Sperimentazione cliniche: responsabilità e risarcimento danni
Diversi sono i soggetti coinvolti in una sperimentazione clinica: il promotore (sponsor); lo sperimentatore; la struttura sanitaria presso cui è condotta la sperimentazione; il Comitato etico. Esaminiamo le responsabilità di tali soggetti qualora si verifichi un evento dannoso ad un paziente coinvolto nella sperimentazione, e gli obblighi di risarcimento del danno da essa derivanti.
1. La sperimentazione clinica come attività pericolosa ai sensi dell’art.2050 c.c.
Secondo la giurisprudenza prevalente, l’attività esercitata nell’ambito di una sperimentazione clinica può essere qualificata come «pericolosa», ai sensi dell’art. 2050 c.c., in quanto caratterizzata dalla probabilità statistica di eventi dannosi e dalla gravità dei danni ragionevolmente prevedibili. A tale attività è, infatti, connaturale un’apprezzabile potenzialità lesiva, come si evince anche dalla particolare attenzione manifestata dal legislatore, che ha destinato alla materia un articolato complesso di norme, volte a garantire la pubblica salute ed incolumità dei pazienti.
Nel concetto di attività pericolose la giurisprudenza ha ricompreso le attività che per la loro stessa natura o per le caratteristiche dei mezzi adoperati comportino la rilevante possibilità del verificarsi di un danno per la loro spiccata potenzialità offensiva. In particolare, recentemente la Corte di Cassazione ha affermato che, pur considerato che tutte le attività umane contengono in sé un grado più o meno elevato di pericolosità per coloro che le esercitano, al fine di individuare una responsabilità per la conduzione di attività pericolose in capo all’esercente, occorre sempre distinguere tra “pericolosità della condotta e pericolosità dell’attività” (Cass. 27 marzo 2019, n. 8449). La prima riguarda un’attività normalmente innocua, che assume i caratteri della pericolosità solo se appunto condotta, da parte dell’operatore, con modalità imprudenti o negligenti, idonee a produrre danni ai sensi dell’art. 2043 c.c.; la seconda è invece un’attività di per sé intrinsecamente e potenzialmente dannosa per l’alta percentuale di danni che può provocare, in ragione della sua natura o della tipologia di mezzi adoperati.
L’assimilazione della sperimentazione clinica a un’attività pericolosa si fonda principalmente sull’assunto che si tratta, per definizione, di una pratica i cui effetti sono ignoti o comunque ancora non sufficientemente conosciuti, essendo di per sé diretta a conoscere le reazioni del corpo umano sottoposto a un determinato trattamento o farmaco. La pericolosità dipende, in particolare, dalla carenza di cognizioni scientifiche nel tempo in cui la sperimentazione è intrapresa, conoscenze che si vogliono appunto acquisire con l’attività di ricerca.
Di conseguenza, nel caso in cui si verifichi un danno ai pazienti nel corso o in occasione di una sperimentazione clinica, sui soggetti coinvolti nella stessa (sponsor, medici, struttura sanitaria in cui si svolge la sperimentazione, Comitato etico) grava una “responsabilità oggettiva”: essi, infatti, per evitare di incorrere in responsabilità, devono dimostrare di aver adottato ogni misura utile per evitare il verificarsi del danno secondo le conoscenze al tempo di insorgenza della malattia, potenzialmente anche successivo rispetto all’espletamento dell’attività pericolosa. Opera quindi una sorta di inversione dell’onere probatorio, rispetto alla regola generale sulla responsabilità extra-contrattuale di cui all’art. 2043 c.c.
Per questo motivo, i contratti di sperimentazione clinica conclusi tra le imprese farmaceutiche ed i centri generalmente regolamentano in modo preciso i compiti e le attività dei diversi soggetti coinvolti nella sperimentazione (comitato etico, medici, struttura sanitaria e promotore), distinguendo tra le responsabilità per i danni verificatisi a carico dei pazienti in attuazione ed osservanza del protocollo clinico, e quelli che siano invece attribuibili a difformità, o più in generale, a negligenza, imprudenza o imperizia del personale sanitario.
