La sperimentazione clinica non profit dopo il D.M. 30 novembre 2011
Secondo i dati AIFA, le sperimentazioni cliniche no profit, pur avendo subìto negli ultimi anni una significativa contrazione – come del resto l’intero sistema delle sperimentazioni cliniche – in Italia costituiscono circa il 25% del totale. La normativa di settore (D.M. 17.12.2004) non consentiva tuttavia che la sperimentazione non profit potesse impattare sulle attività regolatorie connesse ai farmaci; i risultati di tali sperimentazioni non potevano quindi apportare alcun beneficio effettivo alla pratica clinica e, di conseguenza, alla cura dei pazienti. Il D.M. del 30 novembre 2021, entrato in vigore il 3 marzo 2022, ha abrogato il D.M. 17.12.2004, prevedendo la possibilità di cedere i dati e i risultati delle sperimentazioni senza scopo di lucro a fini registrativi a soggetti commerciali, quali le aziende farmaceutiche. Una svolta epocale nel settore della ricerca scientifica, che si auspica possa portare benefici sia alle aziende farmaceutiche – che potranno acquistare i dati derivanti da sperimentazioni non profit a fini registrativi – sia ai promotori, che beneficeranno così di una nuova forma di finanziamento delle proprie attività. Analizziamo come il nuovo decreto ha ridefinito i confini delle sperimentazioni cliniche non profit e degli studi osservazionali.
1. Le sperimentazioni cliniche non profit
La sperimentazione clinica svolge, come è noto, un ruolo di fondamentale importanza nel settore farmaceutico, in quanto contribuisce allo svolgimento della conoscenza ed alla lotta contro le malattie, oltre a costituire un elemento centrale del processo regolatorio di autorizzazione all’immissione in commercio.
Per molti anni, la sperimentazione clinica è stata promossa e sostenuta per la quasi totalità dalle aziende farmaceutiche, contribuendo a classificare la natura delle sperimentazioni stesse come propriamente lucrativa. La ricerca non profit si caratterizza invece per un profondo ed esclusivo significato scientifico.
A differenza, infatti, delle sperimentazioni c.d. “profit“, che sono promosse dall’industria farmaceutica a fini di lucro, e i cui risultati divengono di proprietà dell’industria farmaceutica e possono essere utilizzati nello sviluppo industriale del farmaco (e quindi con finalità commerciali), le sperimentazioni non commerciali (c.d. “non profit“), non sono promosse dall’industria farmaceutica bensì da enti pubblici o di ricerca, non a fini di lucro, i quali non sono proprietari del brevetto del farmaco o dell’AIC e non hanno cointeressenze economiche con l’azienda produttrice del farmaco.
I risultati delle sperimentazioni non profit divengono di proprietà del promotore, non dell’industria farmaceutica, e non sono utilizzati per lo sviluppo industriale del farmaco o comunque a fini di lucro, ciò in quanto la finalità ultima di questa tipologia di sperimentazioni è la mancanza di finalità commerciali.
Si tratta, infatti, di studi o sperimentazioni cliniche che si caratterizzano per la loro piena indipendenza rispetto a soggetti terzi operanti sul mercato di riferimento (case farmaceutiche o aziende produttrici di dispositivi medici), sia per la loro progettazione che per la relativa conduzione; in questo caso, infatti, è il promotore (ovvero lo sperimentatore) a redigere autonomamente il protocollo di studio, diversamente da quanto avviene nelle sperimentazioni “profit” in cui, invece, è la casa farmaceutica (o il produttore del dispositivo medico) a redigere il protocollo di studio sulla base del quale verrà poi condotta la sperimentazione presso il Centro clinico a fronte del pagamento, in favore di quest’ultimo, di un corrispettivo volto a remunerare l’attività svolta così come prevista nel protocollo approvato dal Comitato etico.
In entrambe le tipologie di studi (profit e no-profit) la titolarità esclusiva dei dati e dei risultati relativi alla sperimentazione spetta al promotore dello studio (ovvero l’industria farmaceutica o il produttore del device medico); tuttavia, mentre nel caso di studio “profit”, il promotore ha il diritto di ottenere tutti i dati e i risultati ottenuti nel corso dello studio dal Centro clinico presso il quale viene condotta la sperimentazione – dati e risultati che potrà utilizzare liberamente a fini di sviluppo del farmaco e/o del device, industriali, registrativi o, più in generale, una volta ottenute tutte le necessarie autorizzazioni, a fini commerciali – nel caso di studio “no-profit” il promotore non può utilizzare – fatta salva, ora, l’ipotesi di cui all’art. 3 del nuovo D.M. 30.novembre 2021 (par. 4.2) – i dati e i risultati ottenuti nel corso della sperimentazione per finalità registrative, lucrative o commerciali.
2. IL D.M. 17.12.2004
Le sperimentazioni non profit sono state, fino a poco tempo fa, disciplinate dal D.M. 17 dicembre 2004 (di seguito il “Decreto 1”), oggi non più in vigore. È opportuno comunque soffermarsi sulla disciplina contenuta nel Decreto 1, in modo da confrontarla con l’attuale normativa.
Il Decreto 1 stabiliva anzitutto le finalità di tale sperimentazione, le quali devono mirare al miglioramento della pratica clinica– a tal fine riconosciuta, come si vedrà, dal Comitato etico- intendendosi per tali, si sensi dell’art. 1 del Decreto1, gli studi aventi come oggetto di indagine farmaci già in commercio (in possesso di AIC) che si propongono di:
- confermare dati di efficacia e/o sicurezza nella popolazione reale, compresi i conflitti diretti (quali mai presenti negli studi registrati);
- verificare/confermare un’ipotesi rilevante per la pratica clinica nell0amnito dell’uso clinico autorizzato;
- verificare efficacia/sicurezza di uno off label consolidato nella pratica clinica in assenza si studi adeguati.
