La responsabilità disciplinare del farmacista: le norme deontologiche, le sanzioni, il procedimento disciplinare
I farmacisti sono soggetti nell’ambito della loro attività ad una responsabilità di triplice natura, a seconda della diversa fonte normativa: deontologica, civile e penale. La responsabilità deontologica del farmacista riguarda la violazione delle norme poste a tutela del decoro e del prestigio della professione farmaceutica. Il Codice deontologico del farmacista, approvato nel 2018 dal Consiglio Nazionale della Federazione Nazionale degli Ordini dei Farmacisti Italiani (FOFI), contiene le norme e i principi posti a garanzia non solo del cittadino e della collettività, ma anche dell’etica, della dignità e del decoro della professione di farmacista. Analizziamo in sintesi le principali norme contenute nel Codice deontologico, le sanzioni irrogabili ai farmacisti e il procedimento disciplinare.
1. Il Codice deontologico del farmacista
Il termine “deontologia” deriva dal greco déon-ontos (“dovere”) e “logia” (discorso, studio”); esso significa quindi letteralmente “studio del dovere”. In particolare, la deontologia professionale rappresenta l’insieme delle regole comportamentali, autodeterminate (ovvero cerate dalla stessa categoria professionale) che guidano e orientano l’azione del professionista appartenente ad una determinata categoria, e che è vincolanti per tutti gli iscritti al relativo Albo.
Per ciò che concerne le professioni sanitarie, la L. n. 3/2018 (c.d. Legge Lorenzin), ha rafforzato la funzione dell’Ordine quale organo di autogoverno della professione, stabilendo una correlazione tra il rispetto delle norme del Codice deontologico e la garanzia di tutela della salute, e ponendo in capo al professionista una più marcata responsabilità nel rispetto dei doveri deontologici e in capo all’Ordine la conseguente attività di vigilanza e tutela del decoro e della dignità della professione sanitaria.
In questo senso, il D. Lgs. C.P.S. n. 233/1946 è stato modificato prevedendo che gli ordini professionali promuovono e assicurano la salvaguardia dei diritti umani e dei principi etici dell’esercizio professionale indicati nei rispettivi codici deontologici, al fine di garantire la tutela della salute individuale e collettiva.
Il Codice deontologico del farmacista (di seguito il “Codice”), nel testo approvato il 7 maggio 2018, dal Consiglio Nazionale della Federazione Nazionale degli Ordini dei Farmacisti Italiani (FOFI), contiene l’insieme delle norme alle quali i farmacisti devono ispirare la propria condotta professionale. a tutela della salute e della sicurezza dei pazienti, nonché a garanzia della dignità e del decoro professionale.
Il Codice è costituito da un insieme di regole e principi stabiliti dall’Ordine dei farmacisti per attuare i valori fondamentali della professione di farmacista, ovvero i principi dell’etica, della dignità e del decoro della professione, che rappresentano i cardini sui quali si basa l’intera attività professionale del farmacista, in quanto appunto finalizzata alla tutela della salute individuale e collettiva.
Le norme deontologiche contenute nel Codice sono autonome e indipendenti rispetto alle norme del diritto positivo; esse vanno oltre il rispetto delle norme di legge, entrando nella sfera dell’etica. Il giudizio disciplinare, infatti, che ha ad oggetto l’accertamento del rispetto delle norme deontologiche, risponde a criteri e parametri di valutazione differenti da quelli richiesti per la sussistenza di un illecito penale, civile o amministrativo; l’illecito deontologico può sussistere indipendentemente dagli accertamenti compiuti da altre autorità, civili o penali.
La responsabilità disciplinare, in quanto derivante dal mancato rispetto delle norme del Codice, è dunque autonoma rispetto alle altre forme di responsabilità (civile o penale); per tale motivo, essa può sussistere anche in assenza di danno e/o reato.
A seguito della riforma operata con la Legge Lorenzin, gli Ordini professionali agiscono quali organi sussidiari dello Stato al fine di tutelare gli interessi pubblici, garantiti dall’ordinamento, connessi all’esercizio professionale. In questo ambito, l’Ordine dei farmacisti, nell’esercizio delle funzioni affidate allo stato della legge, opera in modo principale e indipendente.
In questo senso, l’art. 1 comma 3 del Codice sottolinea specificatamente la funzione pubblicistica dell’Ordine professionale, il quale, verificando il rispetto da parte dei farmacisti del Codice stesso e, quindi, della correttezza del loro comportamento, mira ad assicurare la qualità della prestazione professionale e garanzia dei cittadini.
2. I doveri generali del farmacista
L’art. 3 comma 1, lett. c) del Codice ribadisce l’importanza dell’indipendenza e dell’autonomia professionale del farmacista, evidenziando come il suo operato deve essere guidato da principi etici che tengano conto del rispetto della vita e dei diritti del paziente.
La lett. d) del medesimo comma prevede altresì che il farmacista deve operare nel rispetto del principio costituzionale di uguaglianza ed assicurare, con diligenza professionale, la presa in carico di ogni paziente; esso contiene inoltre un esplicito riferimento al principio di universalità del SSN, in quanto appunto emanazione del principio costituzionale di uguaglianza.
Il comma 2) dell’art. 3 del Codice contiene tre specifici divieti, attinenti a:
- l’esercizio abusivo della professione;
- la dispensazione di farmaci in modo pericoloso per la salute pubblica;
- atti di concorrenza sleale ai sensi dell’art. 2598 del Codice civile.
2.1 L’esercizio abusivo della professione
Per quanto concerne il divieto di esercizio abusivo della professione, il farmacista ha l’obbligo di non porre in essere e neppure di consentire e agevolare, condotte che potrebbe configurare il reato di cui all’art. 348 del Codice penale, relativo appunto all’esercizio abusivo di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato (le c.d. professioni intellettuali di cui all’art. 2229 c.c., tra le quali rientra appunto la professione di farmacista).
Tale norma è stata modificata dalla L. n. 3/2018, la quale ha aumentato l’entità delle sanzioni penale comminate per la fattispecie generale di esercizio (reclusione da sei mesi a tre anni e multa da 10.000 a 50.00 euro, nonché ulteriori sanzioni accessorie e , nel caso di professionista iscritto ad albo, trasmissione della sentenza al competente Ordine ai fini dell’applicazione dell’interdizione da uno a tre anni della professione) e introdotto pene specifiche elevate nei confronti del professionista che abbia determinato altri a commettere il reato o abbia diretto l’attività delle persone che siano concorse nel reato (reclusione da uno a cinque anni e multa da 15.000 a 75.000 euro). Inoltre è stata introdotta la circostanza aggravante per i casi in cui i reati di omicidio colposo o di lesioni personali colpose, limitatamente a quelle gravi o gravissime, commessi nell’esercizio abusivo di una professione o di un’arte sanitaria.
Peraltro, recentemente la Cassazione, con sentenza n. 48839 del 22 dicembre 2022, ha ritenuto che l mera consegna di medicinali di parte di soggetti diversi da farmacisti e in luoghi diversi da farmacie non integra di per sé il reato di esercizio abusivo della professione, e qualora il soggetto “abusivo” non sia consapevole di svolgere attività proprie della professione di farmacista senza averne il titolo, limitandosi a svolgere l’attività meramente materiale di consegna e recapito di farmaci in un luogo concordato, comodo per il cliente, loro affidata da farmacista abilitato.
L’art. 8 della L. n. 175/1992 prevede altresì per il farmacista che consenta o agevoli l’abusivismo, l’interdizione dalla professione per un periodo non inferiore ad un anno, riconoscendo agli Ordini professionali la facoltà di promuovere ispezioni presso le sedi professionali dei propri iscritti, anche con il supporto della ASL ovvero degli organi di Polizia giudiziaria, al fine di vigilare sul rispetto dei doveri inerenti alla professione.
2.2 La dispensazione di farmaci
Per quanto attiene alla pericolosità nella dispensazione dei farmaci, la diffusione di medicinali nocivi e la somministrazione di medicinali in dosi e modalità non corrispondenti al trattamento terapeutico prescritto possono essere pericolose per la salute pubblica; in questo senso, l’art. 443 del Codice penale tutela il particolare aspetto della salute pubblica inerente alla corretta preparazione e dispensazione dei prodotti medicinali, che recano con sé il rischio non solo di pregiudicare la salute di un numero indefinito di persone, non preventivamente individuabili, ma anche soltanto di potenziarla e favorirla.
Per medicinale “guasto” si intende quello deteriorato o corrotto per cause naturali, mentre con l’espressione “imperfetto” si fa riferimento ad ogni possibile vizio del medicinale, non occorrendo che lo stesso sia pericoloso o nocivo per la salute pubblica, ma essendo sufficiente che sia privo dei necessari elementi che lo compongono (compresa l’ipotesi del medicinale con data di validità scaduta).
In proposito, la Legge Lorenzin, modificando l’art 123 del R.D. n. 1265/1934, ha depenalizzato il reato di detenzione di medicinali scaduti, guasti o imperfetti in farmacia, prevedendo una sanzione amministrativa pecuniaria, qualora risulti, in relazione alla modesta quantità di tali medicinali, alle modalità di conservazione e all’ammontare complessivo delle riserve, che si possa concretamente escludere la destinazione al commercio degli stessi.
2.3 La concorrenza sleale
Per quanto attiene infine alla concorrenza sleale, la relativa fattispecie richiede due presupposti:
- uno soggettivo, rappresentato dalla sussistenza di una effettiva situazione concorrenziale tra due soggetti economici (ovvero un rapporto di concorrenza tra soggetti che, presenti sullo stesso mercato, offrono beni e servizi alla medesima utenza potenziale);
- l’altro oggettivo, ovvero l’idoneità della condotta posta in essere a produrre effetti di mercato dannosi per il concorrente (non essendo invece richiesta l’effettiva produzione del danno).
L’art. 2598 c.c. prevede tre fattispecie tipiche di concorrenza sleale:
- la concorrenza per confusione, ovvero l’adozione di iniziative volte a produrre confusione con i prodotti e l’attività di un concorrente, anche mediante imitazioni;
- la denigrazione e/o appropriazione di pregi altrui, ovvero la diffusione di apprezzamenti o notizie sui prodotti e l’attività del concorrente volte a provocare il discredito di quest’ultimo oppure ad attribuirsi meriti e pregi di quest’ultimo;
- l’avvalersi direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda.