2. La responsabilità del promotore
Sul promotore della sperimentazione clinica (sponsor), ovvero l’impresa farmaceutica, può ricadere una duplice responsabilità:
- contrattuale, per i danni sofferti dalla struttura ospedaliera per fatti imputabili al promotore stesso;
- extracontrattuale, per i danni subiti dal paziente.
Sotto il profilo della responsabilità contrattuale, le sperimentazioni cliniche dal punto di vista giuridico rientrano nell’ambito dell’appalto di servizi, nel quale lo sponsor (promotore) riveste il ruolo di committente, mentre lo sperimentatore (centro) agisce come appaltatore, essendo a questi demandato il compito di organizzare, gestire e realizzare una serie complessa di attività che compongono la sperimentazione stessa. In tale contesto, si può generare una responsabilità di tipo contrattuale per inadempimento in capo a ciascuno dei due soggetti in conseguenza del loro operato.
In linea generale, lo sponsor risponde nei confronti della struttura sanitaria:
- per inadempimento del contratto di sperimentazione;
- per carente supervisione dello studio;
- per inesattezze, errori o carenze del protocollo.
Nell’ultima ipotesi, peraltro, sussiste generalmente una corresponsabilità anche del Comitato etico sia del medico sperimentatore; infatti, il primo deve svolgere le verifiche preventive circa la fondatezza scientifica e la praticabilità del protocollo, mentre deve evidenziare i vizi del protocollo, con un grado di diligenza qualificata.
Per quanto concerne la supervisione dello studio, lo sponsor è responsabile nei confronti della struttura ospedaliera anche se (come spesso accade) abbia affidato il monitoraggio ad una società-
L’art. 20 comma 3 del D lgs. n. 211/2003 (così come l’art. 6 comma 3 del D. lgs. n. 200/2007), prevede infatti che il promotore può affidare ad organizzazioni private- definite dalle GCP come “organizzazione di ricerca a contratto (CRO)” una parte o tutte le proprie funzioni nell’ambito della sperimentazione clinica, ed in particolare la funzione di verificare l’andamento della sperimentazione presso i singoli centri e l’osservanza delle GCP da parte degli sperimentatori. L’art. 20 comma 3 del D. lgs. n. 211/2003 prevede a carico delle CRO l’obbligo di rispettare i requisiti minimi obbligatori idonei ad assicurare l’affidabilità del ruolo svolto, a garanzia dell’attendibilità dei dati originati dalla sperimentazione clinica. inoltre, il D.M. 31 marzo 2008, successivamente sostituito dal D.M. 15 novembre 2011, ha ridefinito le caratteristiche organizzative e qualitative che le CRO devono soddisfare per l’esecuzione delle competenze che possono essere delegate dal promotore.
E’ in ogni caso onere del promotore / committente, attraverso la figura professionale del proprio clinical monitor, in conformità alle GCP, supervisionare che lo studio clinico venga effettuato, registrato e realizzato in osservanza del protocollo, delle procedure, della normativa in essere e delle stesse GCP, salva la possibilità di agire in via di rivalsa nei confronti della CRO incaricata-
Difficilmente, invece, lo sponsor può essere considerato responsabile nei confronti dell’ente per i danni derivanti dalla somministrazione del farmaco, che per definizione è ancora sperimentale; lo sponsor può quindi invocare nei confronti dell’azienda sanitaria, per analogia, le medesime cause di esonero della responsabilità previste dal D.P.R. n. 22/1988 in materia di responsabilità da prodotto difettoso.
Per quanto concerne la responsabilità extracontrattuale del promotore (scaturente da negligenze nella predisposizione o nell’esecuzione del protocollo, per quanto di stesura dello sponsor, o dall’assunzione della specialità medicinale da parte del paziente), non operano in questo caso nei confronti dell’azienda sanitaria le cause di esonero previste dal D.P.R. n. 224/1988, data la prioritaria esigenza di tutela del diritto alla salute del cittadino.