Sebbene il Decreto 1 fosse rivolto agli studi farmacologici, era ormai prassi comune da parte dei Comitati etici estenderne l’applicabilità a tutte le tipologie di studio non profit, ovvero agli studi osservazionali, con dispositivi, interventistici in genere, su campioni biologici, e agli studi preclinici.
In particolare, il Decreto 1 prevedeva le caratteristiche che doveva possedere la figura del promotore di tale tipologia di sperimentazione. Ai sensi dell’art. 1 del Decreto 1, infatti, il promotore:
- doveva essere una “struttura o ente o istituzione pubblica o ad essa equiparata o fondazione o ente morale, di ricerca e/o sanitaria o associazione/società scientifica o di ricerca non a fini di lucro o Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico o persona dipendente da queste strutture e che svolga il ruolo di promotore nell’ambito dei suoi compiti istituzionali“;
- non doveva essere “il proprietario del brevetto del farmaco in sperimentazione o il titolare dell’autorizzazione all’immissione in commercio“;
- non doveva avere “cointeressenze di tipo economico con l’azienda produttrice del farmaco in sperimentazione“;
- doveva essere proprietario “dei dati relativi alla sperimentazione, a sua esecuzione e i suoi risultati“.
L’art. 2 del Decreto 1 prevedeva poi che, date le finalità non lucrative delle sperimentazioni non profit, “le spese per i medicinali autorizzati alla immissione in commercio (AIC) che vengono utilizzati nell’ambito di tale autorizzazione e che sono previsti a carico del SSN, restano a carico dello stesso se utilizzati da pazienti partecipanti alle sperimentazioni cliniche non commerciali”. L’immissione in commercio viene quindi finanziata direttamente dal SSN, alla luce dei benefici che il miglioramento della pratica clinica può apportare al sistema in termini di qualità delle prestazioni fornite.
Il Decreto 1 intendeva evitare l’ingerenza delle aziende farmaceutiche nelle sperimentazioni non profit, al fine di mantenere come finalità esclusiva il miglioramento della pratica clinica ed escludere qualsiasi finalità lucrativa. Per tale motivo, i commi 6 e 7 dell’art.2 del Decreto 1 prevedevano che “eventuale utilizzo di fondi, attrezzature, farmaci, materiale o servizi messi a disposizione da aziende farmaceutiche o comunque da terzi debba essere comunicato all’atto della richiesta di parere del Comitato Etico e di autorizzazione dell’Autorità Competente, e imposto che l’utilizzo del supporto o dei contributi di aziende farmaceutiche non debba modificare i requisiti di cui all’art. del decreto né influenzare l’autonomia scientifica, tecnica, e procedurale deli sperimentatori”.
Ai sensi dell’art. 3 comma 4, del Decreto 1, i rischi della sperimentazione non profit, e la conseguente assicurazione obbligatoria prevista a carico dello Sponsor dall’art. 3 lett. f) del D.lgs. n. 211/2003, potevano essere ricompresi nella copertura assicurativa dell’Azienda Sanitaria prevista per l’attività clinica generale o di ricerca della struttura nella quale è realizzata la sperimentazione stessa. In alternativa, il promotore poteva comunque decidere di stipulare un contratto di assicurazione nel rispetto nella succitata disciplina generale sul punto.
Un ruolo di fondamentale importanza nelle sperimentazioni non profit è rivestito dai Comitati etici. Come è noto, il Comitato etico è un organismo indipendente che ha la responsabilità di garantire la tutela dei diritti, della sicurezza e del benessere dei soggetti in sperimentazione e di fornire pubblica garanzia di tale tutela. Ai sensi dell’art. 6 comma 1 D.lgs. n. 211/2003, il comitato etico prima dell’inizio di qualsiasi sperimentazione clinica deve esprimere un parere sul protocollo di sperimentazione, sull’idoneità degli sperimentatori, sull’adeguatezza delle strutture e sui metodi e documenti che verranno impiegati per informare i soggetti e per ottenere il consenso informato; il promotore della sperimentazione può quindi avviare quest’ultima solo dopo aver ottenuto il parere favorevole del Comitato etico.
L’allegato 1), lett. c), del Decreto 1 prevedeva che al comitato etico era quindi attribuita la responsabilità di verificare, caso per caso, se lo studio non profit fosse finalizzato o meno al miglioramento della pratica clinica. Tale verifica risultava di fondamentale importanza, in quanto:
- i costi aggiuntivi connessi alle sperimentazioni promosse dalle aziende sanitarie oppure da altro promotore no profit, riconosciute dal Comitato etico come finalizzate al miglioramento della pratica clinica, potevano essere coperti con apposito Fondo aziendale della Ricerca, istituito dal Decreto 1;
- gli eventuali costi aggiuntivi, compresi quelli per il farmaco sperimentale, connessi agli studi non profit, riconosciuti dal Comitato etico come non finalizzati al miglioramento della pratica clinica, nonché gli eventuali farmaci con AIC impiegati nello studio dovevano trovare copertura nel corrispettivo offerto dal Promotore non profit esterno o in un contributo proveniente da un terzo finanziatore, pur non assumendo tale finanziatore la qualità di Promotore.