Tale ultima previsione costituisce una clausola generale volta ad assicurare tutela rispetto a fattispecie residuali, non espressamente riconducibili alle prime due ipotesi, ma che comunque si rivelino in concreto contrarie alla correttezza professionale e idonee a danneggiare l’altrui attività.
In base alla casistica giurisprudenziale, è possibile elencare le seguenti fattispecie potenzialmente rilevanti in termini di concorrenza sleale legate all’attività della farmacia:
- l’accaparramento di ricette;
- la diffusione di una pubblicità non conforme alle previsioni della normativa vigente e dello stesso Codice;
- l’effettuazione di sconti in modo selettivo e discriminatorio;
- la mancata riscossione del ticket per le ricette spedite in farmacia.
Qualora l’Ordine riceva segnalazioni in merito a condotte anti-concorrenziali di questo genere, salvo che il fatto abbia rilevanza penale – nel qual caso è necessario attivare le competenti Autorità (Procura della Repubblica, Polizia giudiziaria, NAS) – lo stesso può richiedere, nell’espletamento della propria attività di vigilanza ai sensi dell’art. 8 della L. m. 175/1992, il supporto della ASL ovvero degli organi di Polizia giudiziaria per gli accertamenti del caso.
3. Gli obblighi professionali del farmacista
Ai sensi dell’art. 6 del Codice, è obbligo del farmacista, nel corretto e diligente espletamento della propria professione, acquisire informazioni dettagliate dall’interlocutore, per valutare con attenzione il caso sottopostogli, tanto più se il farmaco in questione non è soggetto a prescrizione medica e, pertanto, potrebbe essere immediatamente consegnato al richiedente. La norma prevede altresì che il farmacista debba estendere la propria competenza professionale alle medicine non convenzionali.
L’art. 7 del Codice è finalizzato a garantire l’identificabilità del farmacista, attraverso strumenti che lo rendano, in virtù del suo ruolo e delle sue prerogative, non confondibile e distinguendolo dagli altri soggetti che operano all’interno della farmacia. A tal fine, si prevede per il farmacista il dovere di indossare il camice bianco con il distintivo professionale e un cartellino di riconoscimento che rechi elementi identificativi nelle modalità discrezionalmente stabilite da ciascun Ordine, nonché del numero di iscrizione all’Albo e dell’Ordine di appartenenza (e che, per evitare possibili abusi, all’atto della cancellazione dall’Albo deve essere riconsegnato dal farmacista al soggetto che l’ha rilasciato).
L’ultimo comma dell’art. 7 prevede l’obbligo per il direttore di farmacia, pubblica o privata, e per il farmacista responsabile degli esercizi commerciali di cui alla L. n. 248/2006 di segnalare eventuali inosservanze alle suddette disposizioni, che si realizzino nei locali di rispettiva competenza. Il direttore della farmacia svolge infatti un ruolo di centrale importanza per garantire il rispetto della normativa vigente e delle regole deontologiche all’interno della farmacia.
L’art. 8 del Codice fornisce una breve definizione dell’atto sanitario di dispensazione e fornitura dei farmaci, ribadendo l’esclusiva in capo al farmacista, come riconosciuta dalla legge, di tale dispensazione e la responsabilità che ne discende.
L’art. 9 del Codice evidenzia che il farmacista è l’unico responsabile delle preparazioni galeniche e officinali ed è tenuto al rispetto della normativa vigente – in particolare, a quella relativa alle procedure di allestimento – allo scopo di garantirne la qualità, sicurezza ed efficacia. A tal proposito, il farmacista deve rispettare il D.M. 18.11.2003, il D.M. 22.6.2005 e le Norme di Buona Preparazione (NBP) contenute nella Farmacopea Ufficiale.
L’art. 10 comma 1 del Codice sottolinea l’attività svolta dal farmacista nell’ambito della farmacovigilanza; il farmacista, infatti, deve provvedere alle comunicazioni di reazioni avverse previste dalla vigente normativa (per quanto concerne i medicinali per uso umano dal D. Lgs. n. 219/2006, per quanto concerne i medicinali veterinari dal D. Lgs. n. 193/2006), concorrendo così alla tutela della salute pubblica.
Il comma 2 dell’art. 10 evidenzia il ruolo svolto dal farmacista in materia di aderenza alle terapie farmacologiche, che consente di ottenere un maggiore livello di efficacia delle cure, garantendo la tutela della salute del paziente e un corretto governo della spesa del SSN. Il farmacista, infatti, nella presa in carico del paziente e nella gestione della terapia farmacologica, nell’ambito delle proprie competenze professionali, è in grado di monitorare le modalità di assunzione dei medicinali per singola patologia e, in caso di mancata aderenza alla terapia, può intervenire per evitare determinati errori ovvero, in caso di criticità, può segnalare la questione al medico prescrittore per gli interventi di competenza. In tal senso, la farmacia è parte integrante della rete di assistenza territoriale volta a far fronte alle esigenze di salute dei cittadini nella prospettiva di un’ottimizzazione delle risorse e della qualificazione dei livelli assistenziali.
L’ultimo comma dell’art. 10 stabilisce infine il dovere del farmacista di collaborare con i medici e con le strutture sanitarie del SSN, allo scopo di garantire ai pazienti la migliore appropriatezza terapeutica possibile.
L’art. 11 del Codice stabilisce il dovere per i farmacisti della formazione permanente (ECM) e dell’aggiornamento professionale, al fine di adeguare costantemente le proprie conoscenze al progresso scientifico, all’evoluzione normativa, ai mutamenti dell’organizzazione sanitaria e alla domanda di salute dei cittadini.
Tale obbligo è previsto per tutti gli operatori sanitari dal D. Lgs. m. 502/1992 e dai successivi Accordi Stato-Regioni in materia, nonché dalla L. n. 148/2011 e dall’art. 7 del D.P.R. n. 137/2012, il quale al comma 1, prevede che la violazione di tale obbligo costituisce illecito disciplinare. Il dovere di vigilare sul corretto adempimento da parte degli iscritti del dovere formativo ECM Incombe sugli Ordini territoriali.
Il Codice sottolinea l’importanza dell’introduzione del Dossier formativo di gruppo della Federazione, che rappresenta un’importante innovazione nell’ambito dell’aggiornamento ECM e che è stato automaticamente inserito nel profilo personale sul portale COGEAPS di tutti gli iscritti all’Albo.
L’art. 12 comma 1 del Codice impone al farmacista di porre in essere iniziative finalizzate al contrasto dell’uso, umano o veterinario, di medicinali o sostanze farmacologiche per finalità non terapeutiche e, in particolare, a fini di doping.
Come è noto, ai sensi della L. n. 376/2000, costituiscono doping la somministrazione, assunzione o somministrazione di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e l’adozione o la sottoposizione a pratiche mediche non giustificate da condizioni patologiche e idonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti. Sono equiparate al doping la somministrazione di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e l’adozione di pratiche mediche non giustificate da condizioni patologiche, finalizzate e comunque idonee a modificare i risultati dei controlli sull’uso dei farmaci, delle sostanze e delle pratiche sopra indicate.
Ai sensi dell’art. 586 bis c.p., è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni e con la multa da euro 2.582 a euro 51.645 il farmacista che, in assenza della necessaria prescrizione, dispensi o favorisca comunque l’utilizzo, per finalità diverse da quelle proprie, di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive, ricompresi nelle classi delle sostanze dopanti.
In base a quanto previsto dal DM 24 ottobre 2006, i farmacisti sono tenuti a trasmettere in modalità elettronica, entro il 31 gennaio di ogni anno, al Ministero della Salute, i dati riferiti all’anno precedente relativi alle quantità utilizzate e vendute di ogni singolo principio attivo vietato per doping.
Il comma 2 dell’art. 12 del Codice dispone che il farmacista deve promuovere l’automedicazione responsabile e scoraggiare l’uso di medicinali di automedicazione, qualora non giustificato da esigenze terapeutiche. La norma mira a contrastare l’uso non giustificato dei farmaci OTC, in linea con quanto affermato dal Ministero della Salute, secondo cui non è conforme alla normativa vigente l’utilizzo di forme promozionali di vendita, quali il 3×2 o la concessione di un prezzo agevolato subordinata all’acquisto di un quantitativo minimo di scatole, che rappresentano forme di incentivazione dell’uso dei farmaci, né la realizzazione di sistemi di fidelizzazione dei clienti che comportino discriminazioni fra gli stessi nell’applicazione degli sconti sull’acquisto dei farmaci, quali le carte di fedeltà.
Ai sensi dell’art. 12, comma 3 del Codice, qualora il farmacista venga a conoscenza di casi di abuso o uso non terapeutico di medicinali, lo stesso ha il dovere di denunciare alle competenti autorità tali condotte. In particolare, qualora sia configurabile un reato perseguibile d’ufficio (quindi non a seguito di querela della persona offesa), ai sensi degli artt. 331, 361 e 362 del Codice penale, il farmacista ha l’obbligo di denunciare la notizia di reato alla Procura della Repubblica, alla Polizia giudiziaria o al NAS.
4. I doveri del farmacista nei rapporti con i cittadini, medici, veterinari e altri sanitari
L’art. 14 del Codice vieta al farmacista di attuare iniziative o comportamenti che limitano o impediscono il diritto di libera scelta della farmacia da parte dei cittadini. La norma si collega all’art. 15 della L. n. 475/1968, che riconosce ad ogni cittadino, anche se assistito in regime mutualistico, il diritto di libera scelta della farmacia. Pertanto, ogni iniziativa (incluse quelle concernenti la consegna a domicilio dei medicinali, anche organizzate mediante aziende diverse dalla farmacia) non può prescindere da tale principio, né porsi in contrasto con esso imponendo al cittadino l’individuazione di una determinata farmacia per l’acquisto del farmaco.
