevedendo alcune eccezioni alla tutela prevista dal certificato di protezione complementare per i medicinali, con l’obiettivo di promuovere la competitività delle industrie di farmaci generici e biosimilari aventi sede nel territorio dell’UE.
Il Regolamento (UE) 2019/933 ha infatti introdotto per i fabbricanti con sede nel territorio dell’UE la possibilità di produrre una versione generica o biosimilare di un medicinale protetto da certificato durante il periodo di validità dello stesso, circoscrivendo l’applicazione della deroga per la fabbricazione (c.d. SPC manufacturing waiver), ai seguenti casi:
- ai fini dell’esportazione in un mercato non appartenente all’UE in cui la protezione conferita dal certificato sia scaduta o non sia mai esistita;
- ai fini della creazione, nei sei mesi precedenti la scadenza del certificato, di uno stock destinato ad essere immesso nel mercato dell’UE immediatamente dopo la scadenza del certificato (c.d. day-1 launch).
Tale normativa consente dunque ai produttori con sede nell’UE di produrre una versione generica o biosimilare di un medicinale ancora protetto dal SPC che estende di 5 anni la durata normale del brevetto. Queste produzioni possono essere esportate nei mercati extra-UE dove il brevetto è scaduto o non è mai esistito o essere stoccate per immetterle in commercio il giorno dopo la scadenza brevettuale in Ue.
Il fabbricante è tenuto inoltre ad informare tutti i soggetti coinvolti nella commercializzazione del prodotto che il medicinale oggetto del manufacturing waiver può essere immesso sul mercato solo al di fuori dell’UE. A tal fine, le confezioni di tali medicinali devono essere obbligatoriamente contraddistinte da un apposito logo che indichi chiaramente la destinazione esclusiva del prodotto all’esportazione nei mercati extra – UE.
8. La contraffazione dei brevetti farmaceutici
L’art. 66, 2° comma, CPI nel regolare il contenuto del diritto di brevetto definisce altresì per converso la contraffazione; essa nel brevetto di prodotto è definita come produzione, uso, messa in commercio, vendita o importazione dello stesso senza il consenso del titolare, mentre nel brevetto di procedimento è definita come applicazione del procedimento e uso, messa in commercio, vendita o importazione del prodotto ottenuto col procedimento stesso.
Si ha dunque contraffazione ogni volta che l’invenzione brevettata viene integralmente imitata o, quando non è integrale, se l’imitazione tocca comunque l’ambito coperto dalla privativa brevettuale. Si avrà quindi contraffazione sia in casi di produzione ad opera di terzi del prodotto coperto da brevetto, sia in casi di ricostruzione, riparazione o sostituzione di elementi essenziali del prodotto. Viene ricondotta alla contraffazione anche l’ipotesi di produzione di un trovato costituito da elementi protetti da brevetto altrui.
Per definire cosa costituisce contraffazione è necessario individuare i limiti all’estensione del diritto di esclusiva conferito dal brevetto. Da un lato, infatti, il titolare ha interesse a ricomprendere nell’esclusiva tutto ciò che può essere ricavato dalla domanda di brevetto; di contro, i suoi concorrenti e la collettività hanno interesse a delineare con esattezza i confini della privativa. È quindi fondamentale bilanciare questi interessi contrapposti, e questa operazione viene svolta attraverso l’interpretazione del brevetto, inteso come documentazione presente nel fascicolo brevettuale.
A tal proposito, il ruolo chiave è rivestito dalle rivendicazioni. L’art. 52 CPI, infatti, afferma che i limiti alla protezione brevettuale sono determinati dalle rivendicazioni, le quali devono essere interpretate alla luce dell’intero fascicolo brevettuale, garantendo così un’equa protezione al titolare ed una ragionevole sicurezza ai terzi.
L’esclusiva si estende pertanto solo a ciò che il richiedente abbia esplicitamente rivendicato e, contemporaneamente, descritto, imponendo quindi al richiedente un onere di precisione nel delineare i confini della propria invenzione.
Quando l’imitazione dell’invenzione brevettata non è integrale, è necessario innanzitutto controllare se le due realizzazioni hanno in comune gli elementi considerati essenziali dell’invenzione. Si avrà quindi contraffazione ogniqualvolta nella realizzazione altrui sia presente anche solo un elemento essenziale dell’invenzione brevettata.
L’art. 52, comma 3-bis, CPI tuttavia, contempla anche un’ulteriore ipotesi di contraffazione non integrale, che si verifica anche quando gli elementi essenziali non sono identici, ma l’idea inventiva che sta alla base dell’invenzione brevettata è presente anche nella realizzazione altrui . È quindi necessario indagare quale sia l’idea inventiva protetta dal brevetto, cioè l’idea di soluzione del problema, e verificare se la realizzazione del terzo sfrutta tale idea, pur utilizzando mezzi non identici a quelli utilizzati dall’inventore, ma, appunto, ad essi equivalenti.