3. Il Regolamento UE n. 536/2014 e il D.lgs. n. 52/2019
Il Decreto 1 si proponeva l’obiettivo di incoraggiare ed agevolare la cosiddetta “ricerca indipendente”, che le strutture sanitarie avviano ed attuano in maniera autonoma ed indipendente, elaborando ed applicando protocolli proprio e non proposti dall’industria farmaceutica. In questo modo, lo sviluppo scientifico avrebbe dovuto essere sottratto ai condizionamenti aziendali, e poteva quindi perseguire il miglioramento della pratica clinica e l0individuaizone delle reali prerogative dei medicinali, senza subire le ipotetiche distorsioni che sarebbero indotte dall’impresa.
In realtà, la normativa in questione si è rivelata in gran parte inefficace al perseguimento di tali obiettivi, per una serie di motivi, tra i quali in particolare la presunzione di incompatibilità tra una sperimentazione genuinamente promossa da parte della struttura sanitaria ed il suo successivo sfruttamento economico, che era di per sé, limitativa rispetto al reale sviluppo di una ricerca indipendente.
Il Decreto 1 non consentiva infatti che i dati ottenuti a seguito di sperimentazioni cliniche senza scopo di lucro potessero essere utilizzati per scopi commerciali. Le industrie farmaceutiche, inoltre, non poteva reclamare la proprietà dei dati e dei risultati ottenuti da tali studi.
La rigidità della separazione tra ente e settore industriale ha prodotto l’esclusione di contratti che – nell’assenza di un conflitto di interessi già attestata dal comitato etico – potessero assicurare all’impresa diritti di prelazione o di opzione sugli eventuali risultati futuri, a fronte del pagamento immediato del corrispettivo, garantendo così alla struttura sanitaria i fondi di cui necessita per la realizzazione di una ricerca utile per gli interessi collettivi.
Come già rilevato da un Gruppo di lavoro multidisciplinare nel 2014, la ricerca non profit sul farmaco in Italia si è in questi anni prevalentemente dedicata a progetti che non riguardano gli ambiti definiti dalle autorizzazioni all’immissione in commercio, bensì indicazioni terapeutiche o modalità di utilizzo dei farmaci innovative, che le industrie farmaceutiche avrebbero potuto non avere interesse prioritario o disponibilità a sviluppare.
L’impossibilità di utilizzare i dati della ricerca non profit ai fini registrativi, o comunque che la sperimentazione sia finalizzata o utilizzata per lo sviluppo industriale del farmaco o a fini di lucro, non consentiva quindi alle innovazioni derivanti dalla ricerca da promotori non profit di potere essere riconosciute a livello regolatorio; di conseguenza, i risultati di tali sperimentazioni non potevano apportare alcun beneficio effettivo alla pratica clinica e, di conseguenza, alla cura dei pazienti.
Si configurava pertanto opportuna una revisione del Decreto 1, e in particolare una modifica dell’art. 1, comma 2, lettera d), nel senso di prevedere la possibilità di cessione dei dati relativi alla sperimentazione all’azienda farmaceutica e la loro utilizzazione a fini di registrazione, per valorizzare l’uso sociale ed etico della ricerca.
Il 31 gennaio 2022 è entrato in vigore il nuovo Regolamento (EU) n. 536/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014 sulle sperimentazioni cliniche di medicinali per uso umano (di seguito il “Regolamento”), entrato in vigore il 31 gennaio 2022, che ha abrogato la Direttiva 2001/20/CE, già recepita nell’ordinamento italiano con il D.lgs. n. 211/2003.
L’obiettivo perseguito dal Regolamento è l’armonizzazione della disciplina europea in materia di sperimentazioni cliniche, sia al fine di garantire elevati standard di sicurezza per i pazienti, sia al fine di rafforzare la collaborazione degli Stati Membri nell’ambito delle sperimentazioni, mediante la condivisione di informazioni e risultati attraverso il nuovo portale europeo unico Clinical trials information system (“CTIS”).
Il Regolamento non contiene tuttavia disposizioni specifiche sulle sperimentazioni non profit, se non un richiamo agli stati membri ad operare per intencivarla. Esso, inoltre, non si applica alla ricerca non interventistica, e lascia gli stati membri la facoltà di stabilire quali siano gli organismi appropriati per l’autorizzazione alla sperimentazione e il ruolo dei comitati ertici di tale processo.
In attuazione del Regolamento (peraltro immediatamente operativo) è stata emanata la L. n. 3 dell’11 gennaio 2018 (c.d. Legge Lorenzin), la quale ha delegato il Governo a formulare una serie di decreti attuativi. L’art.1 comma 2 della L. n. 3/2018 ha previsto una revisione della normativa sugli studi clinici senza scopo di lucro e osservazionali, al fine di facilitarne e sostenerne la realizzazione, anche prevedendo forme di coordinamento tra i promotori, con l’obiettivo di migliorare la pratica clinica e di acquisire informazioni rilevanti a seguito dell’immissione in commercio dei medicinali.
In attuazione della L. n. 3/2018, è stato quindi emanato il D.lgs. 14 maggio 2019, n. 52, che ha definito diverse aree per le quali è richiesto un intervento normativo, introducendo alcune misure, che in parte modificano la normativa vigente. In particolare, per quanto concerne le sperimentazioni non profit, il D.lgs. n. 52/2019 essenzialmente ha previsto:
- la semplificazione delle procedure per l’utilizzo a scopo di ricerca clinica di materiale biologico/clinico residuo da precedenti attività diagnostiche o terapeutiche (sulla base di apposite linee di indirizzo che devono essere redatte dall’ISS);
- l’obbligo per il promotore (industria farmaceutica), in caso di cessione dei dati o risultati della sperimentazione a fini registrativi, di rimborsare tutte le spese e pagare le tariffe precedentemente non pagate per l’iniziale qualificazione dello studio quale studio senza scopo di lucro;
- l’introduzione – per mezzo di un decreto del Ministro della salute – di misure volte a facilitare e sostenere la realizzazione degli studi clinici senza scopo di lucro o osservazionali, individuare le modalità di coordinamento tra promotori, pubblici e privati, nonché le modalità di cessione dei dati al promotore e la loro utilizzazione ai fini di registrazione.