Ai sensi dell’art. 15 del Codice, nell’attività di dispensazione, consiglio e consulenza professionale il farmacista deve garantire un’informazione sanitaria chiara, corretta e completa, con particolare riferimento all’uso appropriato dei medicinali, alle loro controindicazioni e interazioni, agli effetti collaterali e alla loro conservazione. Inoltre. il farmacista è tenuto ad informare il paziente circa l’esistenza di farmaci equivalenti.
Il farmacista deve, dunque, fornire consigli circostanziati ai pazienti circa tutti i medicinali senza prescrizione, medicinali da banco o di automedicazione, tenendo conto delle indicazioni di cui all’art. 12 del Codice, secondo cui, come si è visto, il farmacista deve scoraggiare l’uso di medicinali per finalità terapeutiche e di medicinali OTC quando ciò non sia giustificato da esigenze terapeutiche.
In proposito, l’art. 51, lett. g), del D. Lgs. n. 206/2007 prevede che tra le attività di competenza del farmacista vi è anche la diffusione di informazioni e consigli sui medicinali (anche nel settore della nutraceutica e, più in generale, quello del benessere e dei corretti stili di vita), compreso il loro uso corretto. Tale attività consulenziale può essere erogata come prestazione libero – professionale, in spazi appositamente adibiti all’interno della farmacia ovvero anche in uno studio al di fuori della stessa, e il farmacista può chiedere un corrispettivo per l’attività svolta.
In particolare, il farmacista può svolgere ogni attività che non sia riservata in modo esclusivo alla competenza di altri professionisti (medico, biologo e dietista), potendo fornire consulenze e dare informazioni riguardanti medicinali, integratori alimentari o comunque, altri prodotti venduti in farmacia; non è invece consentito al farmacista prescrivere ed elaborare diete, anche qualora l’interessato sia in possesso di una specializzazione o di un master universitario, poiché tali titoli non hanno valore di abilitazione professionale.
5. I doveri del farmacista nei rapporti con i sanitari
L’art. 16 del Codice, dopo aver affermato al comma 1 che la comunicazione tra i professionisti della sanità deve ispirarsi al rigore scientifico, pone al comma 2 l’obbligo per il farmacista di attenersi, nel rapporto con gli altri operatori della sanità (in particolare con il medico e l’infermiere), al principio del rispetto reciproco, favorendo la collaborazione, l’integrazione e la condivisione, nell’ambito delle rispettive competenze, anche attraverso lo scambio di conoscenze ed informazioni.
Tale norma assume particolare rilievo nell’ambito della c.d. Farmacia dei servizi e dell’Assistenza Domiciliare Integrata (ADI), nonché della gestione delle patologie croniche.
In proposito, occorre rilevare che il divieto di cumulare la professione farmaceutica con l’esercizio di altre professioni o arti sanitarie, contenuto nell’art. 102 del R.D. 1265/1934, non impedisce al farmacista di collaborare ai programmi di educazione sanitaria della popolazione realizzati a livello nazionale o territoriale e partecipare a campagne di prevenzione delle principali patologie a forte impatto sociale, né di prevedere, presso le farmacie, giornate di prevenzione con la presenza anche del medico in farmacia, trattandosi di condotte estranee all’organizzazione e alla gestione della farmacia. Resta invece escluso, in base alle attuali norme che disciplinano l’esercizio della professione medica e quella del farmacista, che il medico possa effettuare in farmacia attività di diagnosi e di prescrizione.
L’art. 17 del Codice dispone, al comma 1, che il rapporto tra farmacista e medico prescrittore non può essere motivato e condizionato da interessi o vantaggi economici, vietando, al comma 2, l’incentivazione, in qualsiasi forma, di prescrizioni mediche o veterinarie, anche nell’ipotesi in cui ciò non costituisca comparaggio.
Come è noto, il comparaggio – punito dagli artt. 170, 171 e 172 del R.D. 1265/1934 e dagli artt. 123 e 147 comma 5 del D. Lgs. n. 219/2006 – consiste nella pratica in base alla quale un operatore sanitario accetta denaro, premi, benefici e vantaggi, in cambio della prescrizione di determinati farmaci piuttosto che di altri, allo scopo di massimizzare il consumo di un prodotto. Il Codice vieta ogni condotta del farmacista volta ad incentivare con qualsiasi modalità le prescrizioni mediche o veterinarie, anche se non integra i presupposti del reato di comparaggio.
Il comma 3 della norma prevede che costituisce grave abuso e mancanza professionale acconsentire, proporre o accettare accordi tendenti a promuovere la dispensazione di medicinali finalizzata ad un loro uso incongruo o eccedente le effettive necessità terapeutiche, per trarne un illecito vantaggio.
L’art. 18 del Codice vieta il c.d. accaparramento di ricette, cioè quella condotta di concorrenza sleale con la quale il titolare della farmacia acquisisce prescrizioni mediche, anche mediante la pubblicità in studi medici, per incrementare la propria clientela in danno degli altri esercenti la medesima attività. Non costituisce invece accaparramento di ricette la capacità professionale di un farmacista che riesce a convogliare su di sé la clientela senza l’utilizzo di mezzi fraudolenti.
L’art. 19 del Codice al comma 1 impone il rispetto del rapporto di collaborazione e di correttezza tra colleghi, quale presupposto per un giusto esercizio dell’attività professionale del farmacista, in ossequio ai principi etici su cui si basa la professione. In tale ottica si pone anche il comma 2, in base al quale, nell’ambito del tirocinio di formazione del laureando, il farmacista, che assume il ruolo di tutor, deve verificare che il tirocinante consegua durante il percorso le necessarie competenze tecnico-professionali e deontologiche. Non è consentito attivare tirocini in favore di professionisti abilitati o qualificati all’esercizio di professioni regolamentate per attività tipiche ovvero riservate alla professione.
Ai sensi dell’art. 21 comma 1 del Codice, spetta all’Ordine professionale garantire il rispetto del dovere di collaborazione tra colleghi, attraverso l’eventuale irrogazione di sanzioni disciplinari nei confronti degli iscritti nel caso di comportamenti disdicevoli. Il comma 2 della norma sanziona la condotta del farmacista che induca i colleghi a tenere un comportamento contrario alle disposizioni del Codice o, comunque, contrario alle norme che regolano l’esercizio dell’attività professionale. Infine, il terzo comma vieta di attuare qualsiasi forma di discriminazione, molestia o mobbing nei confronti di colleghi o altri lavoratori.
6. Pubblicità e informazione sanitaria
6.1 Pubblicità e informazione delle farmacie
L’art. 23 comma 1 del Codice stabilisce, in linea con il quadro normativo vigente e gli orientamenti espressi dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato in materia di disciplina della pubblicità nell’ambito dei codici deontologici, che è consentito promuovere sia la professione di farmacista, sia la farmacia, purché nel rispetto dei principi di correttezza, veridicità e trasparenza, evitando nel contempo che le informazioni diffuse possano essere equivoche, ingannevoli o denigratorie.
La pubblicità della farmacie può essere fatta utilizzando anche mezzi di comunicazione di massa, al fine non soltanto di segnalare l’esistenza della farmacia, ma anche di pubblicizzare le caratteristiche proprie dell’esercizio e i servizi offerti.
La norma inoltre fa obbligo al farmacista di trasmetterne il contenuto della pubblicità all’Ordine di appartenenza, contestualmente all’attivazione della stessa. In concreto dunque ogni Ordine, ove lo ritenga opportuno o necessario, provvederà i dettagli di trasmissione dei contenuti della pubblicità.
Il comma 2 dell’art. 23 del Codice vieta al farmacista di effettuare alcuna forma di pubblicità in favore di esercenti altre professioni sanitarie o di strutture sanitarie.
Analogamente, il comma 3 dell’art. 23 del Codice vieta al farmacista di accettare o proporre egli stesso che le comunicazioni pubblicitarie relative alla propria farmacia vengano effettuate nelle strutture di coloro che svolgono altre professioni sanitarie (studi e ambulatori medici e/o veterinari, cliniche e strutture sanitarie e socio-assistenziali).
La previsione – che contiene, dunque, un divieto assoluto per la farmacia di fare pubblicità a professionisti e strutture sanitarie, e viceversa, a prescindere dalla conformità o meno del contenuto del messaggio pubblicitario ai precetti deontologici – è conforme a quanto disposto dall’art. 102 del Testo Unico Leggi Sanitarie, il quale vieta la commissione di interessi tra l’esercizio della farmacia e le altre professioni sanitarie, anche a tutela del diritto alla salute.
Qualora il direttore o il farmacista responsabile non riescano a far rispettare tale disposizione dalla proprietà della farmacia o dell’esercizio di vicinato, gli stessi hanno il dovere di segnalare l’inosservanza all’Ordine. Il rispetto delle regole deontologiche sulla pubblicità (e non solo) deve quindi essere assicurato dal direttore della farmacia indipendentemente dalla volontà della proprietà della farmacia, non essendo consentito che le modalità di gestione della farmacia di proprietà di soggetti non farmacisti possa determinare una violazione di tali regole.
L’art. 23 comma 4 del Codice consente la pubblicità della farmacia, con qualunque mezzo diffusa, purché ciò avvenga nel rispetto dei principi di correttezza, veridicità e trasparenza. La pubblicità inoltre non deve essere equivoca, ingannevole o denigratoria, e deve essere funzionale all’oggetto, nonché realizzata in modo consono alle esigenze di salvaguardia della salute di cui la farmacia è presidio.
L’art. 23 comma 5 del Codice consente altresì che possano essere resi noti al pubblico elementi conoscitivi, veritieri e corretti relativi ai servizi prestati, ai reparti presenti nella farmacia, nonché ai prezzi praticati. E’ quindi possibile per il farmacista effettuare comunicazioni prive di finalità promozionali ed aventi quale unico scopo l’informazione circa l’esistenza dei servizi sanitari presenti nel territorio, purché la pubblicità non sia indirizzata a promuovere in maniera selettiva un determinato esercente altra professione sanitaria o esercizio. Ciò può, ad esempio, avvenire mediante la diffusione di elenchi presso la farmacia volti ad indicare, in maniera completa e senza discriminazioni, gli studi e gli ambulatori medici e/o veterinari, le cliniche e le strutture sanitarie, nonché socio-assistenziali presenti nel territorio di riferimento.