3. La responsabilità del medico sperimentatore
Per ciò che concerne l’attività del medico sperimentatore, può prospettarsi una responsabilità nei confronti del paziente ogni qual volta sia identificabile un danno scaturito da negligenza nell’esecuzione della prestazione sanitaria.
Tale negligenza può consistere in particolare:
- nell’inosservanza del protocollo;
- nella mancata interruzione dello stesso ove ciò si rivelasse necessario;
- in una negligenza professionale più generale;
- in un’impropria verifica di praticabilità scientifica del protocollo;
- in un’inidonea redazione del protocollo (in solido con lo sponsor);
- nella mancata o inadeguata informazione del paziente;
- nella scorretta gestione dei dati sensibili del soggetto arruolato nello studio, alla luce della attuale normativa in tema di privacy.
Difficilmente il medico sperimentatore che operi nell’ambito di una sperimentazione clinica, quale professionista intellettuale, potrà avvalersi nell’esercizio della sua attività professionale della limitazione di responsabilità prevista dall’art. 2236 c.c., secondo cui “se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o colpa grave”. Infatti, la colpa che in una attività ordinaria potrebbe essere considerata colpa lieve, in una attività sperimentale sarà invece considerata colpa grave.
Nell’ambito dell’attività sperimentale, lo sperimentatore deve dimostrare di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno, affinché il comportamento tenuto sia valutato secondo il parametro della diligenza, rapportato al grado di difficoltà in cui è incorso.
La sperimentazione deve essere condotta in conformità al protocollo, approvato preventivamente dal Comitato etico. In questo caso la struttura sanitaria risponde per i danni causati dallo sperimentatore, con possibilità di esercitare l’azione di rivalsa dell’ente nei confronti del medico, limitatamente ai soli casi di dolo o colpa grave.
Una volta ottenuta l’approvazione del protocollo da parte del Comitato Etico, allo sperimentatore può essere imputata una responsabilità solo per il mancato rispetto dell’applicazione delle disposizioni contenute nel protocollo. Difficilmente lo sperimentatore può essere chiamato a rispondere per danni cagionati da vizi del protocollo, salvo che egli abbia omesso di evidenziare vizi dello stesso.
4. La responsabilità della struttura sanitaria
La responsabilità dell’Azienda sanitaria nei confronti del paziente ha natura contrattuale, in quanto le terapie sperimentali rientrano nel più ampio alveo del contratto di cura. Ai sensi dell’art. 7 della L. n. 24/2017 (c.d. Legge Gelli), le strutture di cura sono chiamate a rispondere nei confronti del paziente delle condotte dolose e colpose degli operatori dei quali si avvalgono, ai sensi degli artt. 1218 e 1228 c.c. La struttura può dunque chiamata a rispondere:
- nel caso in cui il danno lamentato risulti riconducibile a una carenza organizzativa della struttura, per responsabilità contrattuale, ai sensi dell’art. 1218 c.c., in virtù della mancanza di un ambiente e di attrezzature idonei a garantire la sicurezza delle cure;
- qualora il danno sia riconducibile al negligente operato dei medici coinvolti nello studio, ossia dello sperimentatore e dei collaboratori, ai sensi dell’art. 1228 c.c.
La responsabilità dell’Azienda Sanitaria può essere:
- attribuibile alla stessa come conseguenza alla preventiva analisi ed approvazione della sperimentazione e delle fasi ad essa propedeutiche;
- originata dalla concreta erogazione delle prestazioni e attività terapeutiche.
Relativamente alla prima ipotesi, l’azienda sanitaria è responsabile – generalmente assieme al Comitato etico – per avere recepito le conclusioni raggiunte dal Comitato etico relativamente alla valutazione del medicinale, alla idoneità del protocollo e alla fattibilità della sperimentazione all’interno della struttura sanitaria.