Il D.lgs. 52/2019, in attuazione della legge Lorenzin, ha quindi introdotto per la prima volta la possibilità di cedere i dati e i risultati di sperimentazioni cliniche senza scopo di lucro a scopo registrativo, a condizione che il cessionario rimborsi all’ente no-profit che aveva realizzato lo studio:
- le spese dirette e indirette connesse alla sperimentazione;
- le tariffe che si applicano agli studi a scopo di lucro (originariamente non applicate in quanto no-profit);
- “le potenziali entrate derivanti dalla valorizzazione della proprietà intellettuale”
Inoltre, ai sensi del D.lgs. n.52/2019, un decreto attuativo avrebbe dovuto stabilire misure volte a:
- facilitare e sostenere la realizzazione degli studi clinici senza scopo di lucro e degli studi osservazionali;
- individuare le modalità di coordinamento tra promotori, pubblici e privati, nell’ambito della medesima sperimentazione clinica o studio clinico, anche al fine di acquisire informazioni a seguito dell’immissione in commercio dei medicinali;
- introdurre criteri per identificare le tipologie e i requisiti delle sperimentazioni senza scopo di lucro e le sperimentazioni con collaborazione tra promotori pubblici e privati.
Seppure il D.lgs. n. 52/2019 avesse previsto la possibilità di cedere i dati e i risultati delle sperimentazioni senza scopo di lucro a fini registrativi, la mancata emanazione del decreto attuativo aveva di fatto paralizzato l’applicazione del nuovo principio, in quanto non era chiaro, da un punto di vista operativo, quale procedura dovesse essere seguita per tale cessione e soprattutto quali criteri dovessero essere utilizzati per calcolare “le spese dirette e indirette connesse alla sperimentazione” e “le potenziali entrate derivanti dalla valorizzazione della proprietà intellettuale”. Per questa ragione, fino all’emanazione del nuovo decreto ministeriale, avvenuta come si vedrà solo marzo 2022, la norma sulla cessione dei dati a fini registrativi era rimasta lettera morta.
4. Il D.M. del 30 novembre 2021
4.1 Le linee generali del Decreto
Il D.M. del 30 novembre 2021 (di seguito il “Decreto 2”), entrato in vigore il 3 marzo 2022, ha abrogato il Decreto 1, stabilendo alcune norme per facilitare e sostenere la realizzazione di studi clinici di medicinali senza scopo di lucro e di studi osservazionali, nonché a consentire la cessione di dati e risultati di sperimentazioni cliniche senza scopo di lucro a fini registrativi.
L’art. 1, comma 2 lett. a) del Decreto 2 definisce la “sperimentazione clinica senza scopo di lucro” come una sperimentazione, rientrante nella definizione di cui all’art. 2, comma 2, del Regolamento, la quale presenta i seguenti requisiti:
- la sperimentazione non deve essere finalizzata “allo sviluppo industriale e/o commerciale di uno o più medicinali, o comunque a fini di sfruttamento economico dei medesimi e/o dei dati e risultati della sperimentazione stessa“;
- il promotore deve essere “una struttura, un ente, un’istituzione pubblica o ad essa equiparata, una fondazione o un ente morale, di ricerca e/o sanitari, un’associazione, una società scientifica senza fini di lucro, un istituto di ricovero e cura a carattere scientifico, ovvero una persona fisica che sia dipendente delle suddette strutture e che svolga il ruolo di promotore nell’ambito dei propri incarichi lavorativi, ovvero un’impresa sociale che promuova la sperimentazione clinica nel contesto dell’attività d’impresa di interesse generale esercitata in via stabile e principale, ai sensi dell’art. 2 del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 112, e successive modificazioni”;
- il promotore non deve essere titolare dell’autorizzazione all’immissione in commercio (A.I.C.) del medicinale in sperimentazione e non deve avere “cointeressenze di tipo economico – anche per mezzo di diritti di proprietà intellettuale – con la persona fisica o giuridica titolare dell’ A.I.C.”;
- la titolarità dei dati e dei risultati relativi alla sperimentazione, così come di ogni decisione inerente alla loro pubblicazione, deve appartenere esclusivamente al promotore.