6.2 Insegna e croce verde
L’art. 25 comma 1 del Codice regolamenta l’uso dell’insegna della farmacia, la quale può essere qualificata, in termini generali, come insegna di esercizio che, come è noto, consiste in una scritta in caratteri alfanumerici, completata eventualmente da simboli e da marchi, realizzata e supportata con materiali di qualsiasi natura, installata nella sede dell’attività a cui si riferisce o nelle pertinenze accessorie della stessa.
Salvo quanto previsto da specifiche norme, l’insegna della farmacia deve presentare obbligatoriamente la denominazione “farmacia” e l’emblema della croce – che deve essere necessariamente di colore verde – in quanto caratteri indispensabili per identificare l’esercizio farmaceutico.
Tale insegna di esercizio, collocata in prossimità dell’entrata della farmacia, non ha natura pubblicitaria, assumendo evidentemente una valenza informativa in favore dell’utenza, poiché volta a rendere visibile e facilmente identificabile l’ubicazione della farmacia stessa.
In questo senso, la giurisprudenza ha ritenuto che l’insegna di una farmacia, posizionata nel punto di intersezione di due strade, non sia un impianto destinato alla pubblicità – e quindi non è soggetta ai limiti previsti dal Dpr. n. 495/202 sul posizionamento di cartelli pubblicitari e insegne – bensì una “pertinenza accessoria” a sensi dell’art. 47, comma 1, del regolamento attuativo del Codice della Strada, ovvero uno strumento necessario ai fini della normale attività di un esercizio commerciale, che consente alla clientela di individuare agevolmente il punto di accesso ai locali.
Ai sensi dell’art. 5 del D. Lgs. n. 153/2009, l’uso della denominazione “farmacia” e della croce verde sono riservati esclusivamente alle farmacie aperte al pubblico e alle farmacie ospedaliere, in modo da consentire ai cittadini un’immediata identificazione delle farmacie.
I commi 2 e 3 dell’art. 25 prevedono inoltre che i cartelli indicatori – da intendersi esclusivamente come i cartelli che indicano la direzione e la distanza per raggiungere la farmacia più vicina, anche in forma di freccia direzionale – devono essere installati nell’ambito territoriale della sede farmaceutica di pertinenza prevista nella pianta organica, e devono riportare obbligatoriamente sia la direzione che la distanza della farmacia.
Anche i cartelli indicatori installati nell’ambito territoriale della sede farmaceutica di pertinenza non hanno natura pubblicitaria, in quanto hanno lo scopo di dare un’informazione all’utenza in merito alla direzione oppure alla distanza, ovvero ancora di entrambe le indicazioni contemporaneamente, al fine di consentire ai cittadini di raggiungere la farmacia più vicina. I cartelli che non abbiano le caratteristiche sopraindicate, invece, hanno natura pubblicitaria e il loro utilizzo è, dunque, consentito e libero, nel rispetto della normativa vigente e delle regole deontologiche.
7. L’attività professionale nella farmacia
7.1 Il Direttore della farmacia
L’art. 24 del Codice disciplina l’attività del direttore della farmacia, le cui responsabilità sono state notevolmente ampliate negli ultimi anni, soprattutto per effetto delle modifiche introdotte all’art. 7 della L. n. 362/1991 dalla L. n. 124/2017, che da un lato ha riconosciuto la possibilità per le società di capitali, anche interamente partecipate da soci non farmacisti, di essere titolari dell’esercizio della farmacia, e dall’altro ha previsto che la direzione della farmacia, a prescindere dalla proprietà, debba comunque essere gestita da un farmacista “che ne è responsabile”.
Il comma 1 dell’art. 24 stabilisce che il direttore è responsabile dell’organizzazione complessiva della farmacia e deve curare, in particolare, che l’esercizio sia organizzato in modo adeguato al ruolo che la farmacia svolge in quanto presidio sociosanitario e centro di servizi sanitari. Il direttore della farmacia, nella sua qualità di farmacista, è dunque chiamato non soltanto a garantire che l’organizzazione complessiva e l’esercizio della farmacia siano adeguati alla funzione di presidio socio-sanitario assolto dalla farmacia stessa, ma anche a fare in modo che, nell’ambito della farmacia da egli diretta, siano rispettate le disposizioni di legge vigenti, così come le regole sancite dal Codice.
Il comma 2 dell’art. 24 prevede che il direttore è garante e personalmente responsabile, nell’ambito della farmacia da lui diretta, del rispetto delle disposizioni di legge e delle regole deontologiche vigenti, che devono essere applicate in maniera uniforme, omogenea e senza distinzioni.
Ogni farmacista e, in primo luogo il direttore della farmacia, deve dunque assicurare il rispetto delle regole deontologiche, in ossequio ai principi generali di parità di trattamento e non discriminazione, indipendentemente dalla volontà della proprietà della farmacia. Non è consentito, infatti, che le modalità di gestione della farmacia di proprietà di non farmacisti possano determinare una violazione deontologica che non sarebbe consentita nell’ipotesi della farmacia di proprietà di farmacista.
Ai sensi dell’art. 24 comma 3, eventuali inosservanze alle previsioni di cui sopra sono valutate in sede disciplinare, secondo criteri di omogeneità, par condicio ed uniformità e senza distinzioni in ordine alla proprietà della farmacia. Nel caso in cui quest’ultima non faccia osservare le prescrizioni del Codice, il farmacista direttore ha il dovere di segnalare l’inosservanza all’Ordine.
Qualora dunque, ad esempio, la proprietà della farmacia chieda al direttore responsabile della farmacia stessa di porre in essere delle iniziative che si rivelino contrarie alla normativa vigente e/o alle regole deontologiche, il direttore non potrà che rappresentare alla proprietà l’impossibilità di dare esecuzione a tali iniziative, informando altresì l’Ordine di appartenenza, nonché, ove ne ricorrano i presupposti, anche le autorità competenti. Inoltre, nell’ipotesi in cui la proprietà della farmacia adotti essa stessa un’iniziativa contraria alla normativa vigente e/o alle regole deontologiche, la quale tuttavia sia al di fuori della possibilità di controllo del direttore della farmacia (ad esempio, potrebbe trattarsi di un’iniziativa che si svolge al di fuori della farmacia e che non richieda un contributo attivo da parte del direttore), il direttore della farmacia, venuto a conoscenza di una simile iniziativa, deve richiamare l’attenzione della proprietà sulla non conformità alla legislazione vigente e/o alle norme deontologiche, segnalando nel contempo la vicenda all’Ordine di appartenenza e, ricorrendone i presupposti, alle autorità competenti.
7.2 Obbligo di ricetta medica
L’art. 26 del Codice stabilisce che il farmacista deve respingere le richieste di medicinali senza la prescritta ricetta medica o veterinaria o redatte su ricette prive dei requisiti stabiliti dalla legge, fatti salvi i casi di urgenza regolati dalla normativa vigente e quelli in cui ricorra lo stato di necessità per salvare, chiunque ne faccia richiesta, dal pericolo immediato di un danno grave alla persona.
Il farmacista non può pertanto dispensare, senza prescrizione medica, farmaci per cui sussista tale obbligo. Tale norma è strettamente collegata al divieto di effettuare diagnosi; il farmacista, infatti, non può sostituirsi al medico, mentre rientra tra i suoi compiti agevolare la conoscenza delle finalità delle terapie prescritte e le corrette modalità di assunzione dei medicinali.
Ai sensi dell’art. 87 D. Lgs. n. 219/2006, la dispensazione dei medicinali soggetti a prescrizione medica deve avvenire soltanto su presentazione di ricetta valida ai sensi della normativa vigente, fatta salva l’ipotesi eccezionale, regolamentata dal D.M. 31.3.2008, relativa alla loro dispensazione, in assenza di prescrizione medica, in casi di estrema necessità e urgenza. Tale erogazione è giustificata dalla necessità di assicurare la prosecuzione di un trattamento e riguarda la dispensazione a specifiche condizioni di medicinali per patologie croniche e la prosecuzione di altri trattamenti, o la dimissione ospedaliera, limitatamente ad una sola confezione con il più basso numero di dosi. L’art. 148 del D. Lgs. n. 219/2006 stabilisce le diverse sanzioni in caso di violazione delle sopraindicate disposizioni, fermo restando quelle specifiche per i medicinali stupefacenti previste dall’art. 48 del D.P.R. n. 309/1990.
L’altra eccezione al divieto di dispensazione di un medicinale soggetto a prescrizione medica in assenza della stessa, relativa allo stato di necessità, si riferisce invece alla fattispecie di cui all’art. 54 c.p.
L’art. 28 comma 1 del Codice prevede che la dispensazione dei medicinali soggetti a prescrizione medica è subordinata alla verifica da parte del farmacista dei requisiti formali e sostanziali della ricetta, previsti dalla normativa vigente (R.D. n. 1265/1934, R.D. n. 1706/1938, D.P.R. n. 309/1990, L. n. 648/1996, L. n. 94/1998, L. n. 376/2000, L. n. 405/2001, D.L. n. 87/2005, D. Lgs. n. 219/2006, Farmacopea Ufficiale e NBP) a garanzia della tutela della salute del paziente.
Il comma 2 dell’art. 28 prevede che il farmacista, qualora necessario, prima di procedere alla dispensazione del medicinale, deve contattare il medico o veterinario prescrittore, riservatamente e in spirito di collaborazione, al fine di eliminare dubbi e incertezze relative alla prescrizione medica, anche inerenti all’interazione tra i farmaci (eventualmente anche con medicinali SOP).
7.3 Medicinali off label
L’art. 27 del Codice vieta al farmacista di detenere, dispensare o promuovere medicinali industriali non autorizzati al commercio in Italia, ancorché prescritti su ricetta medica, fatta eccezione per i casi disciplinati da specifiche norme.
L’art. 147 del D. Lgs. n. 219/2006 stabilisce le sanzioni penali e deontologiche in cui incorre il farmacista che detenga per dispensare o dispensi, pur se prescritti dal medico, medicinali industriali non autorizzati al commercio in Italia, fatta salve le ipotesi previste nel comma 4 bis del D.L. n. 536/1996 (convertito con modificazioni dalla L. n. 648/1996) e nella L. n. 94/1998 (c.d. Legge Di Bella), inerenti alla c.d. dispensazione off label.