Al di là della responsabilità inerente alla fase di approvazione dello studio clinico, la struttura ospedaliera è responsabile per i danni inerenti alla fase di materiale attuazione della sperimentazione, ovvero ai danni originati dalla concreta erogazione della prestazione terapeutica sperimentale, in solido con gli operatori sanitari che effettivamente attuano le terapie sperimentali.
5. La responsabilità del Comitato etico
All’interno di uno studio clinico è di centrale importanza il ruolo del comitato etico del centro coordinatore, a cui è rimessa la funzione di valutare complessivamente il progetto clinico e di esprimere il parere unico sulla sua attivazione. Ciò può generare una responsabilità a suo carico così, come degli altri comitati etici dei centri che partecipano allo studio, in caso di negligenza nell’esercizio delle sue attività da cui derivi un danno per il paziente.
In particolare, la responsabilità del Comitato etico in relazione ad una sperimentazione clinica si può verificare per:
- un’impropria verifica di praticabilità scientifica del protocollo;
- in solido con il medico e con lo sponsor, per un’inidonea redazione dello stesso;
- per una non corretta analisi dell’adeguatezza della struttura sanitaria ove la sperimentazione andrà a svolgersi, in solido con l’azienda Sanitaria;
- per inidoneità della polizza assicurativa;
- per una non corretta valutazione circa l’assunzione delle spese aggiuntive sostenute dalla Istituzione Sanitaria;
- per una non idonea redazione del consenso informato;
- per la non eticità della sperimentazione.
6. La sentenza della Cass. n. 10348 del 10 aprile 2021
La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 10348 del 10 aprile 2021, ha affermato che la casa farmaceutica, promotrice di una sperimentazione clinica, può essere chiamata a rispondere – a titolo contrattuale – dei danni sofferti dai pazienti arruolati a causa di un errore dei medici sperimentatori, soltanto ove risulti, sulla base del contratto di sperimentazione, che la struttura ospedaliera e i suoi dipendenti abbiano agito quali ausiliari della stessa casa farmaceutica.
Nel caso oggetto della sentenza, una signora affetta da carcinoma mammario, dopo essere stata trattata con intervento chirurgico di asportazione parziale e con terapia chemioterapica, aveva partecipato alla sperimentazione di un nuovo farmaco. Dopo alcuni mesi, alla paziente era stato diagnosticato uno scompenso cardiaco dovuto a patologia cardiovascolare, e la cura sperimentale viene sospesa. Ritenendo le problematiche cardio-circolatorie conseguenza diretta della somministrazione del farmaco oggetto di sperimentazione (essendo indicate come possibile effetto collaterale del farmaco sperimentale anche nel modulo di consenso informato), la paziente ha convenuto in giudizio il Policlinico presso cui era in cura e la società farmaceutica che aveva fornito il farmaco sperimentale, chiedendone la condanna solidale al risarcimento dei danni subiti.
Il Tribunale aveva accolto la domanda della paziente, e la Corte d’Appello aveva confermato la sentenza di primo grado, ritenendo che la responsabilità dell’Azienda ospedaliera e della società farmaceutica fosse da ravvisare «non tanto e, comunque, non solo nella inadeguatezza delle informazioni somministrate alla paziente, in ordine ai rischi del farmaco prima della sottoposizione al programma sperimentale», quanto invece nella «inadeguata valutazione della ben maggiore incidenza del rischio di insorgenza di gravi patologie cardiologiche» conseguente alla somministrazione di quel farmaco «in pazienti già affetti da cardiopatie e già sottoposti a chemioterapia con antibiotici antraciclinici».
Secondo le Corti di merito, nel caso specifico, la responsabilità dell’azienda farmaceutica promotrice del programma sperimentale di cura, non doveva essere inquadrata nello schema dell’attività pericolosa ex art. 2050 c.c., bensì come responsabilità di natura contrattuale, in forza di un “contatto sociale” tra l’azienda stessa ed i pazienti. In conseguenza di tale impostazione, l’azienda farmaceutica doveva ritenersi responsabile per gli eventuali danni sofferti dai pazienti nel contesto delle attività di sperimentazione, anche qualora gli stessi siano conseguenza di errori commessi dai medici del centro sperimentale, posto che sia il centro che i medici agiscono, in relazione alle attività di sperimentazione, quali “ausiliari” dell’azienda farmaceutica.