In considerazione della natura sostanzialmente indipendente dello studio no-profit rispetto a qualunque soggetto terzo operante sul mercato di riferimento, e delle sue finalità tipicamente non commerciali, l’art. 2 del Decreto 2 prevede che:
- le sperimentazioni cliniche senza scopo di lucro sono esentate dal versamento delle tariffe per il rilascio dell’autorizzazione da parte dell’AIFA e del parere del Comitato etico competente;
- le spese per medicinali dotati di A.I.C. che vengono utilizzati per sperimentazioni cliniche senza scopo di lucro per indicazioni a carico del SSN sono sostenute da quest’ultimo, fatti salvi i casi in cui la fornitura dei medicinali avvenga a titolo gratuito;
- le eventuali spese aggiuntive, comprese quelle per il medicinale sperimentale, necessarie per le sperimentazioni cliniche senza scopo di lucro, qualora non coperte da fondi di ricerca ad hoc o finanziamenti dedicati anche da parte di soggetti privati, gravano sul fondo per le sperimentazioni di cui al comma 4 dell’art. 1 del medesimo Decreto (fondo che può essere composto da finanziamenti afferenti alla struttura sanitaria, compresi gli introiti eventualmente provenienti dai contratti con le imprese farmaceutiche per lo svolgimento di sperimentazioni cliniche a scopo di lucro), nei limiti delle risorse finanziarie della struttura sanitaria competente e nel rispetto della programmazione economica della medesima struttura;
- le spese assicurative per le sperimentazioni cliniche senza scopo di lucro sono coperte dal fondo per le sperimentazioni o da fondi di ricerca ad hoc o finanziamenti dedicati, salvi i casi in cui la struttura di riferimento abbia già in essere coperture assicurative per la normale pratica clinica che siano estensibili alla sperimentazione clinica o siano disponibili meccanismi analoghi ai sensi della normativa vigente;
- l’eventuale utilizzo di fondi, attrezzature, medicinali, materiali e/o servizi messi a disposizione del promotore da parte di imprese farmaceutiche o, comunque, da terzi deve essere comunicato all’atto delle richiesta di autorizzazione da parte dell’AIFA e di rilascio del parere del Comitato etico competente, con obbligo in capo al promotore di depositare copia dei relativi accordi già conclusi e di fornire in maniera tempestiva copia di ulteriori eventuali accordi; in tal caso, l’eventuale utilizzo del supporto o dei contributi non deve modificare i requisiti e le condizioni di cui all’art. 1, né influenzare in alcun modo l’autonomia scientifica, tecnica e procedurale degli sperimentatori.
- alla domanda di autorizzazione alla sperimentazione clinica deve essere allegata la documentazione di cui all’allegato 1, lettera P) del Regolamento (descrizione del finanziamento della sperimentazione clinica e informazioni sulle operazioni finanziarie e sulle indennità corrisposte ai soggetti e allo sperimentatore/al sito per la partecipazione alla sperimentazione clinica), nonché tutti gli accordi tra le parti, con specifica indicazione delle relative disposizioni volte a garantire l’autonomia della sperimentazione; ogni eventuale modifica di tali accordi dovrà essere tempestivamente comunicata.
Così come già avveniva sotto la vigenza del Decreto 1, anche il Decreto 2 si limita a prevedere e disciplinare i casi di co-finanziamento eventualmente ricevuto da terzi con riguardo alle sole sperimentazioni e agli studi osservazionali con farmaco, quali definiti dall’art. 1 del Decreto stesso. Tale norma può essere applicata analogicamente per consentire al promotore no-profit che intenda condurre uno studio diverso da quelli espressamente previsti, per la cui conduzione intenda ricevere un cofinanziamento da enti o soggetti terzi, di poterne ottenere la relativa autorizzazione da parte del Comitato etico e, dunque, di poter legittimamente stipulare il contratto con il terzo a tale titolo. Ciò nell’ottica di privilegiare la ricerca indipendente non lucrativa, consentendo in tal modo al promotore no-profit di ottenere da soggetti privati – considerata la ristrettezza di fondi pubblici – il necessario sostegno economico per lo svolgimento delle attività di ricerca e di studio.
4.2 La cessione di dati e risultati delle sperimentazioni no profit
Ferma restando la natura sostanzialmente non lucrativa degli studi no-profit, il Decreto 2 ha introdotto la facoltà concessa al promotore di cedere a terzi i dati e i risultati delle sperimentazioni senza scopo di lucro. L’art. 3 del Decreto 2 prevede infatti che i dati delle sperimentazioni senza scopo di lucro, e i risultati delle stesse, sia in corso di sperimentazione, sia a sperimentazione conclusa, possano essere ceduti, a fini registrativi di uno o più medicinali, sia in Italia che in un diverso Stato, sempre che tale cessione sia contrattualmente regolata.
In particolare, ai sensi dell’art. 3, comma 2, lett. a) del Decreto 2, una volta riscontrata l’utilizzabilità dei dati e dei risultati a fini registrativi da parte del promotore no-profit e del soggetto interessato a divenire cessionario, viene individuato di comune accordo un esperto di consulenza brevettuale, iscritto all’Albo consulenti in proprietà industriale abilitati o all’Albo degli avvocati, il quale provvede a effettuare una stima del valore del bene in oggetto nella prospettiva dello sfruttamento commerciale atteso.
Qualora il soggetto interessato a divenire cessionario dei dati e dei risultati intenda effettivamente procedere al relativo acquisto secondo la stima effettuata dall’esperto, le parti addiverranno alla stipula di uno specifico accordo, in forza del quale il cessionario sarà tenuto a pagare il corrispettivo dovuto secondo la seguente ripartizione:
- 50% a favore del promotore;
- 25% a favore del fondo per le sperimentazioni di cui all’art. 2, comma 4 del Decreto 2;
- 25% a favore del fondo istituito presso l’AIFA ai sensi dell’art. 48, comma 19, lett. b), punto 3) del D.L. n. 269/2003, convertito dalla L. n. 326/2003.
Il cessionario non può discostarsi dal valore identificato dal perito; qualora non venga accettata la stima, è vietata la successiva cessione al medesimo soggetto per importo inferiore. Per effetto della cessione, il cessionario subentra a tutti gli effetti nella titolarità del trattamento dei dati personali correlati alla sperimentazione.