In particolare, l’art. 3 comma 2 della Legge Di Bella delinea gli ambiti entro i quali può legittimamente collocarsi la prescrizione off label dei farmaci, individuando le condizioni cui deve essere subordinata la sua attuazione. Come è noto, infatti, il medico nel prescrivere un medicinale si attiene alle indicazioni terapeutiche, alle vie e alle modalità di somministrazione previste dall’autorizzazione all’immissione in commercio; tuttavia, qualora il paziente, in base a dati documentabili, non possa essere utilmente trattato con farmaci utilizzati in modo conforme alla registrazione, il medico, sotto la propria responsabilità e previa informazione e consenso del paziente stesso, può impiegare un medicinale al di fuori di quanto autorizzato, purché tale impiego sia noto e conforme a lavori scientifici accreditati.
Ai sensi dell’art. 29 del Codice, il farmacista è tenuto a rispettare le disposizioni contenute nelle Convenzioni con il SSN e con i Servizi Sanitari Regionali, nonché nei correlati altri provvedimenti. L’Ordine è tenuto a verificare eventuali segnalazioni che dovessero pervenire circa violazioni in merito e, salvo che il fatto abbia rilevanza penale – nel qual caso è necessario attivare le competenti Autorità (Procura della Repubblica, Polizia giudiziaria, NAS) – può richiedere, nell’espletamento della propria attività di vigilanza ai sensi dell’art. 8 L. n. 175/1992, il supporto della ASL o degli organi di Polizia giudiziaria per gli accertamenti del caso.
7.4 Consegna a domicilio di medicinali
L’art. 30 comma 1 del Codice prevede che la consegna a domicilio dei medicinali soggetti a prescrizione medica può essere effettuata soltanto dopo che in farmacia sia avvenuta la spedizione della ricetta originale.
Ai sensi dell’art. 122 del R.D. n. 1265/1934, la consegna dei medicinali è consentita solo ai farmacisti e deve essere effettuata nella farmacia, sotto la responsabilità del titolare della medesima. Ad eccezione dell’ipotesi eccezionale della dispensazione d’urgenza, ai sensi del D.M. 31.3.2008, la consegna a domicilio di medicinali da parte del farmacista è consentita purché essa sia effettuata soltanto dopo che, nella farmacia sia avvenuta la spedizione della ricetta (ove prescritta), in quanto il farmacista deve assicurare il proprio intervento professionale attraverso il controllo del medicinale e il controllo della regolarità della prescrizione.
Se il medicinale è assoggettato a prescrizione medica, la ricetta deve pervenire, in originale (o anche via fax o via e-mail), in farmacia prima che venga consegnato il farmaco, indipendentemente dal soggetto che provvede a far pervenire la ricetta in farmacia; tuttavia, non è consentito far uscire il farmaco sulla base di una ricetta pervenuta.
Peraltro, la consegna a domicilio dei farmaci (c.d. home delivery) è stato notevolmente incrementato per effetto della c.d. dematerializzazione delle ricette, la quale, dopo essere stata prevista dapprima per le sole prescrizioni a carico del SSN (D.L n. 269 del 30 settembre 2003, convertito nella L. n. 326/2003; L. n. 311/2004; l DPCM del 26 marzo 2008; Decreto MEF del 2 novembre 2011; DPCM 14 novembre 2015), è stata successivamente estesa, per effetto del D.M. 30 dicembre 2020, ai farmaci non a carico del SSN, permettendo così anche alle ricette cosiddette “bianche”, relative cioè ai farmaci non concessi dal SSN, a totale carico del cittadino, di beneficiare degli stessi flussi digitali già attivi per la ricetta dematerializzata.
Il comma 2 dell’art. 30 del codice stabilisce inoltre che il farmacista, il quale ponga in essere iniziative di consegna a domicilio dei medicinali debba assicurare che tale servizio sia svolto nel rispetto di quanto previsto dagli artt. 14 (libera scelta della farmacia), 15 (segreto professionale) e 39 (privacy) del Codice e deve garantire, oltre alla sicurezza, corrette condizioni di conservazione dei medicinali.
8. Attività professionale negli esercizi di vicinato (parafarmacie)
L’art. 31 comma 1 del Codice stabilisce che il farmacista responsabile dell’esercizio commerciale di cui all’art. 5 del D.L. n. 223/2006, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 248/2006, deve curare che l’esercizio sia organizzato in modo conforme alle normative vigenti.
Come è noto, il D.L. n. 223/2006 (c.d. Decreto Bersani), convertito nella L. n. 248/2006, ha apportato notevoli modifiche al settore della distribuzione dei farmaci e della gestione delle farmacie, consentendo, tra l’altro, la nascita delle c.d. “parafarmacie” negli esercizi commerciali diversi dalle farmacie, dove i farmaci da banco possono essere venduti esclusivamente alla presenza e con l’assistenza personale di un farmacista iscritto all’Albo. Gli esercizi commerciali sono stati individuati in base ai criteri previsti dal D. Lgs n. 114/98, interessando:
- gli esercizi di vicinato, ovvero quelli aventi superficie di vendita non superiore a 150 mq. nei comuni con popolazione residente inferiore a 10.000 abitanti e a 250 mq. nei comuni con popolazione residente superiore a 10.000 abitanti;
- le medie strutture di vendita, ovvero gli esercizi aventi superficie superiore ai limiti di cui al punto precedente e fino a 1.500 mq nei comuni con popolazione residente inferiore a 10.000 abitanti e a 2.500 mq. nei comuni con popolazione residente superiore a 10.000 abitanti;
- le grandi strutture di vendita, ossia gli esercizi aventi superficie superiore ai limiti di cui al punto precedente.
Il comma 2 dell’art. 31 prevede che le eventuali insegne delle c.d. parafarmacie devono essere chiare e non ingannevoli, e la relativa croce eventualmente esposta deve essere di colore diverso dal verde.
Come si è visto, l’art. 5 del D. Lgs. n. 153/2009 riserva alle farmacie l’uso della denominazione “farmacia” e l’emblema della croce di colore verde, ritenuti caratteri indispensabili per consentire ai cittadini di identificare facilmente l’esercizio farmaceutico stesso, in quanto presidio sanitario, distinguendolo dagli altri esercizi. In proposito, la circolare del Ministero della Salute n. 3 del 3 ottobre 2006 (c.d. “Circolare Turco”) aveva precisato che, con riferimento all’insegna nei citati esercizi commerciali, non potessero essere utilizzate denominazioni e simboli tali da indurre il cliente a ritenere che si trattasse di una farmacia.
Il successivo D.M. 9.3.2012, relativo alla definizione dei requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi dell’esercizio commerciale di cui all’art. 5 del Decreto Bersani, ha quindi previsto che le insegne debbano essere chiare e non ingannevoli e non possano includere l’emblema della croce, di colore verde, in modo da permettere al cittadino di poter distinguere agevolmente il presidio sanitario “farmacia” – che costituisce sede di erogazione del servizio sanitario pubblico – dall’esercizio commerciale “parafarmacia” – a cui rivolgersi per l’acquisto di determinate tipologie di farmaci – e quindi scegliere consapevolmente a quale esercizio indirizzarsi, a seconda delle necessità del caso. In questo senso, il medesimo decreto specifica che all’esterno dell’esercizio commerciale debba essere indicato, chiaramente e con evidenza, la tipologia di medicinali venduti.
In materia è intervenuta anche la giustizia amministrativa, la quale, in numerose sentenze (si veda ad esempio Tar Lazio, sentenza n. 7697/2012), ha affermato che le c.d. parafarmacie non possono utilizzare la croce verde, di esclusivo appannaggio delle farmacie, ma debbono comunicare la loro esatta denominazione ricorrendo all’utilizzo di simboli e insegne che non risultino ingannevoli per i consumatori.
L’art. 31 comma 3 prevede infine che il farmacista responsabile deve assicurare che nelle c.d. parafarmacie non siano presenti o spedite ricette del SSN e non siano detenuti o dispensati medicinali con obbligo di ricetta medica, ad eccezione di quelli previsti dalla normativa vigente, e qualora non riesca a far rispettare tali disposizioni, ha il dovere di segnalare l’inosservanza all’Ordine.
La violazione di tali disposizioni potrebbe comportare le sanzioni penali previste dall’art. 3 della L. n. 362/1991 per apertura non autorizzata di una farmacia, nonché il provvedimento di immediata chiusura della stessa ordinata da parte della competente autorità sanitaria. Inoltre, nel caso di vendita di medicinali contenenti sostanze psicotrope e stupefacenti, si configurerebbe un’ipotesi di reato perseguibile ai sensi dell’art. 73 del D.P.R. n. 309/1990. Nei suddetti reati potrebbe concorrere anche il farmacista responsabile dell’esercizio commerciale e il farmacista che ha dispensato il farmaco non consentito.
9. Attività nell’industria farmaceutica, nelle strutture sanitarie pubbliche e private non aperte al pubblico e nella distribuzione intermedia
L’art. 32 del Codice stabilisce che Il farmacista il quale eserciti la propria attività nell’industria farmaceutica (cioè nel settore della produzione e commercializzazione dei medicinali), deve tutelare la propria autonomia ed indipendenza professionale, nel rispetto delle previsioni contenute negli articoli 3 e 5 del Codice (che disciplinano rispettivamente “la libertà, indipendenza e autonomia della professione” e “l’attività di sperimentazione e ricerca”).
Ai sensi dell’art. 33 del Codice, il farmacista informatore tecnico-scientifico deve promuovere la corretta conoscenza dei farmaci sulla base di esclusive valutazioni scientifiche.
L’art. 34 comma 1 del Codice prevede che il farmacista, il quale eserciti la professione nelle strutture sanitarie pubbliche e private non aperte al pubblico debba agire su un piano di pari dignità e autonomia con gli altri sanitari e colleghi, con i quali deve instaurare rapporti di costruttiva collaborazione professionale, nel rispetto dei reciproci ruoli.