La dottrina degli equivalenti nasce per rispondere all’inadeguatezza della tutela brevettuale di fronte al fenomeno del “designing around”, che consiste nel tentativo dei terzi di aggirare l’esclusiva brevettuale cercando alternative che non siano formalmente contenute nelle rivendicazioni del brevetto, ma che ad esse si avvicinano. L’art. 52, comma 3-bis, CPI, che disciplina appunto la teoria degli equivalenti, dispone quindi che per determinare l’ambito della protezione conferita dal brevetto, si tiene nel dovuto conto ogni elemento equivalente ad un elemento indicato nelle rivendicazioni.
La protezione conferita dal brevetto risulterebbe inutile se destinata ad essere limitata a tal punto che anche le più minime modifiche all’invenzione brevettata consentirebbero di aggirare l’esclusiva brevettuale; essa quindi consiste nella necessità di evitare che i terzi abusino del limite dettato dalle rivendicazioni brevettuali, mettendo in pericolo la stessa funzione di incentivo alla ricerca che il brevetto riveste.
Tale teoria risulta di facile applicazione nel settore della meccanica, mentre risulta più complessa in ambiti come quello chimico e biotecnologico. Nelle invenzioni chimiche e biotecnologiche, infatti, ci si trova di fronte a composti aventi una determinata struttura molecolare o di sequenza, in cui anche la più minima variazione nella struttura può in realtà comportare una grande differenza funzionale, attribuendo al composto, o al materiale biologico, proprietà molto diverse rispetto a quelle rivendicate nel brevetto. Per tale ragione, è necessario applicare la teoria degli equivalenti tenendo conto delle caratteristiche del settore in cui l’invenzione si colloca.
Il giudizio di equivalenza si basa sul Triple Test o Function-Way-Result Test, delineato dalla Suprema Corte degli Stati Uniti nella decisione Graver Tank & Mfg. v. Linde Air Prods del 1950. In base a questo test, un trovato è equivalente a quello brevettato per cui si chiede tutela se svolge sostanzialmente la stessa funzione, e la svolge sostanzialmente nello stesso modo al fine di conseguire lo stesso risultato. Viene inoltre presa in considerazione, per giudicare l’equivalenza, l’ovvietà, per un tecnico medio del settore di riferimento, dell’intercambiabilità di un elemento contenuto nel brevetto con un elemento in esso non contenuto, con l’effetto di continuare ad ottenere lo stesso risultato del trovato brevettato nonostante la sostituzione.
I commi 2bis, 2ter e 2quater dell’art. 66 CPI, così come modificati dalla L. n. 214/2016, disciplinano la c.d. contraffazione indiretta. Essa si verifica in due ipotesi.
La prima, disciplinata dal comma 2-bis dell’art. 66 CPI, prevede il diritto del titolare del brevetto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di fornire o di offrire di fornire a soggetti diversi dagli aventi diritto all’utilizzazione dell’invenzione brevettata i mezzi relativi a un elemento indispensabile di tale invenzione e necessari per la sua attuazione nel territorio di uno Stato in cui la medesima sia protetta, qualora il terzo abbia conoscenza dell’idoneità e della destinazione di detti mezzi ad attuare l’invenzione o sia in grado di averla con l’ordinaria diligenza. Il titolare può quindi vietare la produzione o la vendita di parti staccate o pezzi di ricambio che non sono coperti di per sé dal brevetto, ma risultano essere indispensabili all’interno della struttura o del procedimento brevettato. In tali ipotesi, tuttavia, la contraffazione viene limitata alla circostanza che il produttore o il venditore sia a conoscenza, o sia in grado di conoscere usando l’ordinaria diligenza, della destinazione del pezzo nell’invenzione altrui.
La seconda ipotesi di contraffazione indiretta non è invece disciplinata in alcuna norma nazionale o comunitaria, ed attiene alle invenzioni chimiche o biotecnologiche. Nel caso di composti o materiali biologici capaci di due, o più, usi, dei quali uno solamente è stato brevettato, si ha contraffazione solo qualora chi fabbrica o vende il composto o materiale, senza il consenso del titolare del brevetto, sia consapevole della sua idoneità ad essere utilizzato per l’attuazione dell’invenzione coperta da brevetto. In ambito farmaceutico, ad esempio, ciò accade quando il composto viene venduto in dosi, confezioni, oppure con istruzioni o additivi che sono funzionali esclusivamente all’uso brevettato.
Avv. Valerio Pandolfini
Avvocato specializzato in diritto farmaceutico
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Le informazioni contenute nel presente articolo hanno carattere generale e non sono da considerarsi un esame esaustivo né intendono esprimere un parere o fornire una consulenza di natura legale. Le considerazioni e opinioni di seguito riportate non prescindono dalla necessità di ottenere pareri specifici con riguardo alle singole fattispecie descritte. Di conseguenza, il presente articolo non costituisce un(né può essere altrimenti interpretato quale) parere legale, né può in alcun modo considerarsi come sostitutivo di una consulenza legale specifica.