Il promotore o il cessionario devono sostenere e rimborsare tutte le spese dirette e indirette connesse alla sperimentazione e corrispondere le relative tariffe di competenza dell’AIFA e dei Comitati etici competenti.
Il promotore ha l’obbligo di trasmettere all’AIFA, al Comitato etico competente e ai centri di sperimentazione coinvolti una comunicazione ufficiale con la quale informa dell’avvenuta cessione dei dati e/o dei risultati, allegando:
- copia del contratto di cessione;
- attestazione del versamento delle tariffe menzionate in precedenza;
- rendicontazione dei costi relativi ai medicinali, all’assistenza ospedaliera, alle indagini diagnostiche ed alle spese di personale a carico del Servizio sanitario nazionale rimborsati dal cessionario;
- copia del contratto di assicurazione.
Il Decreto 2 disciplina inoltre la facoltà del promotore di riqualificare come profit una sperimentazione originariamente approvata e condotta come non lucrativa (art. 3, comma 4, Decreto 2), possibilità che nella prassi veniva già in precedenza riconosciuta presso alcuni Comitati etici; in tal caso è fatto obbligo al promotore di sostenere e rimborsare tutte le spese dirette e indirette connesse alla sperimentazione, di corrispondere le relative tariffe di competenza dell’AIFA e dei comitati etici competenti, nonché di rimborsare i finanziamenti relativi alla medesima sperimentazione fino a quel momento ricevuti.
L’art. 5 comma 1 del Decreto 2 prevede che le imprese farmaceutiche che hanno titolo sul medicinale oggetto della sperimentazione sono tenute a rendere disponibile al promotore copia della versione aggiornata del dossier per lo sperimentatore (ovvero i dati, clinici e non, sul medicinale sperimentale pertinenti per lo studio), fatta salva la riservatezza dei dati inerenti gli aspetti industriali. Il comma 2 della medesima norma prevede inoltre che le stesse imprese farmaceutiche e i promotori devono scambiarsi informazioni di sicurezza per i successivi adempimenti in materia di farmacovigilanza.
Le previsioni di cui all’art. 3 del Decreto 2 si applicano alle sole sperimentazioni senza scopo di lucro, ovvero alle sperimentazioni cliniche e a quelle a basso livello di intervento 16 (di cui all’art. 1, comma 2, lett. a e b, Decreto 2) con esclusione, quindi, degli studi osservazionali con farmaco senza scopo di lucro. Tale esclusione si giustifica in considerazione delle caratteristiche degli studi osservazionali con farmaco, nei quali – diversamente che negli studi interventistici – lo sperimentatore non interviene direttamente sulle variabili osservate; l’area di interesse della ricerca osservazionale coincide con la cosiddetta epidemiologia clinica e comprende lo studio dei fattori che influenzano l’esito di una malattia ed ha come fine il miglioramento della prognosi della malattia e dell’efficacia degli interventi sanitari. Tali studi non possono quindi, dato il peculiare disegno di studio, produrre dati e risultati utilizzabili a fini registrativi, e conseguentemente deve escludersi che il promotore no-profit di uno studio osservazionale con farmaco possa cedere i dati e i risultati ottenuti nel corso della sperimentazione.
Ad analoga conclusione deve giungersi per gli studi no-profit osservazionali o interventistici con dispositivo medico, per i quali deve parimenti escludersi la possibilità per il promotore no-profit e per il terzo eventualmente interessato di stipulare un accordo di cessione dei dati e dei risultati ottenuti, dato che, anche in questa ipotesi, i dati e i risultati – che pure potrebbero avere un eventuale rilievo economico o industriale per il produttore del dispositivo medico utilizzato nella conduzione dello studio – non potrebbero in ogni caso essere utilizzati a fini registrativi, in quanto procedura autorizzativa che si utilizza per il farmaco e non per il device medico.
4.3 Il ruolo del Comitato etico nelle sperimentazioni non profit
In ordine al rispetto dei requisiti previsti dal Decreto 2, oltre che delle norme applicabili in generale alle sperimentazioni cliniche, è chiamato a fornire la propria valutazione il Comitato etico.
Tale organo è chiamato ad appurare e confermare innanzitutto che le spese per il farmaco dotato di AIC restano a carico del SSN – se e in quanto utilizzato nell’ambito di tale autorizzazione – e, secondo un orientamento interpretativo, ad appurare e confermare che le eventuali spese aggiuntive, comprese quelle per il farmaco sperimentale, necessarie per le sperimentazioni cliniche, siano coperte da fondi di ricerca ad hoc ovvero dal fondo per le sperimentazioni nei limiti delle risorse finanziarie della struttura sanitaria competente e nel rispetto della programmazione economica della medesima struttura.
Qualora sia previsto l’eventuale utilizzo di fondi, attrezzature, farmaci, materiale o servizi messi a disposizione del Promotore da parte di aziende farmaceutiche o, comunque, di enti o soggetti terzi, il Comitato etico è tenuto a valutare ed appurare che tale fornitura (di fondi, attrezzature, farmaci, materiale o servizi) venga elargita in favore del Promotore senza che ciò possa in alcun modo modificare i requisiti e le condizioni di cui all’art. 1, D.M. Salute 30 novembre 2021 né influenzare l’autonomia scientifica, tecnica e procedurale degli sperimentatori.