Il comma 2 dell’art. 34 prevede altresì che il farmacista, nei rapporti con i colleghi delle farmacie territoriali, deve favorire lo scambio di informazioni che possano consentire la realizzazione di un’assistenza farmaceutica adeguata alle necessità sanitarie nel tempo e nei luoghi in cui opera, nel rispetto dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e con spirito collaborativo e di integrazione.
Ai sensi dell’art. 35 comma 1 del Codice, il farmacista che esercita la professione nelle strutture sanitarie pubbliche deve vigilare scrupolosamente affinché, ove sia prevista la dispensazione diretta del farmaco al paziente, la consegna sia effettuata soltanto da farmacisti e nel rispetto di quanto previsto dall’art. 14 del Codice (principio di libera scelta della farmacia), e deve, inoltre, curare che la dispensazione dei farmaci, su richiesta nominativa per uno specifico paziente con piano terapeutico o in “dose unitaria”, avvenga, dalle strutture farmaceutiche di propria competenza alle Unità Operative, sotto il diretto controllo e la personale responsabilità di un farmacista.
Inoltre, nell’allestimento delle preparazioni galeniche effettuate nelle strutture sanitarie pubbliche (si pensi ad esempio a quelle inerenti agli iniettabili oncologici o ai radio farmaci), il farmacista deve rispettare le prescrizioni dell’art. 9 del Codice.
Ai sensi dell’art. 36 del Codice, il farmacista il quale operi nella distribuzione intermedia deve assicurare che tutti i medicinali siano conservati e trasportati nelle condizioni idonee, e garantire che i medicinali siano ceduti esclusivamente a soggetti autorizzati alla distribuzione all’ingrosso o alla vendita diretta di medicinali, alle farmacie e agli esercizi di cui all’art. 5 del D.L. n. 223/2006, convertito dalla L. n. 248/2006.
10. Vendita di medicinali tramite internet e online
L’art. 37 del Codice dispone che le farmacie e gli esercizi commerciali di cui all’art. 5 del D.L. n. 223/2006, convertito dalla L. m. 248/2006, autorizzati ai sensi dell’articolo 112-quater del D. Lgs. 219/2006, possono effettuare la fornitura a distanza al pubblico dei medicinali senza obbligo di prescrizione tramite Internet o altre reti informatiche, nel rispetto delle specifiche tecniche e normative previste.
La vendita a distanza dei farmaci è disciplinata dall’art. 112-quater del D. Lgs. 219/2006 (come modificato dal D. Lgs. n. 17/2014) e dal D.M. 6 luglio 2015. Ai sensi di tale normativa, la vendita online è ammessa solo per i medicinali ad uso umano non soggetti ad obbligo di prescrizione medica, e può essere effettuata unicamente dalle farmacie e dagli esercizi commerciali di cui all’art. 5 del Decreto Bersani, purché dotati di specifica autorizzazione rilasciata dalla Regione o dalla Provincia autonoma (ovvero da altre autorità competenti individuate dalla legislazione regionale).
Il sito web per la fornitura a distanza dei medicinali deve contenere:
- i recapiti dell’Autorità competente che ha rilasciato l’autorizzazione;
- un collegamento ipertestuale al sito web del Ministero della salute;
- il logo comune, chiaramente visibile su ciascuna pagina del sito web, che deve a sua volta contenere un collegamento ipertestuale che rinvii alla voce corrispondente dell’elenco, pubblicato sul sito del Ministero della salute, delle farmacie e delle parafarmacie autorizzate alla fornitura a distanza di medicinali. Tale logo è stato disciplinato dal D.M. 6 luglio 2015, deve essere conforme al marchio combinato allegato al decreto stesso ed avere le prescritte caratteristiche tecniche.
Ai sensi Art. 142-quinquies del D. Lgs. n. 219/2006, il Ministero della salute, previa proposta dell’AIFA resa a seguito di una conferenza di servizi istruttoria in collaborazione con il N.A.S., può disporre, con provvedimento motivato, anche in via d’urgenza, l’oscuramento dei siti illegali di vendita online di medicinali. La mancata ottemperanza al suddetto provvedimento comporta l’irrogazione di una sanzione amministrativa.
L’art. 38 del Codice stabilisce che nell’attività di vendita di prodotti diversi dai medicinali, il farmacista ha l’obbligo di agire in conformità con il ruolo sanitario svolto, nell’interesse della salute del cittadino e dell’immagine professionale del farmacista.
11. Obbligo di segreto e tutela della privacy
L’art. 39 comma 1 del Codice stabilisce che il farmacista è tenuto alla conservazione del segreto su fatti e circostanze dei quali il farmacista sia venuto a conoscenza in ragione della sua attività professionale; ciò costituisce, oltre che un obbligo giuridico – sanzionato dall’art. 622 c.p. – un dovere morale, che il farmacista deve esigere anche dai collaboratori e dagli incaricati del trattamento dei dati personali. Il farmacista può peraltro rivelare fatti coperti dal segreto professionale nelle ipotesi previste dalla normativa vigente.
Il comma 2 dell’art. 39 prevede che il farmacista, nel trattamento dei dati personali, anche sensibili, è tenuto al rispetto della normativa vigente in materia di riservatezza e protezione dei dati – contenuta principalmente nel Regolamento (UE) 2016/679, c.d. GDPR, e ad assicurare la non identificabilità dei soggetti coinvolti nelle pubblicazioni o divulgazioni scientifiche di dati e studi clinici.
In particolare, l’art. 9, comma 2, lett. i), del GDPR riconosce come lecito il trattamento “necessario per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica, quali la protezione da gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero o la garanzia di parametri elevati di qualità e sicurezza dell’assistenza sanitaria e dei medicinali e dei dispositivi medici, sulla base del diritto dell’Unione o degli Stati membri che prevede misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti e le libertà dell’interessato, in particolare il segreto professionale.
Infine, ai sensi dell’art. 39 comma 3, per la valutazione della gravità dell’inosservanza degli obblighi di cui sopra può essere preso in considerazione l’eventuale vantaggio economico ottenuto dal farmacista o da altra persona e, parimenti, l’eventuale danno, anche morale, causato al paziente o familiare.
12. Il potere disciplinare nei confronti dei farmacisti
L’art. 1, comma 3, lett. i), del D. Lgs. C.P.S. n. 233/1946, come riformato dalla L. n. 3/2018, ha introdotto la separazione, nell’ambito dell’attività disciplinare, della funzione istruttoria da quella giudicante, a garanzia del diritto di difesa, dell’autonomia e della terzietà del giudizio disciplinare. A tal fine, in ogni regione sono istituiti uffici istruttori di albo, composti da un numero di membri compreso tra cinque e undici iscritti sorteggiati tra i componenti delle commissioni disciplinari di albo della corrispettiva professione (che, nel caso della professione di farmacista, sono rappresentate dai Consigli direttivi), assicurando la rappresentanza di tutti gli Ordini, e da un rappresentante estraneo alla professione nominato dal Ministro della salute.
Tali uffici istruttori regionali, sulla base di esposti o su richiesta del Presidente della competente commissione disciplinare o d’ufficio, compiono gli atti preordinati all’instaurazione del procedimento disciplinare, sottoponendo all’organo giudicante la documentazione acquisita e le motivazioni per il proscioglimento o per l’apertura del procedimento disciplinare, formulando in quest’ultimo caso il profilo di addebito. I componenti degli uffici istruttori non possano partecipare ai procedimenti relativi agli iscritti al proprio albo di appartenenza.
L’art. 40 comma 1 del Codice recepisce tale normativa, stabilendo che le infrazioni al Codice sono valutate in sede disciplinare dall’Ordine di appartenenza, su proposta dell’Ufficio istruttorio regionale.
Dunque, nei confronti dei farmacisti, in quanto esercenti una delle professioni sanitarie costituite in Ordini (si veda, per i farmacisti, il D. Lgs. n. 258/1991), i provvedimenti disciplinari sono adottati nell’esercizio di un potere espressamente attribuito al rispettivo Ordine professionale, teso a garantire la conformità delle condotte degli stessi a norme e principi stabiliti nell’interesse pubblico al corretto svolgimento della professione.
L’art. 40 comma 2 del Codice prevede che il farmacista è sottoposto alla vigilanza deontologica da parte dell’Ordine nel cui ambito provinciale esercita l’attività professionale, ferma restando la competenza disciplinare spettante all’Ordine presso il quale il sanitario è iscritto.
La norma riconosce quindi in capo all’Ordine nel cui ambito territoriale il farmacista esercita l’attività un potere/dovere di vigilanza deontologica sulle condotte poste in essere nell’esercizio professionale, pur chiarendo che la competenza disciplinare – così come previsto dalla normativa vigente – permane in capo all’Ordine di iscrizione.
L’art. 40 comma 3 del Codice prevede che l’Ordine professionale, al fine di agevolare l’attività di vigilanza deontologica, può convocare i farmacisti esercenti nell’ambito del territorio di sua competenza affinché forniscano chiarimenti in merito a specifiche condotte. In tal caso, il Presidente dell’Ordine, nell’ottica di una collaborazione interistituzionale e al fine di supportare l’esercizio del potere disciplinare da parte dell’Ordine competente, comunica al collega Presidente dell’Ordine presso il quale il farmacista è iscritto gli esiti e le risultanze dell’attività svolta.
Ai sensi dell’art. 40, commi 4 e 5, del Codice sono sanzionabili:
- qualsiasi violazione di norme di leggi o regolamenti che disciplinano l’esercizio della professione di farmacista e il servizio farmaceutico nonché provvedimenti o ordinanze emanati dalle competenti autorità per ragioni di igiene o sanità pubblica;
- qualsiasi abuso o mancanza nell’esercizio della professione e comunque qualsiasi comportamento che abbia causato o possa causare un disservizio o un danno alla salute del cittadino.
L’art. 40 comma 7 del Codice, inoltre, prevede che il farmacista italiano, nell’esercizio di attività professionali all’estero, ove consentite, è tenuto al rispetto delle norme deontologiche nazionali, nonché di quelle dello Stato in cui viene svolta l’attività, le quali prevalgono sulle prime. Analogamente, il farmacista cittadino comunitario o di Paese extra UE, nell’esercizio dell’attività professionale in Italia, quando questa gli sia consentita, è tenuto alla conoscenza e al rispetto della legislazione e delle norme deontologiche vigenti in Italia.