La Cassazione ha invece escluso la possibilità di fondare la responsabilità contrattuale della casa farmaceutica su un preteso “contatto sociale”, posto che la paziente aveva avuto rapporti diretti soltanto con i sanitari dell’Azienda Ospedaliera; i medici sperimentatori, di cui la casa farmaceutica si era avvalsa nell’adempimento dell’obbligazione assunta nei confronti dei pazienti, non potevano essere considerati come ausiliari di quest’ultima.
Secondo la Suprema Corte, infatti, una responsabilità contrattuale può conseguire soltanto all’accertamento dell’assunzione, da parte dell’azienda farmaceutica, di un’obbligazione nei confronti del paziente, a seguito del suo reclutamento nel programma sperimentale, sia direttamente che indirettamente. Un rapporto di ausiliarietà fra medici sperimentatori e casa farmaceutica non può essere presunto per il solo fatto che quest’ultima sia promotrice della sperimentazione, né che abbia interesse ad ottenere i risultati della sperimentazione, “dovendosi accertare in concreto, in base alla concreta conformazione della convenzione di sperimentazione fra la casa farmaceutica produttrice del farmaco e la struttura ospedaliera nel cui ambito si è svolta la sperimentazione (mediante la somministrazione del farmaco ai pazienti), se vi fosse stata partecipazione – anche mediata – della casa farmaceutica al reclutamento e alla gestione dei pazienti sottoposti alla cura sperimentale”, tale da consentire appunto di qualificare la struttura ospedaliera e i medici “sperimentatori” come ausiliari della prima.
Secondo la Cassazione, l’eventuale responsabilità del promotore della sperimentazione nei confronti del soggetto che vi si sia sottoposto comporta la necessità di verificare – caso per caso – se la sperimentazione sia stata demandata integralmente allo sperimentatore, oppure se il promotore abbia conservato una gestione della stessa che consenta, per i suoi concreti contenuti, di imputargli, direttamente o indirettamente (per il tramite dell’attività svolta dai medici) anche i danni conseguenti ad errori verificatisi nella fase di esecuzione (come quello conseguente ad errori nel reclutamento dei pazienti).
Pertanto, secondo la Cassazione la casa farmaceutica che abbia promosso, mediante la fornitura di un farmaco, una sperimentazione clinica – eseguita da una struttura sanitaria a mezzo dei propri medici – può essere chiamata a rispondere a titolo contrattuale dei danni sofferti dai soggetti cui sia stato somministrato il farmaco, a causa di un errore dei medici sperimentatori, soltanto ove risulti, sulla base del contratto di sperimentazione, che la struttura ospedaliera e i suoi dipendenti abbiano agito quali ausiliari della casa farmaceutica, sì che la stessa debba rispondere del loro inadempimento (o inesatto adempimento) ai sensi dell’art. 1228 c.c.; in difetto, la casa farmaceutica può rispondere soltanto a titolo di responsabilità extracontrattuale, ai sensi dell’artt. 2050 c.c.
7. L’assicurazione per i danni da sperimentazioni cliniche
Dall’inadempimento di obblighi assunti per l’espletamento della procedura di sperimentazione secondo le regole generali e quelle convenute specificamente cui le parti contraenti dovranno rispondere, può derivare un danno al paziente partecipante alla sperimentazione stessa, che deve essere risarcito. Di qui il ruolo centrale dell’assicurazione da responsabilità civile, quale principale strumento di tutela del soggetto che partecipa alla sperimentazione.
In proposito, l’art. 3, comma 1, lett. f), D.lgs. 211/2003 impone al promotore l’obbligo di provvedere alla copertura assicurativa relativa al risarcimento dei danni cagionati ai soggetti coinvolti nella sperimentazione, a copertura della responsabilità civile dello stesso promotore e dello sperimentatore.