In tal caso, il Comitato etico esaminerà e valuterà la conformità del contenuto complessivo del relativo atto di fornitura o dotazione alla peculiare disciplina dettata dal citato D.M. accertandosi che nel relativo accordo sia chiaramente esplicitato che la proprietà dei dati relativi alla sperimentazione, la sua esecuzione e i suoi risultati appartengono – in via esclusiva – al promotore e che la sperimentazione non è finalizzata né utilizzata allo sviluppo industriale del farmaco o, comunque, a fini di lucro; nei casi in cui sia previsto ed effettivamente possibile, il Comitato etico dovrà inoltre accertarsi che l’eventuale cessione dei dati e dei risultati a fini registrativi da parte del promotore in favore del terzo – prevista nell’accordo di co-finanziamento – avrà luogo nel rispetto della peculiare procedura e secondo le modalità previste nell’art. 3 del Decreto 2.
Tale attività di valutazione, in caso di sperimentazioni multicentriche (cioè di studi clinici condotti presso uno o più Centri di sperimentazione oltre a quello del promotore) dovrà essere condotta anche dal Comitato etico del centro partecipante, chiamato a esaminare – tra l’altro –il contenuto del contratto stipulato dal promotore con il co-finanziatore al fine di accertarne la rispondenza alle citate norme; ciò tenuto conto del fatto che anche i dati e i risultati ottenuti nel corso della sperimentazione presso il Centro partecipante, pur appartenendo al promotore, non potranno in alcun caso essere utilizzati – da quest’ultimo e/o da eventuali soggetti terzi co-finanziatori dello studio – per lo sviluppo industriale del farmaco o, comunque, a fini di lucro e, nel caso in cui sia possibile e sia già prevista tale eventualità nel contratto di co-finanziamento, che la cessione a fini registrativi avrà luogo nel pieno rispetto della procedura e delle modalità previste nel citato art. 3, D.M. Salute 30 novembre 2021.
5. I contratti di co-finanziamento
Come si è esposto il Decreto 2 stabilisce, in via generale ed astratta, quali caratteristiche debba avere l’eventuale co-finanziamento ricevuto dal promotore o, più precisamente, quali elementi, requisiti e condizioni debbano essere rispettati a fronte dell’eventuale dotazione di fondi, attrezzature, farmaci, materiale o servizi messi a disposizione da aziende farmaceutiche o da soggetti terzi. Esso non disciplina tuttavia forma, tipo e causa dell’eventuale accordo di co-finanziamento stipulato tra le parti, lasciando così a queste ultime ampia libertà al riguardo.
Nella prassi, il co-finanziamento avviene generalmente utilizzando l’atto di donazione, avente a oggetto la corresponsione a titolo liberale in favore del promotore di una somma di denaro ovvero la fornitura di farmaci, materiale o servizi da parte del co-finanziatore con l’eventuale previsione, in capo al promotore, dell’adempimento di un onere ai sensi dell’art. 793 c.c., avente ad oggetto l’effettivo utilizzo del denaro o delle altre utilità da quest’ultimo ricevute al solo ed esclusivo fine dello svolgimento delle attività di studio sulla base del protocollo e del relativo budget economico approvato dalle parti.
Generalmente non si ricorre alla donazione per atto pubblico, ma ad altre tipologie contrattuali atipiche, in forza delle quali il co-finanziatore elargisce, in favore del promotore – o si impegna ad elargire secondo quote e scadenze temporali prefissate nel contratto – denaro, beni o altre utilità necessarie alla conduzione dello studio, senza tuttavia che ciò implichi o presupponga alcuno spirito di liberalità da parte del co-finanziatore, con l’intento invece di supportare la ricerca indipendente come tale non finalizzata allo sviluppo industriale o commerciale di uno o più medicinali o, comunque, allo sfruttamento economico dei medesimi o dei dati e dei risultati ottenuti nel corso della stessa.
In ogni caso, il contenuto di tale accordo non può essere tale da pregiudicare l’autonomia e l’indipendenza scientifica, tecnica e procedurale dello sperimentatore. Non sono quindi consentite clausole che consentano o permettano al co-finanziatore di:
- ispezionare il centro di sperimentazione;
- visionare la documentazione relativa allo studio, di ottenere l’accesso ai dati o, comunque, alle cartelle cliniche o alla documentazione sanitaria dei pazienti arruolati, con possibile attività di auditing in merito alle attività svolte;
- ottenere l’accesso ai risultati dello studio prima della loro pubblicazione;
- ottenere la cessione, a titolo gratuito o corrispettivo, della proprietà dei dati o dei risultati relativi alla sperimentazione, salvo che non venga stipulato tra le parti l’accordo previsto e disciplinato dall’art. 3 del D.M. Salute 30 novembre 2021;
- revisionare o modificare il contenuto delle bozze degli articoli scientifici redatti dallo sperimentatore prima della relativa pubblicazione, eccezion fatta eventualmente per quanto concerne la tutela della proprietà industriale pregressa sul farmaco o sul device in sperimentazione.
L’eventuale fornitura o dotazione di fondi, attrezzature, farmaci, materiale o servizi non può quindi essere convenuta tra le parti a titolo di corrispettivo o compenso per eventuali attività condotte dal promotore in favore del co-finanziatore – in quanto i dati e i risultati ottenuti nel corso della sperimentazione no-profit appartengono in via esclusiva al promotore e non possono essere utilizzati (fatto salvo quanto previsto dall’art. 3 del Decreto 2) per lo sviluppo industriale o commerciale di uno o più medicinali o, comunque, a fini di sfruttamento economico – ma è volta solo a supportare l’attività di ricerca progettata autonomamente dallo sperimentatore.