13. Il procedimento disciplinare nei confronti dei farmacisti
13.1 L’istruttoria preliminare
13.1 L’istruttoria preliminare
Il potere disciplinare nei confronti dei farmacisti – così come più in generale conferito agli Ordini professionali sanitari – è disciplinato dal D.Lgs. C.P.S. n. 233/1946 e dal relativo Regolamento per l’esecuzione approvato con D.P.R. n. 221/1950 (di seguito il “Regolamento”).
L’art. 39 del Regolamento prevede che il Presidente dell’Ordine, avuta notizia di fatti che possono formare oggetto di procedimento disciplinare a carico di un iscritto all’Albo, svolge gli accertamenti preliminari ed effettua una istruzione sommaria, assumendo le opportune informazioni. Tale attività preliminare è finalizzata a raccogliere elementi utili al Consiglio direttivo per decidere se sottoporre o meno a procedimento disciplinare il farmacista nei confronti del quale siano emersi fatti suscettibili di valutazione sotto il profilo disciplinare.
Durante la fase di istruzione sommaria avviene l’audizione del farmacista interessato, che deve essere a tal fine convocato. L’audizione non coincide con l’apertura del procedimento disciplinare, ma è finalizzata ad acquisire notizie ed elementi per una eventuale apertura del procedimento disciplinare. Nel caso in cui il sanitario rappresenti la propria impossibilità a presentarsi all’audizione nella data indicata nella lettera di convocazione adducendo un giustificato motivo, si procede ad una nuova convocazione. La mancata presentazione del farmacista all’audizione costituisce fatto illecito perseguibile disciplinarmente.
La lettera di convocazione deve concedere all’interessato un congruo termine per la comparizione e deve esplicitare, anche solo sinteticamente, il motivo della convocazione facendo riferimento al fatto contestato e alla presunta violazione delle norme deontologiche, in modo da garantire al farmacista l’esercizio del diritto alla difesa. Anche in tale fase è infatti consentito al farmacista di avvalersi di un legale di fiducia. Inoltre, al farmacista è garantito il diritto d’accesso agli atti relativi alla fase istruttoria.
A seguito dell’audizione, viene redatto il relativo verbale, nel quale deve essere riportato il luogo, la data, l’identità del farmacista ascoltato e del Presidente, le domande poste e le relative risposte. Una copia del verbale deve essere consegnata all’interessato. Possono essere altresì sentiti testimoni, la cui audizione risulta altresì da apposito verbale.
13.2 Il procedimento disciplinare
Espletati gli accertamenti preliminari con l’acquisizione delle prove e con l’audizione dell’inquisito, il Presidente è tenuto a riferirne al competente organo disciplinare (ovvero al Consiglio direttivo) per le conseguenti deliberazioni (art. 39, comma 1, del Regolamento).
Qualora gli elementi raccolti non siano ritenuti sufficienti e siano ritenuti necessari ulteriori accertamenti, il Consiglio può rinviare ogni decisione, dando mandato al Presidente di completare l’istruttoria. Se, viceversa, ritiene che siano stati acquisiti sufficienti elementi di giudizio, adotta la propria deliberazione, che può essere:
- archiviazione, se i fatti non costituiscono materia di valutazione disciplinare o il farmacista inquisito non li ha commessi;
- inizio del procedimento disciplinare, se si ritiene che sussistano i presupposti per promuovere a carico del farmacista un procedimento disciplinare.
In questo ultimo caso, il Consiglio formula gli addebiti da contestare al farmacista. È in tale momento che inizia il vero e proprio procedimento disciplinare. Da tale momento, il farmacista interessato non ha più diritto di trasferirsi ad altro Ordine, né di cancellarsi, fino al termine del procedimento.
Per la validità delle decisioni del Consiglio è necessaria la presenza della maggioranza dei componenti. La decisione è assunta a maggioranza dei voti (cioè, la metà più uno dei componenti). In caso di parità prevale il voto del Presidente. Gli astenuti sono conteggiati ai fini del quorum.
In tal caso, il Presidente fissa la data della seduta per il giudizio, nomina, tra i Consiglieri, il Relatore e provvede a notificare al farmacista interessato:
- la menzione circostanziata degli addebiti (con l’indicazione precisa di tutte le circostanze di tempo e di luogo e delle modalità relative);
- il termine, non inferiore a 20 giorni e prorogabile su richiesta dell’interessato, entro il quale l’interessato può prendere visione degli atti relativi al suo deferimento a giudizio disciplinare e produrre le proprie controdeduzioni scritte;
- l’indicazione del luogo, giorno ed ora del giudizio disciplinare;
- l’espresso avvertimento che, qualora non si presenti alla seduta del Consiglio, si procederà al giudizio in sua assenza.
Entro il termine di 20 giorni il farmacista può chiedere di essere sentito dal Presidente e chiedere una proroga prima della celebrazione del giudizio a garanzia del diritto alla difesa. Il farmacista può essere assistito da un avvocato di fiducia.
Della deliberazione dell’organo disciplinare va redatto verbale nel quale vengono fatte risultare le opinioni espresse, le risoluzioni adottate e gli addebiti formulati, oltre a ogni altra determinazione approvata. Detto verbale deve essere sottoscritto dal Presidente e dal Segretario (art. 30, comma 2, del Regolamento). Dell’inizio del procedimento disciplinare è data comunicazione alle Autorità.
Come si è visto, il Consiglio direttivo è l’organo collegiale giudicante in materia disciplinare. Per la validità dell’adunanza dell’organo disciplinare non è necessario che intervengano tutti i suoi componenti, ma è sufficiente che intervenga la maggioranza (art. 30, comma 1, del Regolamento). La composizione del Collegio giudicante deve tuttavia rimanere immutata per tutta la durata della celebrazione del giudizio disciplinare, perché solo chi abbia assistito a tutte le fasi del procedimento e abbia potuto rendersi conto di persona, attraverso l’audizione dell’incolpato e degli eventuali testimoni, degli elementi di accusa e di difesa, è in grado di esprimere, con cognizione di causa, il proprio convincimento.
Si applicano al procedimento disciplinare a carico del farmacista gli istituti dell’astensione e della ricusazione, disciplinati dal Codice di Procedura Civile, finalizzati a far sì che il giudice del procedimento disciplinare sia in condizioni di pronunciarsi con assoluta obiettività.
La seduta del Consiglio direttivo in sede disciplinare non è pubblica (art. 46 del Regolamento), ma nella prima fase di essa (quella della trattazione orale, in cui il Relatore espone i fatti al Collegio giudicante), il farmacista incolpato ha diritto di essere presente, avendo la possibilità di rettificare, qualora ne ravvisi la necessità, i fatti e le circostanze esposte dal Relatore, e fornire gli opportuni ulteriori chiarimenti.
Lo svolgimento del procedimento disciplinare si può dividere in due fasi:
- fase dibattimentale, nella il Relatore svolge la propria relazione, il farmacista incolpato viene sentito e si può procedere all’assunzione di prove;
- fase della Camera di Consiglio, nella quale il Collegio giudicante procede all’adozione delle proprie decisioni.
Il verbale della seduta deve essere redatto dal Segretario, sottoscritto dal Presidente e dal Segretario e deve contenere, ai sensi dell’art. 46 del Regolamento:
- giorno, mese ed anno;
- nomi dei componenti il Consiglio intervenuti;
- giudizi esaminati e questioni trattate.
Le decisioni sono prese a maggioranza dei voti; in caso di parità, prevale il voto del Presidente (art. 30 del Regolamento). Dell’esito del giudizio disciplinare va poi data comunicazione, a cura del Presidente, al Ministero della Salute, al Prefetto ed al Procuratore della Repubblica della circoscrizione.
Ai sensi dell’art. 47 del Regolamento, la decisione (che deve essere sottoscritta da tutti i membri dell’Organo disciplinare intervenuti alla seduta in cui è stata deliberata) deve contenere la chiara motivazione del provvedimento disciplinare, in modo che da essa risulti l’iter logico che ha condotto alla formazione del convincimento dell’organo decidente e si possa apprezzare se la decisione data sia sorretta da prove sufficienti e da valide considerazioni di fatto e giuridiche. La motivazione deve altresì rispettare la necessaria correlazione fra gli addebiti contestati ed il provvedimento emesso.
13.3 L’impugnazione della decisione
Una volta adottata e sottoscritta, la decisione viene pubblicata mediante deposito dell’originale nell’ufficio di Segreteria, e copia del provvedimento viene notificata all’interessato. Il provvedimento disciplinare diviene esecutivo decorso il termine di 30 giorni dalla notifica del provvedimento, concesso all’interessato per proporre impugnazione davanti alla Commissione Centrale (C.C.E.P.S.).
La C.C.E.P.S. è un organo di giurisdizione speciale, istituito presso il Ministero della Salute con il D.lgs. CPS n. n. 233/1946; essa è presieduta da un Consigliere di Stato ed è composta da membri designati dal Ministro della Salute e Federazioni nazionali degli Ordini e Collegi delle professioni sanitarie, nominati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri e durano in carica quattro anni.
Il ricorso dell’interessato alla C.C.E.P.S. ha effetto sospensivo quando sia proposto nei confronti dei provvedimenti di cancellazione dall’Albo o i provvedimenti disciplinari, ad eccezione di quelli previsti dagli artt. 42 e 43 del Regolamento (sospensione dall’esercizio della professione e radiazione dall’albo). Nel caso di comprovato difetto di uno o più titoli o requisiti prescritti per l’iscrizione nell’Albo, la Commissione, in via eccezionale, può disporre che il ricorso non abbia effetto sospensivo.
Avverso la decisione della C.C.E.P.S. può essere proposto ricorso alle Sezioni unite della Corte di Cassazione entro 60 giorni dalla sua notifica. Il ricorso non ha effetto sospensivo.