Il legislatore ha così inteso minimizzare il rischio che la parcellizzazione delle responsabilità dei soggetti attivi della sperimentazione possa ostacolare il dritto al risarcimento del paziente e, a questo fine, ha centralizzato in capo al promotore l’obbligo di accensione di una polizza assicurativa, in modo da indicare indicare al paziente eventualmente leso un unico riferimento assicurativo ai fini risarcitori, indipendentemente dall’effettiva attribuzione della responsabilità dell’evento che abbia generato il danno.
Nella medesima prospettiva, il DM del 14 luglio 2009 ha stabilito i requisiti minimi per le polizze assicurative, a tutela dei pazienti, disponendo all’art. 1, comma 2, che la polizza assicurativa deve garantire specifica copertura al risarcimento dei danni cagionati ai soggetti dall’attività di sperimentazione, con un massimale di un milione di Euro per ogni paziente reclutato, da modulare in funzione del numero dei pazienti reclutati, per l’intero periodo della stessa, a copertura della responsabilità civile dello sperimentatore e del promotore, senza esclusione dei danni involontariamente cagionati in conseguenza di un fatto accidentale e/o imputabili a negligenza, imprudenza o imperizia”.
Il legislatore ha voluto dunque estendere la copertura assicurativa non solo ai fatti derivanti da una responsabilità dello sperimentatore, ma anche a fatti accidentali, cioè agli eventi non dipendenti necessariamente dalla responsabilità di un soggetto, ma che in qualche modo danneggiano la persona oggetto della sperimentazione, nell’intento di fornire la più ampia copertura possibile a chi si sottopone ad una sperimentazione clinica.
Ai sensi del comma 1 della medesima norma, sono oggetto di copertura assicurativa :
- la morte;
- tutte le menomazioni permanenti e/o temporanee dello stato di salute;
- i danni patrimoniali correlati, che siano conseguenza diretta della sperimentazione e riconducibili alla responsabilità civile di tutti i soggetti che operano nella realizzazione della sperimentazione stessa.
La norma, dunque, vincola la possibilità di riconoscere il risarcimento alle sole conseguenze dirette delle sperimentazioni riconducibili a responsabilità di qualcuno, escludendo evidentemente la possibilità di tutelare anche eventi accidentali.
Ciò non implica, peraltro, che al promotore debba essere ascritta una responsabilità onnicomprensiva in relazione ad ogni evento dannoso che si possa verificare nel corso di uno studio clinico, posto che nella normativa non è rinvenibile alcun principio che consenta di prevedere una deroga agli ordinari criteri di attribuzione della responsabilità dei soggetti che ad essa contribuiscono attivamente. Al contrario, l’art. 1, comma 6, D.M. 14.7.2009, dispone che la limitazione del massimale della copertura assicurativa, di cui il paziente deve essere sempre informato, non esclude il diritto paziente danneggiato ad ottenere direttamente dal responsabile il risarcimento del danno per la misura eccedente.
In questa ottica, l’art. 10 della L. n. 24/2007 (c.d. legge Gelli Bianco) prevede a carico delle strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private l’obbligo di assicurazione per la responsabilità civile verso terzi e prestatori d’opera, anche per danni cagionati nell’attività di sperimentazione e di ricerca clinica; quest’ultima viene così assimilata sostanzialmente alla cura ordinaria, in una prospettiva di comune beneficio dei pazienti.
8. Il risarcimento dei danni da sperimentazione clinica
Le sperimentazioni cliniche sono disciplinate dal Regolamento (EU) n. 536/2014 sulle sperimentazioni cliniche di medicinali per uso umano (di seguito il “Regolamento”), entrato in vigore il 31 gennaio 2022, che ha abrogato la Direttiva 2001/20/CE, già recepita nell’ordinamento italiano con il D.lgs. n. 211/2003.
Il Regolamento, all’art.95, fa salvo il diritto nazionale e dell’Unione in merito alla responsabilità civile e penale del promotore e dello sperimentatore. Tali responsabilità sono regolate dunque dal diritto interni, trovando quindi applicazione i principi su cui si siamo soffermati in precedenza.