6. La protezione dei dati personali
Il Decreto 2 non contiene una disciplina relativa al trattamento dei dati personali dei partecipanti alla ricerca in caso di cessione di dati a soggetti terzi. Esso si limita infatti a stabilire che, a seguito della cessione, “il cessionario subentra a tutti gli effetti nella titolarità del trattamento dei dati personali correlati alla sperimentazione”, senza prevedere i requisiti e le condizioni di tale cessione.
L’assenza di disciplina dei profili in materia di protezione dei dati può provocare delle forti criticità, nonché dei rischi per i diritti e le libertà dei soggetti interessati coinvolti.
Com’è noto, in caso di cessione dei dati personali, è necessario rispettare la normativa contenuta nel Regolamento europeo 679/2016 (“GDPR”). Anche i promotori di sperimentazioni cliniche non profit devono quindi garantire alle aziende farmaceutiche che i dati della sperimentazione siano stati raccolti e trattati nel rispetto della normativa in materia di protezione dei dati. In particolare, la cessione dei dati rappresenta una comunicazione di dati personali fra due titolari del trattamento, e deve pertanto essere eseguita in conformità con gli artt. 6 e 9 del GDPR.
In primo luogo, è di fondamentale importanza l’individuazione dei soggetti coinvolti nella cessione e la loro relativa qualifica; nel caso in esame, la cessione dei dati coinvolge due soggetti qualificati titolari del trattamento, ai sensi dell’art. 4 del GDPR, ossia il cessionario e il promotore.
In secondo luogo, la cessione dei dati personali può avvenire solo previa individuazione di una base giuridica legittimante. In proposito, l’unico riferimento alla base giuridica contenuto nel Decreto 2 si rinviene nel contratto tra il cessionario e il promotore, a sua volta ricollegabile alla norma di cui all’art. 6, par. 1, lett. b) del GDPR.
Tuttavia, il contratto tra cedente e cessionario non può costituire la base giuridica del trattamento, in quanto:
- tale base giuridica non può consentire il trasferimento di categorie particolari di dati personali, quali dati sanitari e genetici;
- gli interessati i cui dati vengono ceduti non sono parti del contratto di cessione (requisito quest’ultimo necessario perché si possa fare affidamento sull’art. 6(1)(b) del GDPR).
Pet poter cedere i dati personali raccolti nell’ambito della sperimentazione clinica senza scopo di lucro, il cedente deve quindi ottenere il consenso degli interessati; quest’ultimo deve essere libero, specifico, informato ed inequivocabile, nonché espresso, ove si tratti di categorie particolari di dati personali.
È inoltre necessario che il promotore cedente raccolga due distinti consensi dagli interessati: il primo, per consentirne la partecipazione alla sperimentazione e il secondo per poter cedere i suoi dati ai sensi dell’art.3 del Decreto 2.
In proposito, il Garante per la Privacy, con l’Autorizzazione generale al trattamento dei dati personali effettuato per scopi di ricerca scientifica n.9 del 27 dicembre 2013, ha riconosciuto la possibilità che il consenso non sia necessario, qualora non sia possibile informare gli interessanti per motivi etici, metodologici o per “motivi di impossibilità organizzativa”, sottolineando tuttavia, con riferimento a questi ultimi, che “è autorizzato il trattamento dei dati di coloro i quali, l’esito di ogni ragionevole sforzo compiuto per contattarlo, anche attraverso la verifica dello stato in vita, la consultazione dei dati riportati nella documentazione clinica, l’impiego dei recapiti telefonici eventualmente forniti, nonché l’acquisizione dei dati di contatto presso l’anagrafe degli assistiti o della popolazione residente, risultino essere al momento dell’arruolamento nello studio deceduti o non contattabili“.
L’azienda farmaceutica cessionaria dovrà altresì verificare l’operato del cedente nella raccolta e successivo trattamento dei dati personali ceduti, per evitare il rischio che i dati personali che non siano utilizzabili, in quanto raccolti in violazione della normativa privacy. In particolare, il cessionario dovrà verificare che:
- gli interessi siano stati debitamente informati dal cedente in merito alla possibile cessione dei loro dati al cessionario, tramite un’informativa privacy redatta in conformità con gli artt. 13 e 14 del GDPR;
- il promotore della sperimentazione abbia fatto affidamento su una base giuridica adeguata per la raccolta dei dati personali;
- gli interessati abbiano prestato il proprio consenso libero, specifico, informato e inequivocabile alla cessione dei loro dati all’azienda cessionaria e tale consenso non sia stato successivamente revocato;
- il promotore della sperimentazione abbia messo in atto misure adeguate per consentire agli interessati di revocare il proprio consenso alla cessione in qualunque momento e senza incorrere in conseguenze negative;
- tutti gli adempimenti menzionati siano stati adeguatamente documentati dal promotore della sperimentazione, poiché il cessionario potrebbe dover rendere conto all’Autorità di controllo competente o agli interessati della liceità del trattamento dei dati dallo stesso svolto.
Infine, a partire dal momento della cessione dei dati, le aziende farmaceutiche dovranno determinare in via autonoma le finalità e le modalità di trattamento, considerando che:
- saranno direttamente responsabili delle scelte relative ai trattamenti di dati svolti dal momento della cessione;
- dovranno adottare misure tecniche ed organizzative tali da garantire un livello di sicurezza adeguato ai rischi correlati agli specifici trattamenti svolti;
- dovranno valutare se sia necessario condurre una valutazione d’impatto;
- in ossequio al principio di accountability, dovranno essere in grado di dimostrare il rispetto della normativa in tema di privacy.
Avv. Valerio Pandolfini
Avvocato specializzato in diritto farmaceutico
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