Ai sensi dell’art. 51 del Regolamento, l’azione disciplinare nei confronti dei farmacisti si prescrive in 5 anni, salvo il compimento di atti interruttivi quali, ad es., la delibera del Consiglio dell’Ordine di promuovere l’azione medesima. Tale termine decorre:
- qualora l’azione sia proposta per la violazione di una norma deontologica, giuridica o tecnica che disciplina l’attività del farmacista, dalla data di avvenuta commissione dell’illecito (e non da quella di conoscenza dello stesso da parte dell’organo disciplinare);
- qualora l’azione sia proposta per un fatto di rilevanza penale e, contestualmente, deontologica, dalla conclusione del processo penale.
14. Le sanzioni disciplinari nei confronti dei farmacisti
Ai sensi dell’art. 1, comma 3, lett. l), del D.Lgs.C.P.S. n. 233/1946 (come riformato dalla L. n. 3/2018), le sanzioni disciplinari devono essere irrogate “secondo una graduazione correlata alla volontarietà della condotta, alla gravità e alla reiterazione dell’illecito, tenendo conto degli obblighi a carico degli iscritti, derivanti dalla normativa nazionale e regionale vigente e dalle disposizioni contenute nei contratti e nelle convenzioni nazionali di lavoro.”
In attuazione di tale norma, l’art. 40 comma 6 del Codice stabilisce che le sanzioni devono essere appunto commisurate alla gravità dei fatti e devono tener conto della reiterazione dei comportamenti, nonché delle specifiche circostanze, soggettive ed oggettive, che hanno concorso a determinare la violazione.
Ciò premesso, ai sensi dell’art. 40 del Regolamento, le sanzioni disciplinari applicabili ai farmacisti sono:
- l’avvertimento, che consiste nel diffidare il colpevole a non ricadere nella mancanza commessa;
- la censura, che è una dichiarazione di biasimo per la mancanza commessa;
- la sospensione dall’esercizio della professione per la durata da uno a sei mesi, salvo quanto stabilito dall’art. 43 del Regolamento;
- la radiazione dall’Albo.
Ai sensi dell’art. 41 del Regolamento, la radiazione viene pronunciata contro il farmacista che con la sua condotta abbia compromesso gravemente la sua reputazione e la dignità della classe sanitaria. La radiazione è prevista inoltre (art. 42 del Regolamento):
- in caso di condanna per uno dei reati previsti dal Codice penale agli artt. 446 (commercio clandestino o fraudolento di sostanze stupefacenti), 548 (istigazione all’aborto), 550 (atti abortivi su donna ritenuta incinta) e per ogni altro delitto non colposo, per il quale la legge commina la pena della reclusione non inferiore nel minimo a due anni o nel massimo a cinque anni;
- in caso di interdizione dai pubblici uffici, perpetua o di durata superiore a tre anni, e di interdizione dalla professione per una uguale durata;
- in caso di ricovero in un manicomio giudiziario nei casi indicati nell’art. 222, secondo comma, C.p.;
- in caso di applicazione della misura di sicurezza preventiva prevista dall’art. 215 comma secondo, n. 1 C.p. (assegnazione ad una colonia agricola o ad una casa di lavoro).
Ai sensi dell’art. 50 del Regolamento, il farmacista radiato dall’Albo può essere reiscritto, purché siano trascorsi cinque anni dal provvedimento di radiazione e, se questa deriva da condanna penale, sia intervenuta la riabilitazione e il farmacista abbia tenuto, dopo la radiazione, irreprensibile condotta. Sull’istanza di reiscrizione provvede il Consiglio, con l’osservanza delle disposizioni relative alle iscrizioni.
Ai sensi dell’art. 43 del Regolamento, la sospensione dall’esercizio della professione avviene, oltre che per i casi previsti dalla legge, in caso di:
- emissione di un mandato o di un provvedimento che disponga gli arresti domiciliari o la custodia cautelare in carcere;
- applicazione provvisoria di una pena accessoria o di una misura di sicurezza ordinata dal giudice, ai sensi dell’art. 206 C.p.;
- interdizione dai pubblici uffici per una durata non superiore a tre anni;
- applicazione di una delle misure di sicurezza detentive previste dall’art. 215, comma secondo, nn. 2 e 3 C.p. (ricovero in una casa di cura e di custodia o ricovero in manicomio giudiziario);
- applicazione di una delle misure di sicurezza non detentive previste dall’art. 215, comma terzo, nn. 1, 2, 3 e 4 C.p. (libertà vigilata, divieto di soggiorno in uno o più comuni o province, divieto di frequentare osterie e pubblici spacci di bevande alcoliche, espulsione dello straniero dallo Stato).
La sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione di farmacista comporta in ogni caso la chiusura della farmacia.
Infatti, l’art. 112 R.D. n. 1265/1934 prevede che l’autorizzazione all’esercizio della farmacia è strettamente personale e, quindi, direttamente connessa alla persona del titolare che, se persona fisica, deve essere iscritto all’Albo. Inoltre, l’art. 11 L. n. 475/1968, individua nel farmacista l’unico soggetto responsabile dell’esercizio della farmacia e della gestione dei beni patrimoniali.
Da tali norme si ricava che l’esercizio della farmacia è direttamente collegato alla persona del professionista e al mantenimento dei requisiti di idoneità alla professione.
D’altra parte, il farmacista sospeso non può mantenere aperta l’attività neppure facendosi sostituire da altro farmacista idoneo; l’art. 11, L. n. 475/1986 prevede infatti che ciò è possibile solo in specifiche ed eccezionali ipotesi come l’infermità, le ferie, la gravidanza, ovvero in caso di impedimenti di natura materiale, che quindi non riguardano i requisiti per l’esercizio della professione.
15. Il rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare
Procedimento penale e procedimento disciplinare sono, in linea di principio, del tutto autonomi; Il Codice di procedura penale non prevede la sospensione obbligatoria del procedimento disciplinare in caso di pendenza del processo penale.
Ciò significa che è rimessa all’autorità disciplinare la scelta fra dar corso, comunque, al procedimento per la violazione deontologica, oppure attendere gli esiti delle indagini preliminari e/o del processo penale.
Le Sezioni unite della Corte di Cassazione, tuttavia, hanno stabilito in proposito che, qualora l’addebito disciplinare abbia ad oggetto i medesimi fatti contestati in sede penale, il giudizio disciplinare deve essere sospeso, ai sensi dell’art. 295 C.p.c., in pendenza di quello penale, dato che dalla definizione di quest’ultimo può dipendere la decisione del procedimento disciplinare (Cass. Sez. un., n. 4893 del 08/03/2004).
Peraltro, nella prassi quasi sempre l’Ordine dei farmacisti sospende il procedimento disciplinare in pendenza di quello penale (che abbia ad oggetto i medesimi fatti), in quanto dalla definizione del giudizio penale può evidentemente dipendere la decisione del procedimento in sede disciplinare.
Ciò premesso, la norma che regolamenta i rapporti tra il procedimento disciplinare e quello penale è dettata dall’art. 653 C.p.p. – la quale, secondo la giurisprudenza prevalente, pur facendo riferimento ai giudizi disciplinari per responsabilità davanti alle pubbliche autorità (con riguardo specifico, dunque, ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni), si applica ai procedimenti disciplinari a carico di tutti i professionisti sanitari, ivi compresi quindi i farmacisti – secondo cui: “la sentenza penale irrevocabile di assoluzione ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o non costituisce illecito penale ovvero che l’imputato non lo ha commesso. La sentenza penale irrevocabile di condanna ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso”.
Pertanto, qualora il farmacista subisca un procedimento penale, per gli stessi fatti oggetto del procedimento disciplinare, in tale sede si producono i seguenti effetti:
- in caso di assoluzione con formula piena (poiché il fatto non sussiste, o perché l’imputato non lo ha commesso), il giudicato penale esplica i suoi effetti anche nel procedimento disciplinare, impedendo così all’Ordine di sottoporre il farmacista a procedimento disciplinare per i medesimi fatti oggetto del procedimento penale;
- in caso di assoluzione per estinzione del reato dovuta a prescrizione, amnistia o indulto, o per remissione della querela, l’Ordine conserva il potere disciplinare e il farmacista può essere sottoposto a procedimento disciplinare per i medesimi fatti;
- in caso di condanna in sede penale, l’Ordine ha l’obbligo di esercitare il potere disciplinare, non potendo mettere in dubbio i fatti accertati dal giudice penale, ma conservando libertà di giudizio in merito alla rilevanza o meno del fatto dal punto di vista della deontologia e dell’etica professionale (ciò in quanto, soprattutto nei reati colposi – quali omicidio colposo e lesioni colpose – al verificarsi dell’evento avverso – morte e lesioni del paziente – non necessariamente corrisponde un illecito deontologico).
Qualunque sia, in ogni caso, l’esito definitivo del giudizio penale (e quindi anche nell’ipotesi di archiviazione), l’Ordine è tenuto a riprendere il procedimento e portarlo a conclusione – dandone comunicazione alla Regione e all’autorità giudiziaria – con un provvedimento, quale esso sia; peraltro, la sospensione e/o la radiazione del farmacista possono derivare
direttamente, cioè di diritto (ai sensi degli artt. 42 e 43 del Dpr. n. 221/1950), da provvedimenti del giudice penale, interinali o definitivi, e perciò anche nel corso del procedimento disciplinare.
Infine, in caso di privazione della libertà personale disposta dall’autorità giudiziaria in una qualsiasi fase dal procedimento penale, la sospensione del farmacista dall’esercizio della professione, quindi dall’Albo, opera di diritto (ai sensi del citato art. 43 lett. a, Dpr. n. 221/1950), fino a quando abbia effetto il provvedimento da cui essa è stata determinata.
Avv. Valerio Pandolfini
Avvocato specializzato in diritto farmaceutico
Per altri articoli su farmacie e diritto farmaceutico visitate il nostro blog.
Le informazioni contenute nel presente articolo hanno carattere generale e non sono da considerarsi un esame esaustivo né intendono esprimere un parere o fornire una consulenza di natura legale. Le considerazioni e opinioni di seguito riportate non prescindono dalla necessità di ottenere pareri specifici con riguardo alle singole fattispecie descritte. Di conseguenza, il presente articolo non costituisce un(né può essere altrimenti interpretato quale) parere legale, né può in alcun modo considerarsi come sostitutivo di una consulenza legale specifica.