L’art. 76, comma 1 del Regolamento stabilisce altresì che “Gli Stati membri garantiscono l’esistenza di sistemi di risarcimento dei danni subiti da un soggetto a causa della partecipazione a una sperimentazione clinica condotta nel loro territorio sotto forma di assicurazione, garanzia o di meccanismi analoghi che siano equivalenti, quanto a finalità, e commisurati alla natura e portata del rischio”. Il comma 2 dell’art. 76 del Regolamento stabilisce inoltre che il promotore e lo sperimentatore utilizzano gli strumenti assicurativi o analoghi “nella forma adeguata allo Stato membro interessato in cui è condotta la sperimentazione clinica”.
Il Regolamento prevede dunque un sistema di risarcimento dei danni alla persona basato sull’assicurazione; conseguentemente, resta applicabile quanto previsto in proposito dal citato DM 14 luglio 2009. Il Regolamento, tuttavia, ammette anche la possibilità che siano previsti “meccanismi analoghi” all’assicurazione, ovvero equivalenti, quanto a finalità, all’assicurazione e commisurati alla natura e portata del rischio. Tale espressione può essere intesa come riferentesi:
- al sistema, adottato da varie Regioni italiane, della c.d. autoritenzione di una parte degli eventuali danni provocati alle persone sottoposte a sperimentazione;
- alla possibilità che il promotore stesso organizzi in proprio un sistema analogo all’assicurazione.
Nel primo caso, numerose sperimentazioni cliniche potranno non godere di copertura assicurativa, cosicché gli eventuali danni provocati alle persone sottoposte a sperimentazione saranno sempre più frequentemente risarciti in base sistema dell’autoritenzione, con conseguente possibilità di rivalsa da parte delle aziende pubbliche nei confronti dei professionisti sanitari, in particolare medici ed infermieri, ai quali, partecipando ad attività di sperimentazione, fosse eventualmente addebitata una condotta produttiva di danno caratterizzata da colpa grave.
L’ultimo comma dell’art. 76 del Regolamento stabilisce infine che gli Stati membri non devono richiedere al promotore l’uso di meccanismi analoghi all’assicurazione per sperimentazioni cliniche a basso livello di intervento ,qualora “ogni possibile danno che un soggetto può subire a causa dell’utilizzo del medicinale sperimentale conformemente al protocollo della specifica sperimentazione clinica sul territorio di tale Stato membro è coperto dal sistema di risarcimento applicabile già esistente”.
Tale norma introduce dunque un regime speciale per le sperimentazioni cliniche a basso livello di intervento, e comporta il superamento della disciplina di cui al DM 14 luglio 2009 sui requisiti minimi per le polizze assicurative a tutela dei soggetti partecipanti alle sperimentazioni cliniche dei medicinali.
Pertanto, da un lato gli Stati membri devono approntare un sistema di risarcimento del danno che garantisca il soggetto che partecipi alla sperimentazione da condurre sul proprio territorio; dall’altro, promotore e sperimentatore devono regolarizzare la propria posizione rispetto al sistema previsto nello Stato in cui operano, a meno che la tipologia di sperimentazione clinica a basso livello di intervento e i potenziali danni che ogni soggetto possa subire non siano già coperti dal sistema di risarcimento del danno ordinariamente applicabile.
Avv. Valerio Pandolfini
Avvocato specializzato in diritto farmaceutico
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Le informazioni contenute nel presente articolo hanno carattere generale e non sono da considerarsi un esame esaustivo né intendono esprimere un parere o fornire una consulenza di natura legale. Le considerazioni e opinioni di seguito riportate non prescindono dalla necessità di ottenere pareri specifici con riguardo alle singole fattispecie descritte. Di conseguenza, il presente articolo non costituisce un(né può essere altrimenti interpretato quale) parere legale, né può in alcun modo considerarsi come sostitutivo di una consulenza legale specifica.